venerdì 7 giugno 2013

Analisi del testo: " Città vecchia" di Umberto Saba





Città vecchia di Umberto Saba

Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.

Qui tra la gente che viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.

Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.





I versi appartengono ad una sezione del Canzoniere che porta il titolo  Trieste e una donna e che apparve nelle edizioni della Voce: subito fu chiaro che Saba era diverso, come lui stesso ammise, dai vociani che boicottarono quel libretto , per reclamizzare Il mio Carso di Scipio Slataper. Il percorso artistico di Saba appare assai tortuoso proprio per l’impossibilità di incanalare la sua poesia in una delle correnti letterarie contemporanee: troppo tradizionalista per i vociani, affatto considerato dai futuristi, non ebbe fortuna neppure presso i rondeschi del dopoguerra, tanto schizzinosi in fatto di squisitezza artistica da non poter assolutamente accettare una poesia così realisticamente compromessa e piena di vistosi puntelli ritmici. L’equivoco attorno a Saba nacque proprio in rapporto al suo “realismo”, che sembrò un residuo ottocentesco o al massimo un accostamento agli “oggetti” crepuscolari: quando in realtà egli offriva, attraverso la fedele registrazione degli oggetti e delle figure del mondo oggettivo una nuova chiave psicologica ed esistenziale di lettura della realtà. Città vecchia ci offre uno squarcio di vita quotidiana di una normale via di Trieste. La città natia sarà un tema ricorrente in Saba: per lui, come per il conterraneo Svevo, il “ritardo”, da entrambi denunciato, con cui la letteratura triestina recepiva le poetiche e le mode già superate dalle nostre avanguardie, fu determinante. Ma nascere a Trieste significava ritardo quanto all’atteggiamento specifico in fatto di poetiche, ma netto anticipo quanto alla sensibilità per le profonde correnti del rinnovamento europeo. La lettura della lirica è scorrevole e l’impressione che se ne ricava è di una sconcertante semplicità, ma bisogna fare attenzione perché l’ingenuità in Saba è solo un modo di collocarsi senza prevenzioni e senza pregiudizi culturali nel mezzo della condizione umana, segnata da un’angosciosa solitudine e da un terribile senso di esclusione. Resta fondamentale, per comprendere le scelte poetiche di Saba, il peso che ebbe la componente ebraica (di padre “ariano” il suo cognome era Poli, ed egli volle cambiarlo in Saba che in ebraico significa “pane”): essa alimenta il senso di solitudine che, per l’ebreo, attinge a ragioni storiche e metafisiche incomparabilmente più profonde di quelle di qualsiasi altro popolo e poteva divenire emblematica della condizione dell’uomo contemporaneo. Da un punto di vista metrico la lirica è caratterizzata da una forte presenza di endecasillabi alternati a quinari e settenari, mentre mancano figure retoriche come la sinestesia, l’analogia, il correlativo oggettivo e i procedimenti fonosimbolici. Il tradizionalismo del poeta triestino non è un residuato di poetiche superate, ma qualcosa di consapevole e voluto: la sua poesia di cose, infatti, comporta da un lato la presenza di un lessico e di una sintassi “ normali”, dall’altro, l’uso del metro, della rima, del ritmo e di tutte le altre risorse canoniche della poesia ai fini dell’intonazione lirica di una materia in sé prosastica. Tutta la poesia di Saba è una lotta per innalzare a misura di canto una nuda cronaca esistenziale: le “bruttezze” prosastiche, la devozione al metro e alla rima, la volontà di chiarezza a tutti i costi, la disarmante ingenuità di certe soluzioni lessicali e sintattiche, tutto obbedisce alla volontà di “fare poesia onesta”, cioè di aderire con estremo scrupolo al dettato delle cose. Vanno, tuttavia, segnalate per quanto concerne la prima strofa, l’anadiplosi( vv 3-4 qualche…/qualche), l’iperbato( vv 3-4 giallo…/…fanale) e l’inversione( v 4 affollata è la strada): solo figure sintattiche per fare in modo che i termini occupino un posto importante rispetto al valore che si portano dietro. La seconda strofa ci offre un carosello di figure umili, colte nella loro semplice e normale quotidianità: il via vai fra il l’osteria e il “lupanare”, gli uomini e le merci che, nella febbrile attività del porto, sono assimilati alla stessa condizione di scorie o rifiuti, una prostituta, un marinaio, un vecchio che bestemmia, una donna che bisticcia, un soldato che chiacchiera seduto davanti ad una bottega ed una giovinetta” impazzita d’amore”. La scelta del ceto popolare come luogo deputato di una fenomenologia esistenziale ricca di rivelazioni e strettamente legata alla ricerca dell’autentico e dell’istintivo: la vita rivela se stessa nell’elementarità non contaminata dalle sue pulsioni proprio là dove non esistono schermi culturali capaci di mascherarla o idealizzarla. E la vita è, nella sua essenza, nient’altro che  il ritmo scandito dagli eventi grandi e semplicissimi del nascere, dell’amare e del morire. La donna è, in questa lirica, rappresentata da una prostituta e da una giovinetta “ tumultuante…impazzita d’amore”: essa è mediatrice per eccellenza di umanità e natura, si assume, nella poesia sabiana, le maggiori responsabilità nella costante riduzione al naturale-istintivo. La donna è l’epicentro dell’Eros che, in un universo di naturalizzazione dell’umano, rappresenta la forza portante di tutto il “Canzoniere”. 
