domenica 9 giugno 2013

Analisi del testo: " Rosso Malpelo" di Giovanni Verga



 “ROSSO MALPELO” DI GIOVANNI VERGA

Testo integrale della novella su:
http://www.mediacinema.org/_Italian_119_iWeb/Italian_119_files/Rosso%20Malpelo.pdf


La novella “Rosso Malpelo”, inserita nella raccolta intitolata “Vita dei Campi” del 1880, è il ritratto di uno dei tanti giovanissimi che nel secolo scorso lavoravano nelle miniere di zolfo in Sicilia, come pure nelle cave di pietra o nei campi. La raccolta pubblicata nel 1880 apre la stagione più matura dello scrittore che, dopo un esordio influenzato dalla cultura milanese e fiorentina alla ricerca di uno stile proprio e di temi accattivanti, torna a focalizzare la sua attenzione sulla amata Sicilia, nel tentativo di descriverne la miseria e il degrado. La novella entra a pieno titolo nel novero dei racconti che vogliono celebrare un ambiente primitivo e spontaneo, fortemente impregnato di elementi folkloristici, caratterizzato da gesti istintivi e violenti (si pensi all'assassinio della Lupa ad opera di Nanni per liberarsi dalla passione bruciante). Malpelo, sin dall'esordio del racconto, attraverso un dettaglio fisico, viene caratterizzato per il ruolo negativo che la società gli ha destinato. La focalizzazione interna multipla, grazie alla quale Verga svela il punto di vista della comunità e che consente al lettore di calarsi in una realtà sociale fortemente condizionata dal pregiudizio, dalla superstizione e dall'ignoranza, è una delle tecniche più utilizzate dall'autore per perseguire quel canone dell’impersonalità tanto caro ai veristi. Un atteggiamento da “scienziato”  quello di Verga che, lungi dal voler proporre soluzioni o dal voler sollevare polemiche, si limita a descrivere la realtà nuda e cruda senza abbellimenti, senza aggiunte o modifiche. Prevalgono sequenze narrative e descrittive, con alcune sequenze riflessive che portano il lettore a lasciarsi travolgere dal racconto. Mancano le sequenze dialogiche per la scelta di affidare al discorso indiretto libero gli scambi di battute tra i personaggi. La storia di Malpelo è la storia di un giovane condannato dal colore dei capelli ad essere considerato malvagio non solo dalla società, ma persino dalla sua famiglia, senza essersi mai macchiato di alcun crimine o misfatto. E’ una storia di violenza e di soprusi, la vicenda di un adolescente che, senza il conforto di un qualsivoglia affetto, vive rassegnato la parte assegnatagli dal destino, sopportando coraggiosamente le violenze della vita, con l’unica consolazione di potersi rifare sui più deboli secondo la morale che “ l’asino va picchiato perché non può picchiare”. Tuttavia l'apparente accanimento nei confronti di Ranocchio, un giovane malaticcio arrivato alla cava, non deve indurre in errore: nel primitivo sistema di valori di Malpelo, le sue percosse devono essere da stimolo per il ragazzo che deve imparare a difendersi, a reagire e non deve subire passivamente gli abusi di chiunque.  Del resto il tema della rassegnazione come unica difesa da opporre ad una sorte che, sebbene crudele, non si può cambiare è ampiamente trattato da Verga. Non si può modificare il proprio destino, perché chi osa farlo si vede distrutto, umiliato e degradato: niente e nessuno ha potere sul fato, anzi più si tenta di cambiarlo e più questo infierisce con violenza e rabbia. L’atteggiamento di Malpelo, l’ostinazione con cui resiste ai soprusi, l’ansia di verità e di giustizia che manifesta, sono gli elementi che caratterizzano i “ perdenti”, quelli che la storia ha collocato ai margini e che non hanno altra scelta. Non c’è giustizia per il giovane Malpelo che si perderà nei cunicoli bui della miniera, perché la giustizia è dei ricchi, non dei poveracci che muoiono per il crollo di una galleria con l’unica colpa di aver tentato di guadagnare qualche soldo in più. L’uso di una lingua vicina al parlato dei siciliani umili, l’inserzione di proverbi ed espressioni dialettali, rinviano a quel desiderio di adesione alla realtà che condiziona il Verismo.  