tag:blogger.com,1999:blog-46342774601324191332024-03-14T11:12:55.968+01:00La Cultura rende liberiProf Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.comBlogger35125tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-16757842244650234942016-04-03T11:27:00.001+02:002019-04-14T11:48:04.586+02:00IL BULLISMO NELLA SCUOLA DI OGGI<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></b>
<b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></b>
<b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">DEFINIZIONE
DEL FENOMENO<o:p></o:p></span></b></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Con la crisi di valori che
le società stanno vivendo, i diritti dei minori sono negati e tale condizione è
emarginata. Il bambino, fin dai primi giorni di vita, attraverso l’imposizione
dei modelli di comportamento e degli schemi educativi , può subire, all’interno
dell’ambiente familiare, forme di “micro-violenza”, ovverosia un insieme di
atteggiamenti, assunti “per il suo bene”, ma che , alla fine, si trasformano in
atti di “macro-violenza”. L’Osservatorio nazionale per l’infanzia definisce il
bullismo <b>“una prepotenza di qualunque
genere perpetrata da uno o più ragazzi nei confronti di altri ragazzi”</b>.
Dunque il bullismo non è che la traduzione, negli ambienti dedicati
all’infanzia e all’adolescenza, di ciò che accade nella società ma con una
variabile importantissima: le vittime non sanno difendersi e i “ carnefici”, in
quanto minori, godono di ampie garanzie di impunità. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 106%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: .5pt; margin-right: 5.0pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: 10.6pt; text-align: justify; text-indent: -.5pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="color: #009ec7; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">■<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 7pt; font-stretch: normal; line-height: normal;"> </span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">Il
bullismo è un fenomeno che ormai coinvolge la scuola, la famiglia e la società
intera e che non si limita ad episodi di angheria e sopruso tra ragazzi, ma si può
estendere anche alle attenzioni sessuali verso un insegnante video ripreso in
cl<span id="goog_315122019"></span><span id="goog_315122020"></span>asse o l’aggressione di un genitore ai danni del preside di una scuola. Il
bullismo è un tipo di comportamento aggressivo particolarmente insidioso e
pervasivo che si basa sull’intenzione ostile di uno o più ragazzi, sulla
ripetitività nel tempo dell’azione persecutoria e sulla debolezza della vittima
che difficilmente riesce a difendersi. La motivazione del bullismo non è quella
di reagire in modo violento ad una situazione di provocazione o di ottenere dei
vantaggi materiali mediante un attacco diretto ad un compagno; la motivazione
ultima è di tipo <b>relazionale</b>, ed è
quella di affermare il potere di uno sull’altro nell’ambito della propria rete
sociale di riferimento. Le
caratteristiche distintive del fenomeno possono essere così riassunte: </span><span style="color: #009ec7; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 106%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: .5pt; margin-right: 5.0pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: 10.6pt; text-align: justify; text-indent: -.5pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="color: #009ec7; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">■<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 7pt; font-stretch: normal; line-height: normal;"> </span></span><!--[endif]--><i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">intenzionalità</span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">, cioè il fatto che il bullo mette
in atto premeditatamente dei comportamenti aggressivi con lo scopo di offendere
l’altro o di arrecargli danno; è questo un aspetto rilevante, sebbene non
sempre tutti i ragazzi abbiano piena consapevolezza di cosa stanno facendo;</span><span style="color: #009ec7; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 106%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: .5pt; margin-right: 5.0pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: 10.6pt; text-align: justify; text-indent: -.5pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="color: #009ec7; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">■<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 7pt; font-stretch: normal; line-height: normal;"> </span></span><!--[endif]--><i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">persistenza</span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">: sebbene anche un singolo episodio possa
