domenica 9 febbraio 2014

ANALISI DEL TESTO: " IL TRENO HA FISCHIATO" DI LUIGI PIRANDELLO





La novella fu pubblicata per la prima volta il 22 febbraio 1914 sul “Corriere della sera”. Dopo essere stata raccolta nel volume La trappola del 1915, nel 1922 venne inserita nel progetto Novelle per un anno, all’interno del volume IV, intitolato L’uomo solo. La novella racconta l’improvvisa “pazzia” di un impiegato modello, Belluca, che un giorno decide di non sopportare più le angherie e le vessazioni del suo capoufficio e che, per questo, viene portato in manicomio. Sarà proprio il fischio del treno, che dà alla novella il titolo, a spalancargli il mondo dell’immaginazione e della fantasia troppo a lungo soffocato dalla routine e dal grigiore della sua vita modesta: come spesso accade nelle storie pirandelliane, un fatto banale segna la svolta inattesa e inaspettata, scandisce il passaggio dalla “sanità” alla follia vanificando ogni confine netto e premarcato. Attraverso un dettaglio piccolo, “normale” il protagonista si riscopre e giura di non volersi lasciare più. La figura del protagonista richiama quella dei molti impiegati piccolo borghesi di epoca giolittiana, fagocitati da un lavoro meccanico e spersonalizzante e penalizzati da una condizione di miseria, ristrettezze e sofferenza. Belluca e con lui l’impiegato medio, però, non è tanto e solo la rappresentazione della condizione di una precisa classe sociale, quanto la rappresentazione della squallida condizione dell’esistenza umana in generale. Non è Belluca intrappolato in un lavoro ripetitivo, alienante e annullato da una famiglia ingombrante e opprimente, ma l’uomo in generale, l’uomo che ha ingaggiato una lotta impari con l’impossibilità di eguagliare modelli irraggiungibili per tenere il passo di una società che annienta ogni valore e ogni cosa buona. L’esordio della novella, in medias res, disorienta il lettore che fatica a comprendere i fatti e l’accaduto, ma che capisce subito che il caso occorso al “povero Belluca” non era quello che tutti immaginavano, fingendo una ridicola e affatto credibile pietà per quell’uomo al quale, come il misterioso narratore suggerisce, era accaduto un caso naturalissimo. Il cinismo dei colleghi emerge drammatico quando il protagonista comincia ad essere descritto come un uomo mansueto e sottomesso, …metodico e paziente…circoscritto: nessuno avrebbe mai potuto neppure lontanamente immaginare che un uomo così mediocre, così avvezzo a subire dalla vita, dai colleghi, dal capoufficio potesse , un giorno, stancarsi e ribellarsi. Sin dall’esordio del racconto Pirandello propone al lettore il confronto tra due verità diametralmente opposte, eppure assolutamente possibili entrambi: per i medici e i colleghi Belluca è impazzito di punto in bianco, per il narratore allodiegetico  e il protagonista , invece, è solo accaduto un fatto naturalissimo. La verità, dunque, ci appare sin dalle prime battute, relativa, mai chiara e netta. Da una parte si pone il giudizio frettoloso di chi conosce solo una piccolissima parte della quotidiana vita di Belluca, di chi in modo sommario, superficiale e un po’ livido e irriverente ostenta una pietà insulsa e falsa, dall’altra si introduce il tentativo, sia pure relativo e soggettivo , del narratore di comprendere le ragioni profonde che hanno spinto Belluca a spezzare le catene della sua grigia esistenza. La verità deve essere ricercata, investigata, analizzata e deve poggiare su un solido tentativo di analisi e conoscenza, non sulla superficialità del giudizio comodo e privo di un valido fondamento. La colpa di Belluca è solo quella di voler rompere la monotonia, la routine di un’esistenza segnata dall’alienazione familiare e lavorativa per via di un impiego ripetitivo, monotono e spersonalizzante. Attraverso l’uso dell’iperbole, Pirandello ci descrive la famiglia di questo uomo: una moglie cieca, fatto che fa provare al lettore sincera pietà, una suocera e una