martedì 18 giugno 2013

LE ORIGINI DELLA CULTURA MASCHILISTA


La donna nella tradizione mitologica



La discriminazione delle donne inizia con la mitologia e con le teorie di filosofi come Pitagora che, dopo aver distinto tra un principio buono e un principio cattivo, spiega che il primo ha creato l’ordine, la luce e l’uomo, il secondo ha creato il caos, le tenebre e la donna! Ma pure l’ordine dell’Olimpo chiarisce in modo inequivocabile il ruolo delle donne: destinate a procreare e non certo ad avere il potere. Pensiamo ad una donna consacrata dal mito come Pandora, la donna che, obbedendo ad istinto attribuito principalmente alle donne, non si oppone alla curiosità e viola il perentorio divieto di Giove: il vaso deve restare chiuso o il male invaderà il genere umano. E’ difficile ricostruire con precisione quale è stato il ruolo della donna nella società antica in quanto le fonti storiche si soffermano sui protagonisti della storia, sempre e solo uomini, e tralasciano gli esclusi o le classi subalterne. Le donne romane, sebbene abbiano partecipato più attivamente alla vita pubblica di quelle greche, tuttavia furono estromesse da attività considerate prettamente maschili come la guerra e la politica. Per ricostruire la figura e il ruolo della donna nelle società antiche ci viene in aiuto la letteratura con tutti i suoi limiti legati alla possibilità di travisare i fatti, distorcerli o semplicemente abbellirli. In realtà le figure femminili che riusciamo a tratteggiare sono o appartenenti all'alta società oppure cortigiane, ma non riusciamo a tracciare un ritratto attendibile delle donne del ceto medio. Ricostruire la complessità dell’accettazione del ruolo della donna sin dall'antichità ci può aiutare a spiegare e a comprendere certe resistenze culturali a considerarla come essere umano e basta! La donna è sempre associata a valori negativi: si pensi, per esempio, al bellissimo racconto della storia di Amore e Psiche, ancora una volta la donna viene presentata come un essere che non sa accontentarsi neppure se ha tra le mani l’assoluta felicità e tutte le ricchezze desiderabili, sembra quasi irresistibile per lei il richiamo a distruggere tutto ciò che di buono ha intorno spesso a causa della “curiosità”. Per non parlare della citata Pandora! Le divinità femminili dell’Olimpo sono solo cinque: Giunone, Venere, Minerva, Diana e Vesta. Giunone rappresenta il prototipo di moglie fedele e possessiva, incapace , però, di tenere a bada gli istinti irrefrenabili di un marito troppo sensibile al fascino delle donne. Venere è il paradigma della bellezza fisica, oca quanto basta, imbarazzante in ogni intervento, invidiosa e gelosa del proprio figlio, con una non certo lodevole propensione all'adulterio, consuetudine non proprio degna di una donna. Minerva è forse la divinità femminile più complessa: è la dea della sapienza, qualità assolutamente maschile, e dea della guerra, anche questa attività riservata solo agli uomini. In effetti la particolarità di questa dea è proprio che rappresenta la negazione di tutto ciò che è femminile: costei resta vergine ed è nata dalla testa di Giove, che si appropria di una prerogativa femminile, per far nascere una divinità fuori dal comune, anche se non dimentichiamo che la capacità di “ dare la vita” anticamente apparteneva all'uomo. Si pensi alla nascita della dea Venere nata dalla schiuma del mare fecondata dai genitali recisi del povero Urano! Diana è anche lei una dea mascolina, è la dea protettrice della caccia, attività riservata agli uomini, protettrice delle Amazzoni donne con attributi maschili e non si è mai sottomessa ad un matrimonio monogamo. Infine Estia , vergine anche lei ( era questo un attributo considerato assai rilevante dai Romani) come le sue sacerdotesse che venivano uccise barbaramente se avessero perso la verginità sia pure in seguito ad un abuso (si pensi a Rea Silvia!), preposta a custodire e a vegliare sul focolare, a garantirne la pace proprio come fa una buona madre di famiglia. Come si può ben capire non c’è un equivalente femminile di Giove che possieda tutte le migliori, e peggiori, caratteristiche del gentil sesso, e questo si spiega con una mentalità che nega alla donna grandi capacità e qualità da esprimere. Proprio per compensare i limiti di una donna, Demostene sosteneva:” Noi abbiamo amanti per il nostro godimento, concubine per servire la nostra persona e mogli per generare la prole legittima”. In effetti nell'antica Grecia un uomo, per essere soddisfatto, aveva tre donne: la moglie che viveva nel gineceo, curava i figli legittimi e la casa ed era esclusa completamente dalla vita del marito; la concubina che aveva anche mansioni umili e doveva essere fedele all'amante proprio come la moglie legittima; infine l’etera che era un’accompagnatrice e che aveva accesso ai luoghi comunemente interdetti alle mogli e alle concubine. La marginalità della figura femminile è attestata persino dal fatto che mentre le divinità maschili avevano una totale libertà sessuale e potevano avere rapporti  sia con divinità che con donne mortali senza nessun problema, per le dee la situazione era ben diversa, qualora un mortale se ne innamorasse o giacesse con loro poteva solo finire tragicamente, come accadde ad Adone dopo aver amato la bella Venere. Persino nei rapporti omosessuali c’è discriminazione: gli dei possono avere rapporti con uomini, ma non abbiamo nessun riferimento circa la possibilità o la libertà dell’amore saffico. Le qualità apprezzate nelle donne , ieri come oggi, erano la bellezza ( per la bellezza di Elena è addirittura scoppiata una guerra!), la bravura nei lavori domestici e l’ubbidienza, ma non di minore importanza la pudicizia e la fedeltà, qualità affatto richieste agli uomini. L’atteggiamento maschile nei confronti delle donne è di sostanziale diffidenza e dubbio, si pensi alla povera Penelope che dopo aver fatto e disfatto la tela in attesa che quel fedifrago di Ulisse ritrovasse la strada di casa, sarà l’ultima a sapere del ritorno del coniuge che si dovrà accertare, lui dissoluto e infedele, della pudicizia della moglie. Del resto lo stesso Ulisse, disceso nel regno dei morti, consiglia all'amico Agamennone di non essere mai troppo dolce con le donne, di dire una parola ma di serbarne sempre un’altra e di non dimenticare mai che la donna è un essere infido. Non dimentichiamo che ci sono seri dubbi circa la paternità di Telemaco, del resto:” Mater semper certa est, pater incertus!” e che la bella Penelope può sia incarnare, se letta positivamente, tutte le qualità femminili più apprezzate da un uomo, ma se letta in chiave più misogina e maliziosa si noteranno azioni e scelte non sempre in armonia con la sua posizione sociale( la donna non cede alle avances dei Proci perché teme che gliene possa derivare una cattiva fama, ma più volte pensa all’opportunità di sistemare la sua situazione vista la lunga assenza del marito).

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