essere considerato una forma di bullismo, l’interazione bullo-vittima è
caratterizzata dalla ripetitività di comportamenti di prepotenza protratti nel
tempo;</span><span style="color: #009ec7; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 106%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: .5pt; margin-right: 5.0pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: 10.6pt; text-align: justify; text-indent: -.5pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="color: #009ec7; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">■<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 7pt; font-stretch: normal; line-height: normal;"> </span></span><!--[endif]--><i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">asimmetria
di potere</span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">: si tratta di
una relazione fondata sul disequilibrio e sulla disuguaglianza di forza tra il
bullo che agisce, che spesso è più forte o sostenuto da un gruppo di compagni,
e la vittima che non è in grado di difendersi;</span><span style="color: #009ec7; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 106%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: .5pt; margin-right: 5.0pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: 10.6pt; text-align: justify; text-indent: -.5pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="color: #009ec7; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">■<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 7pt; font-stretch: normal; line-height: normal;"> </span></span><!--[endif]--><i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">natura
sociale del fenomeno</span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;">:
come testimoniato da molti studi, l’episodio avviene frequentemente alla presenza
di altri compagni, spettatori o complici, che possono assume-re un ruolo di
rinforzo del comportamento del bullo o semplicemente sostenere e legittimare il
suo operato.</span><span style="color: #009ec7; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 106%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 107%; margin-right: 5.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Il fenomeno presenta quindi una
forte complessità, sia a livello di definizione che di dinamica reale degli
eventi, poiché non include azioni negative occasionali fatte per scherzo o per
un impeto di rabbia, ma viene usato come una specie di <i>script</i>, cioè come
una sequenza, tutto sommato abbastanza stereotipata, nella quale gli attori
svolgono ruoli stabiliti (bullo, vittima, osservatore, sostenitore del bullo,
difensore della vittima). Il fenomeno del bullismo, anche se con altre
modalità, è stato da sempre un tratto saliente della vita sociale dei giovani e
degli adolescenti. Ne sono una testimonianza i romanzi e i racconti in cui
questo fenomeno viene narrato e descritto. Lo scrittore di fine secolo Edmondo
De Amicis, nel lontano 1886, descrive il bullo Franti nel suo libro “Cuore”:” <i>E’ malvagio. Quando viene un padre a scuola
a fare una partaccia al figliolo, egli ne gode; quando uno piange, egli
ride…Provoca tutti i più deboli di lui, e quando fa a pugni, s’inferocisce e
tira a far male. Ci ha qualcosa che mette ribrezzo su questa fronte bassa, in
quegli occhi torbidi che tiene quasi nascosti sotto la visiera del suo
berrettino di tela cerata. Non teme nulla, ride in faccia al maestro, ride
quando può, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcuno, si
porta a scuola degli spilloni per punzecchiare i vicini, si strappa i bottoni
della giacchetta, e ne strappa agli altri, e li gioca, e ha cartella, quaderni,
libri, tutto sgualcito, stracciato, sporco, la riga dentellata, la penna
mangiata, le unghie rosse, i vestiti pieni di frittelle e di strappi che si fa
nelle risse”</i>. Non è tanto la pervasività del fenomeno che ci deve
preoccupare, ma la gravità e la violenza con cui a volte si manifesta in una
fetta più ristretta della popolazione. Le prepotenze possono essere dirette e
indirette: le prime sono manifestazioni più aperte, visibili, di prevaricazione
nei confronti della vittima e possono essere sia di tipo fisico(colpi, pugni,
