mercoledì 24 luglio 2013

E-BOOK: LA SCUOLA PUO' ATTENDERE

La decisione del Ministro dell’Istruzione Anna Maria Carrozza in merito alla necessità di differire di almeno un anno l’obbligatorietà dei libri digitali nelle scuole ha lasciato soddisfatti gli editori, meno l’opinione pubblica in generale. Le motivazioni di tale scelta, riferisce il ministro, poggiano sulla considerazione che serve più tempo per organizzarsi e per valutare le ricadute sulla salute dei giovani utenti esposti ad un uso prolungato di strumenti tecnologici, oltre che denaro per dotare le scuole e le case di banda larga e WI-FI. In realtà, su tutte, sembrano prevalere le ragioni degli interessi economici degli editori che nell'immediato dovrebbero mandare al macero moltissimi libri già stampati e, soprattutto, vedrebbero notevolmente ridotti i loro profitti!  La scuola italiana deve, purtroppo, fare i conti con l’accusa di recepire troppo lentamente i segnali di cambiamento e di non essere tempestiva nel realizzare l’ammodernamento richiesto a livello mondiale, deve essere più competitiva e fornire ai propri utenti strumenti più efficaci e al passo con i tempi, che rispondano in maniera mirata alle richieste di una società globalizzata e tecnologica e sembra che l’introduzione dell’e-book risponda a tutti questi diktat. La nostra scuola  così criticata, vilipesa, accusata di anacronismo, di immobilità culturale eppure così poco considerata dai diversi governi di destra e di sinistra che si alternano e che sistematicamente scelgono di non investire in uno dei nodi essenziali, se non vitali, di una società che si rispetti, ora sembra arrivata ad un bivio di fondamentale importanza: rendere obbligatorio l’e-book pare proprio che possa rivoluzionare la scuola italiana, una panacea a tutti i mali accumulati nel corso dei decenni!!! Francamente sorrido di fronte a tante parole spese tra coloro che sono a favore e coloro che, per difendere i propri interessi, oppongono motivazioni discutibili e poco credibili.
Da insegnante, neppure troppo avanti con gli anni, dico che non potrei rinunciare al piacere fisico dello studio, fatto dell’odore della carta, della matita che sottolinea e ferma immagini, pensieri, che riassume, commenta e lascia una traccia indelebile dell’incontro con il libro! Non nego certamente il valore e l’importanza della tecnologia, ma il nuovo deve convivere con la tradizione e con un modo di studiare che si è rivelato efficace e valido sempre e ovunque. I nostri laureati esprimono, in moltissimi casi, eccellenze e competenze qualificatissime, i nostri cervelli scappano all'estero per completare gli studi e cercare un lavoro che il nostro paese, non la nostra scuola, gli nega! Dobbiamo rivedere i programmi, forse persino il modo di insegnare, ma non mi pare che la scuola abbia questa priorità in questo momento!!!! Parliamo di e-book e in alcune scuole manca la connessione, parliamo di tecnologia avanzata e le strutture di alcune , la maggior parte delle scuole, sono fatiscenti, per usare un eufemismo! La riqualificazione della scuola passa prima di tutto dalla creazione di ambienti accoglienti, puliti e sicuri, poi dal sacrosanto e giusto riconoscimento del ruolo sociale  e professionale dei docenti corrispondendo loro uno stipendio europeo ( perché essere moderni significherà pure adeguare gli stipendi oltre che introdurre gli e-book!), infine dagli investimenti che il nostro paese, che non riesce a tagliare le spese della farraginosa macchina statale ma nega fondi alla scuola trasversalmente, non sembra intenzionato a fare!!!! Mi piace l’idea di far risparmiare denaro alle famiglie sempre più in difficoltà, ma non credo davvero sia questa la soluzione per ovviare ai troppi problemi della scuola. Peccato che per cose del genere si accendano polemiche esagerate, appassionate e mentre la scuola viene privata della dignità e dei mezzi minimi di sussistenza nessuno si lanci in battaglie in difesa e a tutela di un istituzione che rimane, per me e molti insegnanti, SACRA!!!!!!!!! Lavoriamo per una scuola al passo con i tempi, diamo alla tecnologia il giusto valore e il meritato posto nella vita di docenti e studenti, ma non perdiamo di vista, mai, che la scuola è fatta di contenuti, di conoscenze e di competenze che insieme istruiscono gli studenti e che sono assolutamente complementari e tessere imperdibili di un puzzle complesso da ultimare: la formazione  dei nostri giovani!

