domenica 2 giugno 2013

Analisi del testo: " L'isola" di Giuseppe Ungaretti



L’ISOLA 


1
A una proda ove sera era perenne

Di anziane selve assorte, scese,

E s’inoltrò

E lo richiamò rumore di penne
5
Ch’erasi sciolto dallo stridulo

Batticuore dell’acqua torrida,

E una larva (languiva

E rifioriva) vide;

Ritornato a salire vide
10
Ch’era una ninfa e dormiva

Ritta abbracciata ad un olmo.



In sé da simulacro a fiamma vera

Errando, giunse a un prato ove


L’ombra negli occhi s’addensava
15
Delle vergini come

Sera appiè degli ulivi;

Distillavano i rami

Una pioggia pigra di dardi,

Qua pecore s’erano appisolate
20
Sotto il liscio tepore,

Altre brucavano

La coltre luminosa;

Le mani del pastore erano un vetro

Levigato da fioca febbre.



L’Isola è una lirica inserita nella seconda raccolta di versi di Ungaretti,  Sentimento del tempo che racchiude i componimenti scritti fra il 1919 e il 1933 (anno in cui fu pubblicata) e che segna un cambiamento dal paesaggio desertico dell’Egitto e del Carso, caratteristici de “ L’Allegria”, al paesaggio laziale. Essa risulta un notevole esempio di poesia onirica e mitologica predominante nella seconda fase poetica ungarettiana. Questa seconda raccolta è percorsa da un ritorno deciso e consapevole alla tradizione culturale italiana sia per lo stile che per il metro. L’endecasillabo si sostituisce, ora, al verso spezzato e affannoso fino ad allora usato. Si avverte, comunque, anche il recupero e la meditazione di antiche letture, di Petrarca, di Leopardi e soprattutto di Tasso al punto che si è potuto parlare, per questa seconda raccolta, di ispirazione barocca, dove con “ barocco” il poeta intende, come lui stesso ha spiegato, la situazione spirituale di una catastrofe sentita come immanente, di un tempo che corre verso la propria fine. In questa prospettiva vanno letti i versi del  Sentimento del tempo che rappresentano un acuirsi della crisi ungarettiana, del suo farsi angosciato di fronte alla sensazione costante di  vuoto, tanto più tormentata, in quanto si scopre, ora, al di sotto di un gioioso spettacolo di cieli azzurri, di boschi, di acque e di tramonti luminosi. Lo stesso Ungaretti ha diviso in tre fasi l’ispirazione del  Sentimento del tempo: la prima è scandita dalla ricerca del tempo nel paesaggio come profondità storica; la seconda è segnata dalla sensazione di una civiltà minacciata di morte che lo induce alla meditazione sul destino dell’uomo e a sentire il tempo come effimero in  relazione con l’eterno; la terza ed ultima ha per titolo  L’amore e in essa il poeta prende coscienza dell’invecchiamento e del morire della sua stessa carne. Il bisogno di ordine, di sublimazione, di purezza lessicale e di ritmo, sono avvertibili fin dalla prima raccolta, apparentemente tanto eversiva nei confronti delle istituzioni liriche riconosciute. Il ritorno ai metri classici, endecasillabo e settenario soprattutto, considerati connaturati alla nostra stessa lingua, non è ex abrupto: i critici, infatti, non hanno faticato molto a rintracciare la misura endecasillabica nel giro dei versicoli della prima raccolta. Il Sentimento non è riconducibile ad un'unica cifra in quanto accoglie filoni tematici diversi, da quello mitico, a quello onirico, a quello esistenziale. Proprio dalle parole fiorisce l’isola incantata “ ove sera era perenne” e una ninfa dorme “ ritta abbracciata ad un olivo”, luogo degli incantesimi e delle magiche metamorfosi, puro mondo verbale edificato dalle libertà analogiche.  