calci) sia di tipo verbale(minacce, offese). Le prepotenze indirette, invece,
sono più nascoste, sottili e, per questo, spesso più difficilmente rilevabili;
gli esempi più frequenti sono l’esclusione dal gruppo e la diffusione di
calunnie sui compagni. Differenziare questi due tipi di prepotenza permette di
rendere conto delle differenze legate alla variabile sesso, poiché, mentre nei
maschi sembrano prevalere le prepotenze di tipo diretto, soprattutto quelle
fisiche, sono le femmine a mettere in atto più spesso quelle di tipo indiretto. La nuova frontiera del bullismo è
certamente il cyberbullismo, una forma di prevaricazione che si basa sull’uso
di internet o del telefonino per fare prepotenze ad un compagno. Questo
fenomeno prevede l’invio di sms, e-mail o la creazione di siti internet che si
configurano come minaccia o calunnia ai danni della vittima, e la diffusione di
immagini e filmati compromettenti tramite internet. In età adolescenziale il
bullismo si lega in modo rilevante con sintomi di malessere psicologico, con
comportamenti devianti e antisociali e con uso di alcol e di sostanze
psicoattive. Diventa uno degli indicatori del disagio in adolescenza. Nella
scuola primaria la stragrande maggioranza degli studenti dichiara che le
prepotenze avvengono nelle aule e più raramente nel cortile, nei corridoi o nei
bagni della scuola. In genere i bulli appartengono alla stessa classe delle
vittime o a classi superiori, e le vittime dichiarano che a molestarli sono
soprattutto un singolo ragazzo o un gruppo di ragazzi o anche, ma meno
frequente, un gruppo misto di ragazze e ragazzi. Nel caso delle scuole
superiori il bullismo si allarga alla sfera extra scolastica ed emerge una
quota significativa di problemi che avvengono sui mezzi di trasporto(19,8%),
per strada(34,6%) e nelle compagnie del tempo libero(37,5%). Inoltre, in una
parte dei casi, si evidenziano prepotenze di ragazzi più grandi contro più
piccoli. La dominanza del bullo sembra
essere rafforzata dall’attenzione e dal supporto dei sostenitori,
dall’allineamento degli aiutanti, dalla deferenza di coloro che hanno paura e
dalla mancanza di opposizione della maggioranza silenziosa. Il bullismo, cioè,
è un fenomeno che si fonda sulla motivazione alla dominanza del bullo, sulla
fragilità della vittima, ma anche sulla deferenza degli spettatori che spesso
temono ritorsioni e non fanno nulla per fermare le prepotenze, inoltre
coinvolge frequentemente la classe o il gruppo nel suo insieme. Quali i
fattori? Tra i fattori legati al contesto di vita del soggetto, possiamo
rintracciare la classe sociale e la famiglia di provenienza. Ciò che sembra
influire sull’ampiezza del fenomeno non è tanto la classe sociale di
appartenenza, quanto l’ambiente, il quartiere e la zona della città in cui i
ragazzi vivono: ossia, la cultura di riferimento. In relazione alla famiglia
molto si è indagato, in particolar modo sul rapporto tra clima educativo creato
dai genitori, e problemi di bullismo e vittimizzazione. Nel caso del bullismo
si è trovata una relazione sia con un’educazione permissiva, sia con
un’eccessiva severità, autoritarismo e coercizione. Per la vittima una delle
problematiche più rilevanti è costituita dagli atteggiamenti iperprotettivi dei
genitori e da un nucleo familiare troppo coeso. Coloro che sono vittime o bulli
a casa hanno una maggiore probabilità di mantenere lo stesso ruolo anche nel
contesto scolastico. Anche l’insegnante ha un ruolo importante: studi recenti
dimostrano come una relazione cattiva con l’insegnante improntata a
insoddisfazione e percezione di non accettazione si correla con una maggiore
incidenza del bullismo nelle classi. Si è tentato di tracciare un identikit del
bullo che presenta alcune caratteristiche ricorrenti come aggressività
generalizzata, impulsività, irrequietezza, scarsa empatia, atteggiamento
positivo verso la violenza che sembrano essere le radici del comportamento
prepotente e per converso nell’insicurezza, nella scarsa autostima, quelle del
comportamento della vittima. La scuola è il luogo in cui gli atti di bullismo
si manifestano con maggiore frequenza, soprattutto durante i momenti di
ricreazione e nell’uscita da scuola. Proprio a causa di ciò le vittime dei
bulli spesso rifiutano di andare a scuola. Rimproverati continuamente di
“attirare” le prepotenze dei loro compagni, perdono sicurezza e autostima.
Questo disagio può influire sulla loro concentrazione e sul loro apprendimento.