Gli scrittori veristi, tra i quali spicca la figura di Giovanni Verga, prendono le mosse dal Naturalismo francese, per distanziarsene immediatamente di fronte ad una realtà sociale fatta da masse inerti e silenziose, incapaci di reagire e di comprendere il messaggio sociale a loro destinato. La società che emerge da questa, come dalle altre novelle di Verga, è immobile e arcaica, ostile ad ogni idea di progresso, legata alle superstizioni e alle tradizioni del passato. La miseria, il degrado non creano unione, ma si crea un clima di rancore, invidia e gratuita cattiveria come nel caso di Arcangelo nella novella Don Licciu Papa che non solo è vittima della prepotenza di un ricco reverendo, ma anche della cattiveria della comunità che giustifica le sue disgrazie come meritate, volute da Dio, per essersi opposto ad un uomo di chiesa. Poco importa chi ha torto e chi ha ragione, perché ciò che conta è solo il ruolo sociale di ciascuno che determina vinti e vincitori. L’immobilità sociale è la sola via d’uscita: che ognuno resti al suo posto, che nessuno osi modificare l’ordine prestabilito delle cose perché l’unico risultato possibile sarebbe il caos. La Sicilia di Verga, che nasce a Catania nel 1840, è la stessa terra dilaniata, sfruttata e condannata all'arretratezza della dominazione borbonica, la stessa che si infiamma all’arrivo di Garibaldi e dei Mille, ma senza che tutti gli strati della società comprendano il valore di un’operazione politica ambiziosa ed importante. In fondo per la povera gente è solo un cambio di consegna: dai Borbone al nuovo re, ma nulla cambierà nelle dinamiche sociali, i poveri saranno poveri, le donne resteranno intrappolate in un ruolo sociale marginale per essere considerate “ onorate”, la giustizia continuerà ad essere privilegio dei ricchi, il desiderio di possedere la roba renderà ancora più sole e ciniche le persone, rassegnazione sarà ancora la parola chiave dei miserabili che per trascinarsi in un’esistenza inutile e priva di ogni gioia, devono subire e sperare solamente che i ricchi abbiano pietà di loro. La visione della vita di Verga parte dalla considerazione che quanto affermato dallo scienziato Charles Darwin riguardo alle teorie sviluppate circa l’evoluzione degli esseri viventi, sia assolutamente applicabile anche alle dinamiche sociali: la vita è dominata dalla “ legge del più forte” che in un primo momento Verga individua in coloro che hanno la ricchezza e sembrano onnipotenti rispetto ad un sistema che non si oppone loro, ma che successivamente va ad investire tutti gli esseri viventi. La società che Verga descrive è corrotta, basata sull'individualismo, priva di solidarietà sociale, quasi che le sofferenze di alcuni facciano godere tutti gli altri, sottomessa al dio denaro, incapace di costruire relazioni affettive vere e autentiche. E’ una società che non conosce la pietà, la compassione e che infierisce sui più deboli, perché si sta meglio se si vedono gli altri soffrire, quasi un modo per sentirsi superiori e più fortunati. Una società drammaticamente attuale quella descritta da Verga, nella quale si ritrovano molte delle piaghe della moderna civiltà, sono passati i decenni, ma quel meccanismo che contrappone i più forti a coloro più indifesi presiede i rapporti sociali ancora oggi: un mondo fatto per i furbi, per coloro che non si fanno scrupoli, che non sentono il dolore degli altri, che tirano dritto per la propria strada non curandosi di chi giace schiacciato da un peso sociale e personale che non riesce a sopportare. La novella in oggetto ci fa riflettere anche sull’ importanza del pregiudizio, spesso senza alcun fondamento, che condiziona i rapporti tra gli esseri umani: Malpelo è vinto dal pregiudizio, tanto da accettare la parte assegnatagli dal destino e da realizzare le aspettative della comunità, comportandosi in modo cinico e spavaldo, nascondendo il suo dolore e la sua solitudine. Malpelo è vittima di quella “ profezia” che si avvera per coloro che, senza alcuna colpa, si ritrovano etichettati o intrappolati in ruoli da cui non solo non riescono a liberarsi, ma in cui si calano quasi fosse giusto così, convincendosi che certi giudizi , forse, sono davvero fondati. La letteratura, come sempre, è una splendido strumento affatto anacronistico, ma di una modernità straordinaria che coglie le dinamiche sociali, affettive e di relazione , analizzandole nella certezza che solo attraverso la conoscenza e la riflessione l’uomo può essere migliore.

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