Che l’aspirazione di Ungaretti all’assoluto, pur nella indubitabile presenza di profonde e ben moderne inquietudini, risponda ad un sogno umanistico di organizzazione del mondo e di costruzione di un modello eccellente di vita equilibrata e serena, può essere provato anche dal mito centrale del Sentimento, quello del “ paese innocente” appunto, che si configura come Eden: una moderna Arcadia, in cui le inquietudini, anziché spingere verso terre ignote, si placano o trovano conforto nell’immaginazione di una terra unica esistente in qualche luogo della memoria e dell’immaginazione. Nella costruzione verbale dell’Eden, la parola-tema è luce con tutte quelle appartenenti alla stessa area semantica: la prospettiva è quella del miraggio, una costruzione mirabile operata dalla luce del sole sul deserto. Il titolo della lirica, come lo stesso Ungaretti ha spiegato, nasce dalla riflessione dell’isola come un posto in cui è possibile estraniarsi, restare soli non tanto perché essa è un posto fisicamente separato dal resto del mondo, ma perché è l’animo disposto a tale solitudine. A livello metrico, la lirica presenta una pregiata varietà che vede usati in prevalenza settenari, seguiti da novenari- due dei quali, ai vv 5-6, sono sdruccioli - e gli endecasillabi. L’incipit della lirica ci proietta su questa riva in attesa di sapere cosa si presenterà ai nostri occhi e si carica di una pregiata pregnanza fonosimbolica. L’atmosfera quieta e dimessa è creata dalla fitta presenza della vocale /e/, dall’accorta paronomasia che sembra creare un effetto di prolungamento dell’ombra nel luogo, ma anche dall’ iperbato che tiene sospeso il lettore in attesa di sapere chi sia il soggetto della lirica e infine l’enjambement che contribuisce a dilatare il tempo e il luogo creando un’accorta sospensione. Il “ clima di restaurazione” si respira sin dal primo verso grazie al classicheggiante “proda”, all’uso delle sinalefi, mentre la parola-chiave “sera” ci introduce nella condizione onirica caratteristica della lirica. L’ insistenza sulla condizione di penombra è magistralmente resa dall’ allitterazione sERa ERa fERma ed è impreziosita dalla determinazione della vetustà degli alberi (anziane selve v 2) che con i loro rami frondosi non lasciano penetrare la luce (si noti l’uso poetico del funzionale “di” per il complemento di causa efficiente). Il poeta compare al v. 2 e parla di sé in terza persona. Il v.3 introduce un cambiamento di situazione  scandito non solo dal lapidario quinario, ma anche dalla tessitura fonica del verbo che, con la prepotente presenza della “o” rimanda ad una condizione di oscurità e di ansia, estranea ai primi versi. L’atmosfera cupa è rotta dal frullare della ali di un uccello che si leva in volo e che agita l’acqua del lago riscaldata dal sole. Il fitto intreccio di analogia, metonimia e allitterazione conferisce ai versi una forte pregnanza fonosimbolica che va oltre il primo e immediato significato, Il v.3 insiste con l’allitterazione della /r/ (“richiamò rumore”) e l’onomatopeico sostantivo su un cambiamento di atmosfera rafforzato dall’assonanza che lega, per contrasto, “rumore” al v.3 con “assorta” al v.2, ma anche “scese” al v.2 e “penne” al v.4 ( con una particolare attenzione al movimento di salita e discesa). L’insistenza sull’intreccio fonosimbolico non si esaurisce al v.4, ma prosegue al v.5 con l’allitterazione della sibilante (ch’ eraSi Sciolto…Stridulo) e si conclude al v.6 con l’insistenza sulla doppia consonante (baTTicuore…toRRida) e sulle consonanti /t/ /d/ ed /r/ tutte unite per esprimere durezza e per indicare qualcosa di sonoro. Non è solo il rumore ad attirare l’attenzione del poeta, poiché egli scrive che “vide” una larva di insetto che, ridotto ad un vita immobile e vegetativa “languiva” e dal vecchio corpo dell’insetto si riformava un nuovo corpo (“rifioriva”): la rima interna dei vv 7-8 lega indissolubilmente i due verbi e sembra far riferimento ai due momenti imprescindibili dell’esistenza che si riassumono nella vita e nella morte. Alcuni studiosi hanno proposto di vedere nella larva una metafora della condizione del poeta: il testo è volutamente ambiguo dal momento che i due verbi fra parentesi sono impersonali. I vv 7-8, al di là del fatto che si voglia dare alla larva un valore simbolico, richiamano il ricorrente tema della caducità del tempo, della relatività della condizione umana e, soprattutto, della morte che non è più vissuta come una rottura traumatica come il pauroso retaggio dell’esistere, bensì come un possibile varco verso le regioni dell’assoluto in linea con l’adesione del poeta al realismo cattolico circa