Spesso ragazzi con sintomi di stress, mal di stomaco e mal di testa, incubi o
attacchi di ansia, o che marinano la scuola o, peggio ancora, hanno il timore
di lasciare la sicurezza della propria casa, sono le vittime prescelte dal
bullo. In genere le vittime sono più deboli fisicamente della media dei
ragazzi. Anche l’aspetto fisico può giocare un ruolo nella designazione della
vittima, anche se non è determinante. Le vittime sono, per lo più, soggetti
sensibili e calmi, anche se al contempo sono ansiosi e insicuri. Talvolta
soffrono anche di scarsa autostima ed hanno un’opinione negativa di sé e della
propria situazione. La caratteristica più evidente del comportamento da bullo è
chiaramente quella dell’aggressività rivolta verso i compagni, ma molto spesso anche verso i genitori e gli
insegnanti. I bulli hanno un forte bisogno di dominare gli altri e si
dimostrano spesso impulsivi. Vantano spesso la loro superiorità, vera o
presunta, si arrabbiano facilmente e presentano una bassa tolleranza alla
frustrazione. Manifestano grosse difficoltà nel rispettare le regole e nel
tollerare le contrarietà e i ritardi. L’atteggiamento aggressivo prevaricatore
di questi giovani sembra essere correlato con una maggiore possibilità, nelle
età successive, ad essere coinvolti in altri comportamenti problematici, quali
la criminalità o l’abuso da alcol o da sostanze. All’interno del gruppo vi
possono essere i cosiddetti <b>bulli
passivi</b>, ovvero i seguaci o sobillatori che non partecipano attivamente
agli episodi di bullismo. E’ frequente che questi ragazzi provengano da
condizioni familiari educativamente inadeguate, il che potrebbe provocare un
certo grado di ostilità verso l’ambiente. Le vittime presentano sin
dall’infanzia un atteggiamento prudente e una forte sensibilità. Un
atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di calore e di
coinvolgimento, da parte delle persone che si prendono cura del bambino in
tenera età, è un ulteriore fattore importante nello sviluppo di modalità
aggressive nella relazione con gli altri. Il fenomeno, tuttavia, è da inserire
in un reticolo di fattori concatenati tra loro. Gli stili educativi
rappresentano un fattore cruciale per lo sviluppo o meno delle condotte
inadeguate. E’ interessante sottolineare come il grado di istruzione dei
genitori, il livello socio-economico non sembrano essere correlate con le
condotte aggressive dei figli. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 107%; margin-right: 5.0pt; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 107%; margin-right: 5.0pt; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">QUALI
LE STRATEGIE POSSIBILI PER LA SCUOLA<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 107%; margin-right: 5.0pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 107%; margin-right: 5.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">L’Istituzione scolastica ha un ruolo
fondamentale, in quanto istituzione sistematica e intenzionale, nel favorire la
crescita civile e culturale per una piena valorizzazione della persona. </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Il
sistema di istruzione e formazione in Italia, a partire dalla fine degli anni
Ottanta, ha subito profondi cambiamenti che ne hanno modificato
l’organizzazione, la struttura, la mission e la vision. Il trattato di
Maastricht del 1992 ha segnato l’inizio di un percorso che , mentre avviava
l’unificazione economica e monetaria dei paesi europei, assegnava proprio alla
scuola il ruolo centrale per la riqualificazione del sistema economico,
considerando i sistemi scolastici dei singoli Stati fattori determinanti del
rinnovamento. L’Italia non si sottrae al cambiamento e, gradualmente, trasforma
un’organizzazione burocratizzata e gerarchica in un sistema che promuove la
cultura del risultato e diventa serviente con un protagonista, lo studente, non
più passivo ma coattore del sistema scolastico. La scuola, da sempre sistema
rigido e particolarmente chiuso ai grandi sconvolgimenti, non si è potuta
sottrarre a questa rivoluzione e, sollecitata anche dalle neuroscienze che
hanno posto l’attenzione sul dato che non è più possibile pensare ad un apprendimento