sorella della suocera anch’esse cieche, due figlie vedove con sette figli da ospitare e mantenere e l’effetto paradossalmente esilarante è ottenuto! Il prototipo del buon padre di famiglia che deve lavorare per mantenere amorevolmente i suoi cari, non fargli mancare nulla viene stravolto da questa sfortunata e assurda famiglia che il povero impiegatuccio fatica a mantenere, dove addirittura trovare un posto per dormire a tarda sera è una sorta di scontro tra titani. Allora il poveraccio, per arrotondare il misero stipendio, si porta a casa altro lavoro da completare, in attesa di cadere tramortito e privo di sensi su uno scalcinato divano che lo accoglie come unica consolazione dopo una giornata di duro e umiliante lavoro. Il motivo sentimentale e commovente del padre che si sacrifica silenzioso e forte per il bene della sua famiglia, viene dissacrato da Pirandello, portato al ridicolo attraverso quel “ sentimento del contrario” che spiega il riso amaro che accompagna le vicende più cupe dell’esistenza di ciascun uomo. L’uomo che Pirandello ci propone non è dominatore e artefice del proprio destino, come ancora certa borghesia ottocentesca si ostina a credere, ma è spesso frantumato, ha perso la certa identità a vantaggio di una miriade infinita di io alla ricerca di se stessi e dell’ unità ,ormai, irrimediabilmente franta e irrecuperabile. La grande industria, l’uso delle macchine che hanno ridotto l’uomo a compiere un lavoro meccanico che nega qualsiasi partecipazione personale e originale e che lo costringe ad un lavoro solitario e ripetitivo, la burocrazia che annulla l’identità dell’uomo, ne divora la personalità e lo riduce ad un numero, tanto fondamentale quanto spersonalizzante, le grandi metropoli che hanno di fatto annullato ogni possibilità di contatto umano, allontanando gli uomini gli uni dagli altri e costringendoli ad una solitudine esistenziale senza precedenti: Belluca è vittima di tutti questi straordinari cambiamenti. L’uomo oramai è in trappola: la vita è una condizione carceraria da cui l’uomo tenta di evadere, ma finisce con l’essere irrimediabilmente schiacciato e deluso. Ormai è chiaro, al maestro, che l’uomo è vittima delle convenzioni sociali, costretto a trovare il suo ruolo in questa grande “pupazzata” che è la vita, costretto a morire mentre è ancora in vita senza riuscire ad opporsi ad un destino ineluttabile. Il dolore dell’uomo pirandelliano è il dolore di chi rifiuta i meccanismi sociali, i ruoli che la società impone e che cerca disperatamente l’autenticità, la spontaneità, le tracce della propria personale  e straordinaria esistenza. Una società che Pirandello demistifica, che rifiuta ma in cui l’uomo è costretto a vivere per esistere, per essere certo di esserci, per essere considerato essere umano. Ma la trappola più terribile è la. famiglia: Pirandello coglie il senso devastante di questa sacra istituzione, analizzandola cinicamente e con disincanto. La famiglia vanifica ogni tentativo di indipendenza dell’uomo, lo riduce a piccolo ingranaggio con una serie di movimenti già scritti, con un copione che non lascia spazio all’improvvisazione, soffoca l’aspirazione dell’uomo ad affermare la propria libertà, lo vincola in un meccanismo di odio, tensione sociale, ipocrisia, menzogna e lo snatura. Accanto alla famiglia l’altra trappola è rappresentata dalla posizione economica e dal lavoro :il bisogno, tutto sociale, di avere un lavoro che consenta di mantenere dignitosamente la famiglia, un lavoro, per la maggior parte degli uomini impiegatizio, fatto di gesti ossessivamente ripetitivi che non richiedono grandi capacità o straordinarie qualità, ma solo un meccanicistico ripetersi lento, metodico e frustrante di gesti sempre uguali. Che cosa rimane allora, all’uomo? Nulla. Pirandello attacca e demolisce la società e le sue regole ferree e limitanti, ma non riesce a trovare una via d’uscita: la vita è una condanna al dolore senza appello e senza