1
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A una proda ove sera era perenne
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Di anziane selve assorte, scese,
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E s’inoltrò
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E lo richiamò rumore di penne
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5
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Ch’erasi sciolto dallo stridulo
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Batticuore dell’acqua torrida,
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E una larva (languiva
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E rifioriva) vide;
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Ritornato a salire vide
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10
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Ch’era una ninfa e dormiva
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Ritta abbracciata ad un olmo.
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In sé da simulacro a fiamma vera
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Errando, giunse a un prato ove
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L’ombra negli occhi s’addensava
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15
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Delle vergini come
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Sera appiè degli ulivi;
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Distillavano i rami
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Una pioggia pigra di dardi,
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Qua pecore s’erano appisolate
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20
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Sotto il liscio tepore,
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Altre brucavano
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La coltre luminosa;
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Le mani del pastore erano un vetro
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Levigato da fioca febbre.
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L’Isola è una lirica inserita nella seconda
raccolta di versi di Ungaretti, Sentimento del tempo che racchiude i
componimenti scritti fra il 1919 e il 1933 (anno in cui fu pubblicata) e che
segna un cambiamento dal paesaggio desertico dell’Egitto e del Carso,
caratteristici de “ L’Allegria”, al paesaggio laziale. Essa risulta un notevole
esempio di poesia onirica e mitologica predominante nella seconda fase poetica
ungarettiana. Questa seconda raccolta è percorsa da un ritorno deciso e
consapevole alla tradizione culturale italiana sia per lo stile che per il
metro. L’endecasillabo si sostituisce, ora, al verso spezzato e affannoso fino
ad allora usato. Si avverte, comunque, anche il recupero e la meditazione di
antiche letture, di Petrarca, di Leopardi e soprattutto di Tasso al punto che
si è potuto parlare, per questa seconda raccolta, di ispirazione barocca, dove
con “ barocco” il poeta intende, come lui stesso ha spiegato, la situazione
spirituale di una catastrofe sentita come immanente, di un tempo che corre
verso la propria fine. In questa prospettiva vanno letti i versi del Sentimento
del tempo che rappresentano un acuirsi della crisi ungarettiana, del suo
farsi angosciato di fronte alla sensazione costante di vuoto, tanto più tormentata,
in quanto si scopre, ora, al di sotto di un gioioso spettacolo di cieli azzurri,
di boschi, di acque e di tramonti luminosi. Lo stesso Ungaretti ha diviso in
tre fasi l’ispirazione del Sentimento del tempo: la prima è scandita
dalla ricerca del tempo nel paesaggio come profondità storica; la seconda è
segnata dalla sensazione di una civiltà minacciata di morte che lo induce alla
meditazione sul destino dell’uomo e a sentire il tempo come effimero in relazione con l’eterno; la terza ed ultima ha
per titolo L’amore e in essa il poeta prende coscienza dell’invecchiamento e
del morire della sua stessa carne. Il bisogno di ordine, di sublimazione, di
purezza lessicale e di ritmo, sono avvertibili fin dalla prima raccolta,
apparentemente tanto eversiva nei confronti delle istituzioni liriche
riconosciute. Il ritorno ai metri classici, endecasillabo e settenario
soprattutto, considerati connaturati alla nostra stessa lingua, non è ex abrupto: i critici, infatti, non
hanno faticato molto a rintracciare la misura endecasillabica nel giro dei
versicoli della prima raccolta. Il Sentimento
non è riconducibile ad un'unica cifra in quanto accoglie filoni tematici
diversi, da quello mitico, a quello onirico, a quello esistenziale. Proprio
dalle parole fiorisce l’isola incantata “ ove sera era perenne” e una ninfa
dorme “ ritta abbracciata ad un olivo”, luogo degli incantesimi e delle magiche
metamorfosi, puro mondo verbale edificato dalle libertà analogiche. Che l’aspirazione di Ungaretti all’assoluto,
pur nella indubitabile presenza di profonde e ben moderne inquietudini,
risponda ad un sogno umanistico di organizzazione del mondo e di costruzione di
un modello eccellente di vita equilibrata e serena, può essere provato anche
dal mito centrale del Sentimento,
quello del “ paese innocente” appunto, che si configura come Eden: una moderna
Arcadia, in cui le inquietudini, anziché spingere verso terre ignote, si
placano o trovano conforto nell’immaginazione di una terra unica esistente in
qualche luogo della memoria e dell’immaginazione. Nella costruzione verbale
dell’Eden, la parola-tema è luce con
tutte quelle appartenenti alla stessa area semantica: la prospettiva è quella
del miraggio, una costruzione mirabile operata dalla luce del sole sul deserto.