di tipo lineare, ma che ogni individuo è dotato di una sua peculiare e
specifica intelligenza e che ciascuno ha il diritto sacrosanto di essere
valorizzato e di essere al centro dell’azione educativa, ha cominciato a
recepire la lezione che compito precipuo
degli educatori deve diventare <b>imparare a comprendere, conoscere e
stimolare l’intelligenza di ogni singolo alunno, </b> la cui figura è diventata il centro focale
della <i>mission</i> dell’Istituzione
scolastica. Non più un’organizzazione lineare degli apprendimenti, ma la
disposizione di un sistema plurimo, diversificato e convergente con nuovi
obiettivi e nuove regole, un sistema più inclusivo e capace di essere
intenzionale e sistematico, come si conviene ad un istituzione cui è affidato
un compito importantissimo: la formazione dei soggetti in età evolutiva. L’UE
ha contribuito, in maniera sostanziale, a promuovere i cambiamenti sollecitando
nel 2013 la realizzazione di un sistema di formazione in grado di contribuire
ad una crescita intelligente, sostenibile ed <b>inclusiva</b> partendo dalla considerazione che i giovani sono un
capitale umano di inestimabile valore che deve essere adeguatamente formato e
orientato durante il lungo percorso di sviluppo all’interno dei diversi sistemi
di formazione, non solo per debellare l’increscioso fenomeno dell’abbandono
scolastico, ma anche per formare cittadini consapevoli, dotati di competenze
spendibili nel mondo del lavoro, competenze che siano la giusta sintesi di
apprendimenti formali, informali e non formali perché è ormai chiaro che la
scuola non ha più l’esclusiva quando si parla di apprendimenti. La centralità
della persona su cui l’UE insiste e su cui fonda il progetto di valorizzazione
delle risorse umane, è stata recepita anche dal nostro legislatore che già nel
2003 con la legge 53 ha introdotto il concetto di <b>personalizzazione</b> come condizione essenziale per garantire il
successo formativo di ogni singolo studente, nella consapevolezza che non si
può più pensare di insegnare <i>ex cathedra</i>
investiti di un’autorità al limite dell’inviolabile, ma l’insegnante diventa un
professionista dell’istruzione che, attraverso un lavoro di aggiornamento,
studio e ricerca , conosce le necessità dei suoi studenti, le accoglie, le
elabora e ne fa il punto di partenza per un’azione didattica personalizzata e
fatta su misura per ognuno. La garanzia del successo formativo, quale mission
dell’istituzione scolastica, non può prescindere dall’ inclusività come
obiettivo categorico non solo per i disabili, già tutelati dalla legge 104/92,
ma per tutti gli alunni che presentino una qualsiasi difficoltà legata alla
condizione socio-economica, culturale o linguistica (si pensi agli studenti
stranieri di recente immigrazione o ai bambini adottati), come espressamente
normato dal DM 27/11/12(BES) in accoglimento delle conclusioni della
Convenzione ONU e grazie all’adozione del sistema ICF che estende il concetto
di disabilità, per troppo tempo limitato al deficit fisico, al contesto socio
culturale e ambientale della persona, inclusività da garantire anche a tutti
gli adulti, stranieri o italiani, che chiedano di rientrare nel sistema
scolastico per conseguire un titolo di studio, a tutti quegli studenti che
risultino eccellenti e che meritano un adeguato riconoscimento e la giusta
valorizzazione del loro potenziale. La scuola dell’autonomia, come delineata
nel DPR 275/99 e come rafforzata nella legge 107/15, dunque, può progettare
un’azione educativa che miri allo sviluppo della persona umana, adeguata ai
diversi contesti e alla famiglia, forte di una concreta possibilità di agire
secondo le reali necessità dell’utenza e del territorio, favorendo e
incentivando la ricerca come elemento cardine per garantire professionalità
aggiornate, in grado di stare al passo con gli studi che potenziano e agevolano
la professione dei docenti. Il compito ambizioso e fondante della scuola
autonoma è formare cittadini competenti e consapevoli, in grado di diventare
capitale economico, capaci di portare un contributo personale di qualità che
realizzerà un generale passo avanti nel percorso personale e collettivo.