Il senso di solitudine, desolazione e angoscia emerge da questa descrizione rapida e incisiva, da questa figura che rimane nella mente del lettore dell’uomo-rifiuto. Ma il poeta non è animato, davanti ad un simile spettacolo, da un vago sentimento populistico perché egli non si china paternalisticamente su quel mondo, non discende da un olimpo letterario su di esso, ma ci vive dentro e lo sente come un mondo popolato da creature simili a lui. Questo atteggiamento di com-passione deriva dal fatto che Saba ha fatto della poesia uno strumento di consolazione, vi ha pensato come al luogo della sublimazione del dolore, alla risorsa di vita e di canto contro la stretta dell’angoscia, adeguando di conseguenza l’istinto di confessione lirica alle istituzioni più o meno canoniche della poesia, riconosciute in un certo senso come struttura categoriale permanente, qualcosa di esistente in concreto nella sua radiante e suggestiva specificità. Si capisce, dunque, che il poeta triestino mantiene intatto il linguaggio perché mantiene intatto il mondo. Egli continua a credere che il mondo esista perché ha bisogno di trovare consolazione, rifugio, protezione in mezzo alle care e consuete cose di sempre che formano il suo habitat irrinunciabile. La lirica è percorsa da un delicato senso di nostalgia, che è il sentimento che il poeta prova rispetto all’esistenza delle cose: la sua condizione di escluso, incapace di intrattenere con la vita rapporti di diretta e semplice simbiosi, si traduce in un patetico desiderio di ricomposizione del dissidio in termini di sentimentalità diffusa, di “ bontà” e amore offerti come contropartita di una possibile partecipazione alle gioie della convivenza. E’ inutile, forse, ricordare come l’abbandono della famiglia da parte del padre prima ancora che il poeta nascesse, l’allontanamento traumatico della balia amatissima quando aveva due o tre anni, la vita accanto alla madre rigida e risentita, influirono sul temperamento sensibilissimo del bambino nel senso di un incolmabile bisogno di affetto. Ma la carenza affettiva serve a spiegare l’amore per quella singolare istituzione , che promette consolazione, dolcezza, smemoramento e fama, che è la poesia, nella quale è possibile “trovare le necessarie dolcezze del grembo materno”, al di là delle delusioni inflittegli dalla madre vera. Tutti i  personaggi menzionati nella seconda strofa, così diversi e così presi ognuno dal proprio ruolo, hanno in comune di essere creature della vita e , soprattutto, del dolore. Un dolore che nasce dalla angosciata consapevolezza dell’irrimediabile male di vivere. Non c’è nulla che valga a compensare l’inesauribile malum mundi ed i rimedi sono sempre difese precarie e fragilissime che non possono in alcun modo garantire contro le insorgenze angosciose della consapevolezza. In Saba l’esistere, nel suo concreto  hic et nunc, domina sull’essere e anzi l’essere è completamente risolto nell’esistenzialità: di qui l’abbandono completo alle cose e il trasalimento angosciato per la loro radicale inconsistenza e l’amore come segno di una partecipazione assoluta. In questo contesto gli animali diventano addirittura un modello di riferimento per quella che potremmo chiamare la “ conversione” dalla cultura alla natura, in una semplificazione che, lungi dal costituire un impoverimento, rappresenta il modo più diretto  per collocarsi al centro di quell’unico, disperato e gioioso valore che è la vita. L’ultima terzina ci invita ancora a riflettere ( si noti l’inversione al v 20) su quanto l’umiltà possa indurre lo spirito ad elevarsi e proprio in virtù di questa “ riduzione” alla più semplice esistenzialità prendono estremo rilievo, nella poesia di Saba, gli elementi ambientali, con quel centro affettivo che sempre ritorna che è Trieste: è naturale, infatti, che come l’animale è inseparabile dal suo habitat, così il personaggio, così psicologicamente poco diversificato, trovi collocazione esatta nell’ambiente che lo esprime e di cui è espressione.  Senza contare che i luoghi, e dunque Trieste soprattutto, rappresentano la “tana”, il rifugio da cui dolorosamente ci si allontana e a cui si ritorna con l’ansia del “perseguitato”. E’ per questa angolatura interpretativa carica di desolata sapienza del dolore che i frequentissimi “paesaggi” sabiani sfuggono, pur rimanendo realisticamente riconoscibili, ad ogni pericolo di descrizionismo impressionistico: i luoghi, anche appena nominati e ridotti ad una spoglia nomenclatura, vibrano di questa sapienza che li investe, facendoli rivelazione di un amor vitae tanto più assoluto quanto più immerso nella consapevolezza dell’inesorabile morte. Non c’è bisogno del fatto grande per avere conferme all’antica persuasione della bellezza e tragicità del vivere: ce n’è tanto poco bisogno che a Saba basta spesso nominare un semplice oggetto, leggere un dato ovvio dell’esistenza per suscitare riscontri sapienziali.

