“
Spesso il male di vivere ho incontrato” di Eugenio Montale
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Testo emblematico della
produzione poetica montaliana la quale riflette, soprattutto nella sua prima
fase, la consapevolezza di un mondo dominato dall’incertezza e dalla
contraddizione, la lirica Spesso il male
di vivere ho incontrato esprime il modo di una tipica condizione di
malessere esistenziale. Inclusa nella raccolta “Ossi di seppia”, apparsa nel
1925, il cui titolo allude, quasi in veste di “correlativo oggettivo”
d’apertura, all’aridità e all’estraneità del vivere dell’uomo contemporaneo,
essa presenta non in forma concettuale o analogica, bensì in maniera
emblematica il senso indecifrabile dell’esistenza. Tale operazione letteraria
va collocata e intesa all’interno di un più ampio quadro storico-culturale che
configura, agli inizi del Novecento, una situazione di crisi, peraltro già
avvertita alla fine del secolo precedente, la quale, venuto meno il rapporto
diretto con la realtà e la fiducia di stampo positivista, determina l’emergere
di nuove e, per certi aspetti, “sovversive” tendenze letterarie. La conseguente
sensazione di precarietà e insicurezza, connessa, sul piano culturale, alla
“perdita d ’aureola” del poeta o di quello ideologo e mediatore, su quello
storico, alla tragica esperienza della Grande Guerra e alla situazione di
instabilità che, negli anni successivi alla sua conclusione, agevoleranno
l’affermarsi del fascismo prima, del nazismo poi, determinano il momento
rivoluzionario delle Avanguardie e la tendenza all’Espressionismo cui seguirà,
negli anni Venti, un complessivo ritorno all’ordine, rappresentato in Italia
dalla rivista “ La Ronda”. E’ significativo che proprio nel 1925, anno in cui
il fascismo si trasforma in regime esca “ Ossi di seppia” di Montale, raccolta
ispirata a un ripiegamento esistenziale di tipo post-espressionista. Le
soluzioni stilistiche e formali e le scelte tematiche del poeta , in cui alcuni
critici hanno rintracciato influenze di Camillo Sbarbaro e di Thomas Eliot (è
quest’ultimo ad aver usato l’espressione correlativo
oggettivo) , tra i contemporanei, la presenza di Leopardi tra i
predecessori, dunque, riconducibili ad un senso di negatività assoluta e ad un
“ male di vivere” che diventa una condizione storica ed individuale colta nel suo
aspetto misterioso si estende all’intera dimensione dell’esistenza, colta nel
suo aspetto misterioso e incomprensibile. Sottoposto a spinte di tendenze
poetiche diverse, tra le quali è opportuno ricordare non solo quelle simboliste
desunte sia da dalla poesia francese sia da quella italiana(da Pascoli e
soprattutto da D’Annunzio) ma anche quella dantesca(sotto l’influenza di
Eliot), il libro del 1925 è stato paragonato ad una sorta di “ romanzo di
formazione” attraverso il quale l’autore, a partire dallo smemoramento nella
natura cui segue il disincanto della maturità, perviene alla coscienza morale
quale stoica accettazione della vita su una terra desolata in cui ognuno deve
essere chiamato a compiere il proprio dovere al di sopra e al di fuori di ogni
compenso. Le tappe di questo itinerario poetico, il cui approdo sembra non smentire
l’influenza leopardiana, sono scandite dalle quattro sezioni di Ossi
di seppia che accoglie nella sezione omonima( la seconda) “Spesso il male
di vivere ho incontrato”, lirica in cui domina il motivo dello scarto, dell’ osso di seppia, appunto, gettato dal
mare sulla terra, escluso dalla natura e dalla felicità. La ripetizione
anaforica del titolo al primo verso sembra, infatti, sottolineare questa
condizione il cui concetto, il male di vivere, si materializza nell’opzione per
un verbo, come “ incontrare”, il quale determina una identificazione diretta
dell’oggetto, emblematicamente rappresentato attraverso una presenza reale e
fisicamente tangibile: il rivo strozzato,
la foglia riarsa, il cavallo stramazzato. Il “male di vivere”, essendo
ormai stato posto in crisi il simbolismo, non viene evocato in senso metaforico
e analogico, ma concretamente reso tramite il ricorso al correlativo oggettivo. Si conclude così il primo momento della
poesia , coincidente da un punto di vista metrico con la prima quartina, cui
segue, secondo una struttura binaria, la rappresentazione del “bene”, anch’esso
individuato, nella seconda quartina, in immagini simmetricamente collocate
rispetto a quelle precedenti: la statua, la nuvola, il falco. In opposizione al
male di vivere non vi è per Montale altro bene che l’imperturbabilità( la