possibilità di riscatto. Eppure Belluca, ad un certo punto trova un modo per riprendersi la sua dimensione di essere umano: il fischio del treno gli ricorda che fuori c’è la vita, che fuori c’è un mondo che si muove, che respira, che forse non tutti sono così maledettamente infelici e soli, che si può viaggiare lasciando alla mente la libertà di vagare, la vita, attraverso il fischio del treno, rientra prepotente nell’esistenza dell’uomo Belluca e, in opposizione agli spazi angusti che hanno finora accompagnato la descrizione delle vicende di questo impiegato, gli spalanca spazi aperti, sterminati e percorribili senza paure o senza perdere di vista il ruolo che la società gli ha assegnato. La vita che rientra, gli provoca un trauma terribile: da uno stato catatonico ad uno stato di frenesia, di delirio da riscoperta della vita tanto che non gli riesce di controllare le sue reazioni, certo, ha esagerato un po’, ma ora sa che quando vorrà, potrà chiudere gli occhi e respirare a pieni polmoni la vita, viaggiando e  immaginando distese azzurre e città e luoghi sconosciuti. Ma Belluca, a differenza di altri eroi pirandelliani, non sceglie di evadere definitivamente, non si ribella e basta, anzi ritorna alle sue responsabilità con un senso nuovo di ritrovata libertà, l’evasione sarà momentanea, egli torna, mansueto e circoscritto, a rivestire i panni del buon padre di famiglia che responsabilmente la mantiene  e svolge il ruolo assegnatogli dalla società, ma si lascerà qualche momento di fuga per consolarsi di una vita ingiusta e senza soddisfazioni. La novella rivela l’uso sapiente dell’arte umoristica di Pirandello che, in una saggio, egli stesso cerca di spiegare in contrasto con la comicità:  la riflessione serve a passare dall’ ”avvertimento del contrario” proprio del comico, al “sentimento del contrario” proprio dell’umoristico.  Solo la riflessione restituisce alle situazioni il giusto valore e aiuta a comprendere i meccanismi profondi che determinano l’esistenza, i sentimenti, i pensieri e la vita stessa, una riflessione che poggia proprio quasi esclusivamente sull’analisi  della disarmonia, della contraddizione, del grottesco, del ridicolo, dell’esagerazione in opposizione alla consolidata prassi letteraria che tende sempre a comporre i dissensi e a ridurli a forma ordinata e, per molti versi, assai più rassicurante. La struttura della novella predilige l’intreccio, tempo della storia e del racconto, dunque, non coincidono e risultano impreziositi da analessi e dettagli della vita del protagonista che il suo vicino di casa vuole rendere noti al lettore per consentirgli di comprendere umanamente il caso di Belluca. Il quadretto che Pirandello ci fornisce del dialogo irreale del capoufficio e di Belluca che incalzato continua a ripetere che “ Il treno ha fischiato” è esilarante: l’ira del capoufficio si scontra con la ritrovata felicità di Belluca e non regge all’urto! L’uomo si infuria, non riconosce il mulo che era solito picchiare, offendere e maltrattare, addirittura l’uomo alza la voce e si ribella, lasciando il capo esterrefatto. A differenza dei colleghi di Belluca, l'io narrante, l'unico in grado di dare un senso alle cose, riesce a "riattaccare" quell'orribile coda al legittimo proprietario. Paradossalmente la scoperta del mostro (l'intera verità) non spaventa il narratore, tutt'altro. E' l'ignoranza la vera nemica, e non la conoscenza della realtà, per quanto cruda essa possa essere (come la "prigione" di Belluca): da "mostruosa", la coda diviene "naturalissima", "qual  dev'essere". Il risultato magistrale di ogni singolo scritto di Pirandello sta tutto in quella lucida, disincantata, a volte crudele analisi della società e dei meccanismi che la determinano e l’incapacità, tipica dell’uomo, di inserirsi in un sistema prevaricante e che non ammette debolezze, ripensamenti o, semplicemente, voci fuori dal coro.






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