giovedì 11 luglio 2013

FERMIAMO QUESTA STRAGE

Un bambino di due anni seduto in lacrime su un divano e una giovane mamma dilaniata dalle coltellate inflitte sul petto, riversa sul pavimento della cucina: questa la scena agghiacciante che si è presentata sotto gli occhi di un nonno, costretto a prendere atto dell’ennesimo delitto annunciato.  Sono due le riflessioni da fare davanti all'ennesimo efferato episodio di violenza sulle donne: la giovane aveva lasciato il compagno violento tornando a casa dei suoi genitori, lo aveva più volte denunciato per le percosse e le minacce, ma nulla e nessuno ha potuto impedire la sua morte. Mi chiedo allora qual è il senso e l’utilità dell'introduzione del reato di stalking se questi maledetti uomini denunciati e segnalati riescono a portare a compimento i loro insani propositi? Siamo davvero in balia dell'ossessione di uomini sbagliati, malati, instabili o semplicemente non - uomini che, rifiutati, ci uccidono? Ancora una donna uccisa da un sistema che non l’ha difesa, che non l’ha tutelata eppure una donna che non ha avuto paura, che ha denunciato, che ha messo al sicuro il suo bambino e se stessa, ma non l’abbiamo salvata. Purtroppo accanto a questa tragedia si è consumata un’altra tragedia, quella dell’infanzia rubata a questo piccolo esserino indifeso i cui occhi hanno incontrato il Male, quello che non ti aspetti, quello che ti marchia a fuoco la pelle e che non puoi più dimenticare. Lui stesso vittima della violenza assurda di un padre contro la madre di suo figlio, di un uomo che doveva amarlo, proteggerlo, insegnargli ad amare e rispettare le donne, che doveva educarlo e farlo diventare un Uomo,  un bambino vittima di un mostro che non si è fermato neppure di fronte alla sua innocenza. Che cosa avranno registrato quegli occhi innocenti? Che ferita ha squarciato il cuore di questo piccolo? Tremo al pensiero del mostro che si insinuerà nel cuore di questo angelo e di tutti i mostri che dovrà combattere per vivere una vita serena e senza risentimento. La famiglia violata, la casa violata, la purezza degli affetti violata: il posto che dovrebbe essere il  più sicuro per antonomasia, diventa , invece, una fabbrica di orrore e morte. Mi viene in mente l’idea che Pascoli aveva della famiglia come luogo di amore, calore, protezione e sicurezza rispetto ad un mondo crudele, dominato dalla violenza e dalla sopraffazione. Oggi tutto è cambiato e i nemici li teniamo, spesso, con noi, li alimentiamo con il nostro amore e con la nostra incapacità di riconoscerli prima che sia troppo tardi. Certo riconoscerli…ma come? Come si può capire che in un uomo apparentemente amorevole, premuroso, innamorato si celi un mostro pronto ad uccidere se non ricambiato come pretende o come si aspetta? L’amore ha in sé un’essenza di abbandono, fiducia, rispetto senza cui non potrebbe esistere: come possiamo affrontare una relazione costruendoci barriere, vivendo nel terrore di diventare oggetto di ossessione per qualcuno o di rendere i nostri figli protagonisti involontari di violenza e dolore. 
Penso alla solitudine di questo bambino, al senso di vuoto con cui dovrà fare i conti, ai perché cui dovrà dare risposte, al senso di frustrazione che dovrà imparare a gestire, al senso di solitudine profonda e irrimediabile con cui dovrà imparare a convivere. Nel profondo, tuttavia, voglio sperare che questa società che non ha saputo proteggere la sua mamma tanto coraggiosa e forte, sappia offrire a questo bambino tutto l’aiuto possibile perché lui possa metabolizzare questa tragedia, perché non cresca nell'odio e nel desiderio di vendetta, perché si spezzi questa maledetta catena di male per male, perché lui abbia la possibilità di scegliere senza sentirsi segnato da un destino già scritto e che non si può cambiare. Mi piace credere che questo bambino sia messo in condizione di superare il dolore, il male, di comprendere che spesso non ci sono risposte esaurienti a tutto ciò che la vita ci pone innanzi, ma che c’è sempre la possibilità di prendere in mano il proprio destino e volgerlo al meglio. Questo bambino dovrà “perdonare” e non in senso cristiano, ma dovrà perdonare nel senso di accettare e lasciar andare i fantasmi che lo tormenteranno e non gli daranno pace. Spero che qualcuno ricorderà a questo bambino, una volta adulto che, come scrive M. Gramellini: “ I se sono il marchio dei falliti! Nella vita si diventa grandi nonostante”. Buona vita piccolo!!!!!