L’autonomia didattica, tassello imperativo in questo percorso, trova il suo
naturale corollario nell’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo a
supporto di una metodologia in divenire, che si alimenta e cerca di fondarsi
sullo studio, sull’aggiornamento e sull’approfondimento di quelle scienze,
quali la sociologia, la psicologia, l’epistemologia, le scienze
dell’organizzazione che ormai sono parte integrante del bagaglio culturale di
un docente e di un Ds. La ricerca è la <i>conditio
sine qua</i> non per elaborare una metodologia che abbia interiorizzato
l’assunto che un apprendimento è proficuo solo se significativo, una
metodologia che rispetti, poiché li conosce, i diversi stadi dello sviluppo
psicologico dello studente e sia basata su un’attenta ricognizione dei bisogni
formativi di ciascuno, delle caratteristiche dell’ambiente e del territorio,
una metodologia che punti alla valorizzazione della persona in un’ottica di
lifelong learning. La scuola, dunque, perde la rigidità di un sistema il cui
compito si limitava a impartire nozioni e che non teneva affatto conto
dell’importanza e dell’influenza della famiglia, per diventare un
amministrazione servente che crea sinergia con la famiglia ( si pensi al patto
di corresponsabilità) che diventa, a buon diritto, coattore del processo di
sviluppo del discente. La scuola dell’autonomia, dunque, deve progettare
un’azione educativa che miri allo sviluppo della persona umana, raccogliendo le
indicazioni che arrivano dall’Europa (si pensi al rapporto E. Cresson) e che
puntano ad un’ istruzione che favorisca l’acquisizione di nuove conoscenze,
avvicini scuola e impresa(alternanza scuola lavoro), lotti contro
l’emarginazione e consenta, attraverso la conoscenza delle lingue comunitarie,
di aprirsi ad una dimensione veramente europea. La nuova consapevolezza della
scuola circa la necessità di interagire con gli elementi che influenzano lo
sviluppo di un soggetto in età evolutiva viene dalla sociologia che indica due
diverse forze che concorrono nella formazione di un soggetto: la forza interna,
quella cioè innata, e la forza esterna che condiziona in modo prepotente lo
sviluppo cognitivo di un soggetto. Il fattore esterno, trascurato e non
adeguatamente considerato per molto tempo, è la variabile di cui la scuola deve
tenere conto, in quanto influenza, condiziona e orienta un soggetto in età
evolutiva. Entrano di diritto tra i fattori del percorso di sviluppo la
famiglia, il primo nucleo educativo e
interlocutore prezioso per programmare interventi mirati e personalizzati; la
scuola che, in quanto istituzione, deve garantire un’azione consapevole e
sistematica; il territorio, che può influenzare il soggetto offrendo o negando
alternative che completino l’offerta formativa; l’UE ,di cui l’Italia è parte,
che raccomanda di garantire attenzione al singolo per una strategia formativa
che risulterà vincente nella misura in cui saprà dotare lo studente di
competenze spendibili per l’inserimento nel mondo del lavoro; il mondo virtuale
fatto di social e di informazioni che corrono veloci e non sempre adeguatamente
selezionate, ma che influenzano le conoscenze e spesso le orientano. E’ chiaro,
dunque, che la scuola, parte della società che la sociologia definisce fattore
esterno, non può più pensare di essere l’esclusiva depositaria della formazione
e tanto meno di agire senza dare il giusto valore agli altri attori della
formazione, ma deve , pur conservando la
consapevolezza necessitata dal ruolo istituzionale, considerare queste
importanti variabili per interagire con esse e puntare ad una azione che faccia
di ogni elemento un fondamentale fattore dell’educazione. La scuola progetta
per darsi un’organizzazione funzionale ed efficiente, fondandosi su premesse
valide e solide e deve tener conto dei molteplici ed eterogenei fattori sociali
che, ad un livello macro, determinano la tipologia di alunni di un determinato