Il titolo della lirica, come lo stesso Ungaretti ha spiegato, nasce dalla
riflessione dell’isola come un posto in cui è possibile estraniarsi, restare
soli non tanto perché essa è un posto fisicamente separato dal resto del mondo,
ma perché è l’animo disposto a tale solitudine. A livello metrico, la lirica
presenta una pregiata varietà che vede usati in prevalenza settenari, seguiti
da novenari- due dei quali, ai vv 5-6, sono sdruccioli - e gli endecasillabi. L’incipit della lirica ci proietta su
questa riva in attesa di sapere cosa si presenterà ai nostri occhi e si carica
di una pregiata pregnanza fonosimbolica. L’atmosfera quieta e dimessa è creata
dalla fitta presenza della vocale /e/, dall’accorta paronomasia che sembra
creare un effetto di prolungamento dell’ombra nel luogo, ma anche dall’
iperbato che tiene sospeso il lettore in attesa di sapere chi sia il soggetto
della lirica e infine l’enjambement che contribuisce a dilatare il tempo e il luogo
creando un’accorta sospensione. Il “ clima di restaurazione” si respira sin dal
primo verso grazie al classicheggiante “proda”, all’uso delle sinalefi, mentre
la parola-chiave “sera” ci introduce nella condizione onirica caratteristica
della lirica. L’ insistenza sulla condizione di penombra è magistralmente resa
dall’ allitterazione sERa ERa fERma ed è impreziosita dalla determinazione
della vetustà degli alberi (anziane selve v 2) che con i loro rami frondosi non
lasciano penetrare la luce (si noti l’uso poetico del funzionale “di” per il
complemento di causa efficiente). Il poeta compare al v. 2 e parla di sé in
terza persona. Il v.3 introduce un cambiamento di situazione scandito non solo dal lapidario quinario, ma
anche dalla tessitura fonica del verbo che, con la prepotente presenza della “o”
rimanda ad una condizione di oscurità e di ansia, estranea ai primi versi. L’atmosfera
cupa è rotta dal frullare della ali di un uccello che si leva in volo e che agita
l’acqua del lago riscaldata dal sole. Il fitto intreccio di analogia, metonimia
e allitterazione conferisce ai versi una forte pregnanza fonosimbolica che va
oltre il primo e immediato significato, Il v.3 insiste con l’allitterazione
della /r/ (“richiamò rumore”) e l’onomatopeico sostantivo su un cambiamento di
atmosfera rafforzato dall’assonanza che lega, per contrasto, “rumore” al v.3
con “assorta” al v.2, ma anche “scese” al v.2 e “penne” al v.4 ( con una
particolare attenzione al movimento di salita e discesa). L’insistenza sull’intreccio
fonosimbolico non si esaurisce al v.4, ma prosegue al v.5 con l’allitterazione
della sibilante (ch’ eraSi Sciolto…Stridulo) e si conclude al v.6 con l’insistenza
sulla doppia consonante (baTTicuore…toRRida) e sulle consonanti /t/ /d/ ed /r/
tutte unite per esprimere durezza e per indicare qualcosa di sonoro. Non è solo
il rumore ad attirare l’attenzione del poeta, poiché egli scrive che “vide” una
larva di insetto che, ridotto ad un vita immobile e vegetativa “languiva” e dal
vecchio corpo dell’insetto si riformava un nuovo corpo (“rifioriva”): la rima
interna dei vv 7-8 lega indissolubilmente i due verbi e sembra far riferimento
ai due momenti imprescindibili dell’esistenza che si riassumono nella vita e
nella morte. Alcuni studiosi hanno proposto di vedere nella larva una metafora
della condizione del poeta: il testo è volutamente ambiguo dal momento che i
due verbi fra parentesi sono impersonali. I vv 7-8, al di là del fatto che si
voglia dare alla larva un valore simbolico, richiamano il ricorrente tema della
caducità del tempo, della relatività della condizione umana e, soprattutto,
della morte che non è più vissuta come una rottura traumatica come il pauroso
retaggio dell’esistere, bensì come un possibile varco verso le regioni dell’assoluto
in linea con l’adesione del poeta al realismo cattolico circa la fede positiva
nell’ Aldilà. Gli ultimi due versi della prima strofa segnano un nuovo cambio
di atmosfera, annunciato dalla fitta presenza della /a/ e dall’apparizione,