venerdì 5 luglio 2013

ESSERE INSEGNANTI OGGI

La mia riflessione nasce dall'urgenza di ridefinire e rinfrescare a certi colleghi quali sono i compiti precipui della scuola e quale è la grande responsabilità che ci assumiamo ogni volta che entriamo in classe. Una parola importante e un diktat per la scuola è orientamento, che sintetizza, a mio avviso, tutto ciò che il lavoro di un insegnante deve mirare a raggiungere al di là delle singole discipline. Il termine “orientamento” deriva dal latino oriens, orientis, participio presente del verbo oriri (“nascere”), che grazie al suffisso, esprime una decisa valenza strumentale: l’orientamento, dunque, è lo strumento per la nascita, aggiungerei, di sé. Tra gli obiettivi dell’orientamento scolastico va infatti riconosciuto, oltre alla volontà di agevolare i processi di scelta dell’alunno, il dovere di affiancarlo nella costruzione di un’immagine positiva di sé e nei primi passi di apertura verso il futuro. In una società in cui le parole d’ordine sono innovazione, flessibilità, adattabilità e riconversione, la scuola deve porsi come punto di riferimento stabile e costante, nonché assumersi la responsabilità di trasferire agli alunni progettualità ed autonomia decisionale come veri e propri stili di vita. Il compito orientativo della scuola si deve esplicare attraverso interventi, diversi per la loro specificità, che postulino un disegno unitario fondato sul criterio di continuità. L’orientamento deve esser un processo in fieri, caratterizzato da azioni coordinate e continuative che inizino dalla prima infanzia, individuino bisogni e aspettative ed indirizzino i processi verso una migliore qualità della vita, nella prospettiva finale di una crescita individuale ma anche, di riflesso, collettiva. Soltanto un processo orientativo così delineato potrà assicurare il diritto allo studio, cioè l’opportunità per ciascuno di raggiungere la propria maturazione, e sarà dunque allo stesso tempo un risolutivo strumento d’intervento contro la dispersione scolastica. Occorre, insomma, che la scuola continui a fornire i contenuti, essenziali per dare qualità e spessore agli studenti, ma nello stesso tempo tenga conto delle singole individualità. Ciascun docente ha il sacrosanto dovere di privilegiare la diversità e di mirare a rendere l’alunno consapevole dei suoi mezzi e promuovere la persona, privilegiando un insegnamento “strategico” e individualizzato nel rispetto della diversità del singolo. Il nostro obiettivo come insegnanti deve essere quello condurre gli alunni ad acquisire conoscenze concrete e spendibili ai fini di una scelta più consapevole e meno episodica ed emozionale. Perché insisto su questo tema? Perché “ fare orientamento” ci costringe a partire direttamente dal vissuto dei nostri studenti,  a conoscere le loro capacità, ad aiutarli ad avere stima di sé, a percorrere con loro una strada che li renda consapevoli delle proprie potenzialità, dei propri limiti, a guidarli a vivere la diversità come un valore che arricchisce gli strumenti di cui dispone un docente e avvia nuove e più efficaci strategie didattiche. In una scuola che sta cambiando, che punta ad una scolarizzazione di massa nell'apparente tentativo di elevare il livello culturale dei nostri giovani, non è più possibile insegnare guardando a standard predefiniti e impersonali, ma è diventato prioritario studiare strategie mirate, nel tentativo di stimolare e sfruttare le qualità, le attitudini e le disposizioni degli alunni. 