la fede positiva nell’ Aldilà. Gli ultimi due versi della prima strofa segnano un nuovo cambio di atmosfera, annunciato dalla fitta presenza della /a/ e dall’apparizione, impreziosita e marcata metricamente dagli unici due ottonari di tutta la lirica , di una ninfa. La struttura della prima strofa è un magnifico intreccio di figure di significato, di richiami fonosimbolici, di ricercatezza metrica e di figure di sintassi (si pensi alla reiterata anafora ai vv 3-4; 7-8 o alla medesima chiusa dei vv 7-9)che creano un effetto di voluta monotonia, di musica “ perenne”, di scena sospesa e onirica. La seconda strofa, come la prima, si apre con un solenne endecasillabo e introduce una nuova fase della “ visione “ del poeta. Intanto bisogna considerare l’ossimorico legame tra il “ simulacro” della ninfa e il riaffiorare, nel poeta, di una passione, di un turbamento erotico che è tanto più credibile in quanto sottolineato dall’aggettivo vera a chiudere il verso. Significativo risulta il valore del verbo “ errando” che può indicare sia il girovagare nel bosco, sia può essere un riferimento al dubbio sulla fallacità della sua visione, o anche un insistenza sul valore onirico di tutta la lirica. Una dimensione, quest’ultima, che ricompare nei versi successivi in cui le ninfe diventano un “ ombra” che si addensa negli occhi del poeta: la strofa è caratterizzata da un insistente rimando all’area semantica del buio non solo con “ simulacro” al v. 12 ma anche con “ombra” al v. 14 e “sera” al v.16.( ove il sostantivo è di nuovo usato metaforicamente per ombra, come al v. 1). I primi cinque versi della strofa sono coordinati per asindeto, ben serrati dall’enjambement e dalle sinalefe e, infine, dall’iperbato che intercorre tra “ombra” al v.14 e il complemento di specificazione al v.15 posti entrambi, poi, a inizio del verso. Il quadro che sinora si è delineato del tipico paesaggio arcadico con il bosco, il lago e le ninfe si completa con la descrizione delle pecore che appisolate si godono la tiepida ombra di un ulivo. Il v.18 è impreziosito dal francesismo “dardi”, ma anche dall’analogia e dalla iunctura allitterante che lega Pioggia Pigra e pigRa Di DaRDi che benm esprime la funzione di scudo che svolgono le foglie dell’albero rispetto ai raggi del sole. La quiete e la tranquillità degli animali, come è ricorrente in questa lirica, è scandita dal suono aperto e dilatato della /a/ e dalla reiterata allitterazione Pecore…aPPisolate che comunica al lettore tutto il senso di pace che domina il paesaggio e di un atmosfera di dolcezza e sensuale mollezza. A questo punto l’aggettivo “luminosa” al v. 22 arriva quasi a dilatare la condizione onirica e a a riprendere l’eterno contrasto vita/morte, effimero/ eterno e forse riporta il tono della lirica ad una tematica fondamentale: il tempo. L’evasione in questo mondo non è rimpianto nostalgico o accettazione incondizionata: è un Eden che accoglie l’uomo Ungaretti , e l’uomo in generale, con tutte le sue inquietudini e il suo bisogno di risposte e di serenità. La strofa ha una chiusa preziosa per l’anafora di /l/ più vocale e con il riaffiorare di una presenza umana: le mani del pastore sono analogicamente rappresentate come un vetro/ levigato da un tiepido tepore ( il nesso è rafforzato dall’enjambement) in cui prevale il campo semantico del tema “ luce” e in cui la chiusa allitterante “ Fioca Febbre” potrebbe essere il conclusivo riferimento a quel brivido di passione che è scaturito dalla visione della ninfa o può indicare solamente la volontà di pareggiare tutti gli scarti metaforici, di “ levigare “ tutti i blocchi figurandoli in un pregevolissimo succedersi di echi fonici.

2 commenti:

  1. Bella la poesia e fantastico il modo in cui l'ha spiegata, come sempre direi =)
    "Ottimo è quel maestro che, poco insegnando, fa nascere nell'alunno una voglia grande d'imparare".
    Arturo Graf, con questa citazione ha descritto quello che è riuscita a fare, mi ha dato la voglia di imparare e di pensare.
    Grazie!!

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