istituto, in un determinato territorio( a partire dal quartiere per finire al
territorio nazionale, europeo o persino mondiale). In questa ottica è chiaro
che, ciascun elemento del dialogo educativo, deve diventare strategico, dunque risorsa, nel processo di
sviluppo dell’alunno: l’apprendimento non passa più solo dalla lezione frontale
e tanto meno si esaurisce nei contesti formali e istituzionali, ma si
arricchisce, forse in misura addirittura maggiore, in contesti informali o non
formali che rappresentano un <i>continuum</i>
con l’azione istituzionale della scuola, in una logica di complementarietà e
non di sovrapposizione tanto meno di conflitto, ma di arricchimento e
completamento. La società, in quanto riconosciuta come risorsa, attraverso
convenzioni o accordi negoziali, che hanno lo scopo del servizio quale
imperativo categorico per tutti i fattori dell’educazione, coopera con la
scuola per realizzare, secondo quanto sollecitato dall’U.E, quelle forme di
raccordo tra scuola e lavoro. L’alternanza scuola lavoro, disciplinata nel
D.lgs 77/05, fortemente potenziata con la L 107/15, va esercitata come la declinazione della
spendibilità delle competenze e la messa in prova del buon risultato del
percorso formativo, essa contribuisce a rendere operative le competenze degli
studenti e consente di coniugare teoria e pratica, oltre a realizzare il
necessario collegamento della scuola con il mondo del lavoro e a correlare
l’offerta formativa allo sviluppo sociale, economico e culturale del
territorio. Le istanze europee, accolte dal Legislatore, puntano a valorizzare
adeguatamente il fattore umano come risorsa e fondamento di una società che
assicuri il benessere di tutti e che cresca in misura direttamente
proporzionale in ricchezza.</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">
</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">La
società, fattore e risorsa del processo educativo, si dispone, dunque, a
diventare prodotto in quanto attraverso
la valorizzazione del fattore umano, realizza una strategia vincente che
restituisce gli investimenti nell’ambito della formazione sotto forma di cittadini attivi, competenti,
consapevoli e in grado di essere capitale economico, capaci di contribuire al benessere
proprio e della collettività. Oggi la
scuola non si pone più come un’autorità infallibile e rigida, ma grazie
all’autonomia può calibrare la sua azione organizzativa e didattica sulle
esigenze che l’utenza presenta e il territorio definisce, realizzando i
percorsi più adatti alle richieste dei suoi studenti e alle risorse del
territorio. Personalizzare significa conoscere, la personalizzazione consente
di cogliere e valorizzare le diversità, consente di essere inclusivi nella
misura in cui si può adattare il percorso scolastico sia per valorizzare le
eccellenze che per compensare gli svantaggi, la personalizzazione è la carta
vincente per realizzare il diritto soggettivo allo studio di ogni persona in
età evolutiva. L’inclusività, dunque, completa la mission della scuola solo se
supera il concetto di pietistico inserimento dei disabili nelle classi comuni
per diventare integrazione, valorizzazione delle risorse di ciascuno nella
diversità. La complessità sociale, i grandi processi migratori che investono il
nostro paese devono trovare accoglimento all’interno della scuola chiamata a
colmare il gap socio-economico fornendo anche ai giovani immigrati, siano essi
protagonisti di un forzoso cambiamento, siano essi adottati, gli strumenti
necessari per un inserimento consapevole e da protagonisti non trascurando il
dolore, il disagio, la rabbia che spesso caratterizza le loro vite e che fa
parte del loro bagaglio personale su cui lavorare, ma anche la tutela di tutti
coloro che hanno una qualsiasi difficoltà di apprendimento che non è contemplata
nella legge 104/92 ma che può essere
limitante se non adeguatamente presa in carico da tutte le agenzie che
concorrono alla formazione. Ormai la
priorità della formazione non è più dare contenuti , ma sostenere il pieno