Non è più pensabile il docente che entra, si siede, spiega la sua lezione e assegna i voti non ponendosi il problema delle difficoltà degli alunni o, semplicemente, dei diversi tempi di apprendimento. Attenzione, però, a non lasciarci indurre in errore: la scuola non può e non deve essere privata dei contenuti che restano fondamentali per conservare e mantenere vivo tutto il nostro vastissimo patrimonio culturale del quale i giovani devono avere coscienza e consapevolezza, ma non può non adeguarsi ad una società che cambia e che le affida compiti sempre più disattesi dalle famiglie.  Che ci piaccia o no il ruolo dell’insegnate richiede un apertura al “counseling” e alla consapevolezza che per aiutare i nostri studenti non dobbiamo fornire loro soluzioni pronte e preconfezionate, ma aiutarli a comprendere la situazione in cui si trovano, a riconoscere le difficoltà e a gestire strategie di azione per superare gli ostacoli. Orientare, per me, significa insegnare ai giovani a vivere mettendosi continuamente in discussione, riconoscere punti di forza e di debolezza, sfruttando i primi e lavorando sui secondi per raggiungere una buona qualità di vita. Tutto il mio discorso ( alcuni storceranno il naso!) non punta a fare della scuola una succursale di Caritas o un centro di ascolto, ma ha come obiettivo la riflessione che il nostro lavoro non si può limitare alla trasmissione di contenuti senza passione e senza coinvolgere e lasciarsi coinvolgere dai ragazzi. Quella con i ragazzi è una relazione che, talvolta, dura anni e che implica un coinvolgimento emotivo e umano forte e difficile. Storicamente all'insegnante è sempre stato affidato il compito di educare, rendere consapevoli, trasmettere valori e contenuti e fornire esempi di vita ai giovani che gli vengono affidati: oggi più che mai davanti ad una società che non è attenta ai giovani, alle loro richieste, alle loro fragilità la scuola deve, nei limiti degli strumenti di cui dispone ma forte delle competenze e delle risorse umane e professionali dei docenti, diventare un punto di forza della nostra società e un riferimento sicuro per gli studenti. Credo che sia questa l’unica strada che abbiamo come docenti per riprenderci il posto che ci spetta e che meritiamo nella società: essere professionali, tenere il passo con una società che cambia e non avere paura di lasciarci coinvolgere dai ragazzi, non mordono, studiano poco ma sanno essere riconoscenti e dare affetto in modo inatteso…è la parte più bella di questo lavoro!!

martedì 2 luglio 2013

“ SOLO I COLTI AMANO IMPARARE, GLI IGNORANTI PREFERISCONO INSEGNARE”