impreziosita e marcata metricamente dagli unici due ottonari di tutta la lirica
, di una ninfa. La struttura della prima strofa è un magnifico intreccio di
figure di significato, di richiami fonosimbolici, di ricercatezza metrica e di
figure di sintassi (si pensi alla reiterata anafora ai vv 3-4; 7-8 o alla medesima
chiusa dei vv 7-9)che creano un effetto di voluta monotonia, di musica “
perenne”, di scena sospesa e onirica. La seconda strofa, come la prima, si apre
con un solenne endecasillabo e introduce una nuova fase della “ visione “ del
poeta. Intanto bisogna considerare l’ossimorico legame tra il “ simulacro”
della ninfa e il riaffiorare, nel poeta, di una passione, di un turbamento
erotico che è tanto più credibile in quanto sottolineato dall’aggettivo vera a chiudere il verso. Significativo
risulta il valore del verbo “ errando” che può indicare sia il girovagare nel
bosco, sia può essere un riferimento al dubbio sulla fallacità della sua
visione, o anche un insistenza sul valore onirico di tutta la lirica. Una
dimensione, quest’ultima, che ricompare nei versi successivi in cui le ninfe
diventano un “ ombra” che si addensa negli occhi del poeta: la strofa è
caratterizzata da un insistente rimando all’area semantica del buio non solo
con “ simulacro” al v. 12 ma anche con “ombra” al v. 14 e “sera” al v.16.( ove
il sostantivo è di nuovo usato metaforicamente per ombra, come al v. 1). I primi
cinque versi della strofa sono coordinati per asindeto, ben serrati dall’enjambement
e dalle sinalefe e, infine, dall’iperbato che intercorre tra “ombra” al v.14 e
il complemento di specificazione al v.15 posti entrambi, poi, a inizio del
verso. Il quadro che sinora si è delineato del tipico paesaggio arcadico con il
bosco, il lago e le ninfe si completa con la descrizione delle pecore che appisolate
si godono la tiepida ombra di un ulivo. Il v.18 è impreziosito dal francesismo “dardi”,
ma anche dall’analogia e dalla iunctura
allitterante che lega Pioggia Pigra e pigRa Di DaRDi che benm esprime la
funzione di scudo che svolgono le foglie dell’albero rispetto ai raggi del
sole. La quiete e la tranquillità degli animali, come è ricorrente in questa
lirica, è scandita dal suono aperto e dilatato della /a/ e dalla reiterata
allitterazione Pecore…aPPisolate che comunica al lettore tutto il senso di pace
che domina il paesaggio e di un atmosfera di dolcezza e sensuale mollezza. A
questo punto l’aggettivo “luminosa” al v. 22 arriva quasi a dilatare la
condizione onirica e a a riprendere l’eterno contrasto vita/morte, effimero/
eterno e forse riporta il tono della lirica ad una tematica fondamentale: il
tempo. L’evasione in questo mondo non è rimpianto nostalgico o accettazione
incondizionata: è un Eden che accoglie l’uomo Ungaretti , e l’uomo in generale,
con tutte le sue inquietudini e il suo bisogno di risposte e di serenità. La
strofa ha una chiusa preziosa per l’anafora di /l/ più vocale e con il
riaffiorare di una presenza umana: le mani del pastore sono analogicamente
rappresentate come un vetro/ levigato da un tiepido tepore ( il nesso è
rafforzato dall’enjambement) in cui prevale il campo semantico del tema “ luce”
e in cui la chiusa allitterante “ Fioca Febbre” potrebbe essere il conclusivo
riferimento a quel brivido di passione che è scaturito dalla visione della
ninfa o può indicare solamente la volontà di pareggiare tutti gli scarti
metaforici, di “ levigare “ tutti i blocchi figurandoli in un pregevolissimo
succedersi di echi fonici.
Bella la poesia e fantastico il modo in cui l'ha spiegata, come sempre direi =)
RispondiElimina"Ottimo è quel maestro che, poco insegnando, fa nascere nell'alunno una voglia grande d'imparare".
Arturo Graf, con questa citazione ha descritto quello che è riuscita a fare, mi ha dato la voglia di imparare e di pensare.
Grazie!!
Sei adorabile e generoso, grazie Sebastian!!!
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