statua), la distanza(la nuvola), la chiaroveggenza( forse espressa dal falco
che vola al di sopra della miseria del mondo): la natura di tale bene è,
allora, tutta pessimistica e, comunque, individuabile in un atteggiamento di
stoico distacco, come quello proprio della divinità( “ la divina Indifferenza”) la quale, in senso leopardiano, resta
passiva e insensibile di fronte alle gioie e ai dolori degli uomini. Gli
oggetti sono, dunque, emblemi, moderne allegorie in cui è trascritto in un
linguaggio cifrato, il destino dell’uomo e del poeta il cui malessere
esistenziale è reso a partire dal livello fonico- timbrico in virtù di uno
straordinario gioco di equivalenze sonore e di parallelismi fonici. Le
allitterazioni delle liquide /r/l/( si noti anche la triplice assonanza di
quest’ultima al v.9), spesso unite ad altra consonante, quasi a renderne più
faticosa la pronuncia( per esempio “ rivo” v.2 “cavallo” v.4) oppure precedute
dalle vocali /e/a/( come in “era”- “ incartocciarsi” v.3 , “riarsa” v.4);
quella della /s/ al v. 7 ( “statua…sonnolenza”); l’assonanza ricorrente /e/o/
che accosta parole semanticamente opposte tra loro( come stramazzato-levato);
la reiterazione del suono /f/( “foglia” v.3, “ Indifferenza” v.6, “falco”
v.8)in parole tra cui si instaura un rapporto di progressivo allontanamento a
livello di significato implicito; l’asprezza spigolosa di certi termini (“strozzato”-
“gorgoglia”- “incartocciarsi”) determinano sul piano acustico, un effetto di
tormento affannoso, di lentezza mortale, di ineluttabilità nonché il senso di
una vita arida e scheletrica. Anche la rima, oltre a produrre echi e rimandi
sonori immediatamente fruibili, svolge una funzione espressiva, arricchendo e
potenziando, per analogia o opposizione, le parole “compagne di rima” creando particolari effetti nel caso di rime
interne al testo. Per quanto riguarda l’aspetto metrico occorre precisare che,
anche in questo caso, è possibile cogliere un’evoluzione che, a partire da
un’oscillazione tra le forme aperte e il verso libero, da un lato, e forme
chiuse più consuete, conduca ad un recupero in chiave moderna della tradizione,
evidenziabile in testi poetici come quello in questione. Questo, infatti, risulta costituito da due
strofe o quartine di endecasillabi, con
l’eccezione dell’ultimo verso, che presenta un metro martelliano o doppio
settenario., il primo dei quali è sdrucciolo: tale combinazione, insieme
all’alternanza di endecasillabi a maiore
e a minore, alla presenza della
sinalefe( vv. 1-2-4-6-8) ricorrente ben due volte in fine di strofa, alla
simmetria costruttiva delle sue quartine, determinano un ritmo sostenuto e,
tuttavia, aspro e discorsivo, segno della ricerca di un rigore e di un
equilibrio formale che compensino l’esigenza di un equilibrio interiore, ma il
cui raggiungimento, si rivela, inevitabilmente, precario. Anche a livello
stilistico-retorico la sensazione percepita è di tale natura: concorre a
determinarla un lessico che alterna termini di uso letterario ( come “rivo”,
“incartocciarsi”, ”riarsa”, ”prodigio”) ad altri quotidiani e colloquiali(come
“strozzato”, “cavallo”, “nuvola”); la presenza della paratassi quale struttura
sintattica predominante ed il ricorso frequente all’interpunzione che determina
effetti di rottura da un lato, e alla sinalefe che tenta di ristabilire il
senso di disgregazione e frammentazione del “ male di vivere” dall’altro. La
collocazione, in posizione incipitaria, dell’avverbio “spesso” sottolinea la negatività di un’esperienza che
si suppone reiterata nel tempo, mentre notiamo come le tre immagini di
impedimento sono rese, nella prima strofa, facendo ricorso ad un doppio climax:
dalla difficoltà di esistere( il “rivo”) alla vita sul punto di finire(la
“foglia”) alla morte( il “cavallo”) e dall’esistenza inanimata a quella
vegetale a quella animale. A tali immagini si contrappongono, attraverso
l’antitesi male/bene, quelle della strofa successiva, anch’esse disposte in
modo da determinare un climax, reso da un progressivo innalzamento, in
contrasto con la terrestrità bassa dei tre esempi della prima quartina(la rima“
stramazzato…levato” sottolinea l’antitesi spaziale basso/alto). Alla luce di
quanto detto risulta, dunque, evidente come la poesia di Montale, in particolare
quella degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta si stagli nel variegato panorama
letterario e artistico del tempo, restando ricca di cose, di oggetti, di
particolari minuti nonché condensandosi in immagini emblematiche di carattere
universale o esistenziale.