Una frase lasciata su uno stato di facebook per esprimere il disappunto per un esame che non è stato soddisfacente, una frase lapidaria riferita ad un insegnante che, forse, non ha fatto bene il suo lavoro eppure, per me, questa frase astiosa rappresenta il dolore per l’ennesimo fallimento di una istituzione sacra e preziosa quale è la scuola. Ora sarebbe facile rimbrottare la studentessa, chiederle di riflettere e di cercare le cause di quanto le è capitato, la sua percezione dell’insegnante è stata, a dir poco negativa, e questa massima tanto vera per ciascun docente che ami e rispetti questo lavoro, diventa amaro sfogo e monito a recuperare la dignità di adulti e di docenti. Questa scuola che va alla deriva, questi insegnanti vilipesi, sottopagati, sviliti nel ruolo che da sempre gli ha richiesto la cura e la crescita delle nuove generazioni, che non sono più in grado di comprendere che di fronte ad una scuola che cambia, in meglio o in peggio non importa, bisogna tenere il passo. Che cosa abbiamo perso? Fanno male solo a me le parole di una giovane ferita, amareggiata e delusa non dalla sua prestazione , ma dall'atteggiamento ottuso, meschino e scorretto di un insegnante che in questi anni doveva lasciarle qualcosa di importante da spendere proprio in un momento delicato come l’esame di Stato? Tutti noi insegnanti sappiamo bene quanto sia difficile lavorare con questi ragazzi sempre più soli, sempre più fragili, sempre più demotivati, sappiamo quanta poca complicità ci sia tra noi e le famiglie che ci percepiscono come nemici da combattere e da cui proteggere i propri figli, ma siamo davvero sicuri di non aver perso la dignità del nostro ruolo, la consapevolezza del valore sociale, civile e umano del nostro lavoro? Lo stipendio non è gratificante, ci manca la tutela, il riconoscimento sociale, la forza per combattere un sistema che ci fagocita e ci spinge a diventare burocrati senza che possiamo ribellarci, ma in tutto questo, purtroppo, si fa largo l’indifferenza e la demotivazione di certi colleghi che non sono in grado di costruire una relazione formativa efficace con gli studenti, fatta di complicità, di serietà, di ore impiegate a spiegare, a raccontare attraverso le proprie conoscenze come si diventa uomini e donne, fatta di empatia, di rapporti personali che si devono cementare  per rendere accogliente l’ambiente formativo. Mi spiace che una giovane studentessa esca dalla scuola con tanta amarezza nel cuore e tanta rabbia, lei è l’ennesimo fallimento di un sistema che da una parte lotta per esistere all'interno di uno Stato che sembra puntare al livellamento culturale e favorisce l’appiattimento, dall'altra deve, invece, grazie ai propri valori e alle proprie consapevolezze rivendicare la propria funzione educativa, recuperando la giusta relazione con i ragazzi e, magari, con se stesso!!! Anche io ricordo una insegnante che non riusciva proprio a comprendere il caratteraccio di una studentessa curiosa, in cerca di un importante riscatto sociale, piena di voglia di imparare ma difficile da guidare: sento ancora le sue parole dure, umilianti e gratuitamente cattive rispetto ad una manifesta intenzione di fare l’insegnante da grande……Ripenso ancora a quell'insegnante che, attraverso la sua chiusura e l’incapacità di comprendere una giovane studentessa certo intemperante, irruenta, rompi scatole,  ha insegnato a quella giovane oramai donna che cosa non si deve fare mai con i propri studenti! Lei mi ha reso attenta ai bisogni dei ragazzi, mi ha insegnato che sono io l’adulto e che devo andare io incontro a loro e che devo essere io ad infrangere la loro diffidenza e a guadagnare il loro rispetto.  Porto nel cuore ancora quella delusione, quella umiliazione, ma so che da quel dolore è cresciuta l’insegnante che oggi ama questo lavoro per l’opportunità che le offre di stare a contatto con i ragazzi, di scambiare con loro sapere, vita, complicità e comprensione. Solo se riusciamo a costruire con questi giovani un rapporto proficuo fatto di rispetto e complicità, riusciremo a riprenderci ciò che la società odierna ci toglie ogni giorno: il ruolo fondamentale nella vita dei giovani che con noi devono imparare a conoscere, che con noi devono fare un percorso di crescita che li renda autonomi e pronti a costruire se stessi e la propria identità sociale e civile. Mi spiace per quei giovani che incontrano insegnanti non degni di questo nome ( di cui, purtroppo, la scuola è piena!!!) e dimentichi della responsabilità che hanno, ma so che anche dalle brutte esperienze si può partire per crescere ed essere migliore di chi non ha mantenuto fede all'impegno preso con i suoi studenti e, forse, con se stesso!!