5 commenti:

  1. La poesia mi e' piaciuta gia' dal titolo cosi vero e profondo. Non conoscevo le opere e la vita di Saba ma le informazioni che ne ho ricavato sono interessanti e tante. Il significato del suo cognome ' "pane" e' commovente. Ho letto tutto l'articolo e mi sono state chiare la spiegazione dei versi, delle rime..il significato dei personaggi e la provenienza della solitudine del poeta. Mi sono resa conto che sono una principiante in italiano e' per questo che non ho capito alcune parole e riferimenti ( devo lavorare sull'analisi del testo e leggere ancora di piu')...Quando ero piccolo le mie preghiere dicevano " Signore, dacci il nostro pane quotidiano" e da oggi Saba fara' parte della mia quotidianita'.... Ho ritrovato proprio lei, prof, nel articolo...

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    1. Grazie Diana, non è impossibile saper scrivere un'analisi del testo e se vorrai ci lavoreremo per arrivare ad un buon risultato!!! Sensibile come sempre e attenta!

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    2. Si, mi piacerebbe tantissimo. ..

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  2. Fantastico, come sempre direi.
    E bellissima la poesia, che con la sua semplicità, racchiude un immenso significato.. E come sempre, pochi versi, non solo trasmettono tantissimi sentimenti, ma le parole rimangono impresse nella mente, nel cuore ed è impossibile esserne indifferenti!!

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    1. Sto cercando di fornire esempi diversi di analisi del testo sia perché possiate imparare a farne di buone, sia per avvicinarvi ai grandi classici della letteratura italiana! Sono contenta che apprezzi questo lavoro...

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