sviluppo formativo dello studente garantendo a tutti, secondo i principi
costituzionali che ispirano il nostro sistema scolastico, le stesse opportunità
che non significa, tuttavia, operare per tutti allo stesso modo, ma, al
contrario, realizzare interventi su misura che consentano a ciascuno di
superare i propri limiti e valorizzare i propri punti di forza. Il concetto di
uguaglianza e di pari opportunità tiene conto proprio della diversità e di
un’azione didattica che non deve livellare o appiattire, ma creare diversità
complementari e integrate attraverso il raggiungimento di obiettivi standard
che tengano conto non solo di fattori meramente formali, ma che valorizzino
anche gli apprendimenti informali e non formali, come sostenuto già nel Libro
Bianco del 1997 , per garantire l’auspicata e imperativa crescita intelligente,
sostenibile e inclusiva. Il successo formativo, divenuto imperativo per la
scuola, passa attraverso la necessaria autonomia che prevede il coinvolgimento
di tutti gli attori dello sviluppo formativo del bambino, ognuno con le proprie
specifiche responsabilità e il proprio ruolo. La scuola è chiamata, dunque, a
recepire e accogliere le istanze che la società complessa presenta e farne il
punto di partenza della sua programmazione. La scuola deve imparare ad essere
accogliente ed inclusiva, vale a dire deve individuare le situazioni di
criticità dei suoi studenti e deve agire in modo intenzionale e sistematico,
come le si addice. Il contesto profondamento complesso in cui si muove
l’Istituzione scolastica richiede, come appare chiaro, un’attenta progettazione
dei percorsi formativi ed una consapevolezza non solo delle norme che tutelano
i soggetti in età evolutiva, ma anche
degli studi che ne consentono la necessaria conoscenza e che presuppongono un
aggiornamento costante che renda ciascuno responsabile dei risultati da
conseguire. La scuola ha metabolizzato l’idea che i cambiamenti sono
ineluttabili e che possono essere latori di nuove opportunità. La corretta
vision dell’istituzione passa da una lettura psico-socio-pedagogica della
realtà contingente, dalla presa in carico della richiesta di formazione del
territorio e degli utenti , dall’accoglimento dei bisogni degli studenti e
dall’analisi del territorio come risorsa e punto di partenza essenziale.
Obbedendo al principio della sussidiarietà quale strategia vincente per dare
risposte concrete ai bisogni dei cittadini, l’iniziativa della regione Lazio è senza
dubbio notevole e denota la giusta attenzione ad un fenomeno che la scuola
fatica a gestire e che, tra le conseguenze, annovera la dispersione scolastica.
I fondi, viste le infinite possibilità che normativamente la scuola autonoma
può mettere in campo, andrebbero a sostenere progetti mirati non tanto al
recupero di situazioni critiche, quanto alla prevenzione. Individuati i ragazzi
più problematici, potrebbe portare, con un’adeguata disponibilità di mezzi, a
progettare percorsi di motivazione: il bullo si nutre della noia che talvolta i
percorsi didattici ingenerano, della scarsa attenzione che un docente, in classi
pollaio, può riservargli o, semplicemente della frustrazione, figlia di una
scelta errata o poco consapevole. Gli istituti professionali, purtroppo, sono
stati privati della loro stessa forza, i laboratori, che consentono un
approccio operativo che permette una maggiore responsabilizzazione e
un’operatività che si fa meno frustrante e demotivante per chi, come il bullo,
ha un profilo particolarmente insofferente(ci auguriamo che dopo il parere
favorevole della Cassazione i quadri orario degli istituti professionali siano
rivisti e si ritorni allo status quo ante le linee guida del 2010). Lavorare
nel segno della personalizzazione in classi di 30/32 studenti , con almeno due
alunni diversamente abili e un numero cospicuo di DSA non agevola l’auspicata
didattica personalizzata e neppure la formazione di un clima di collaborazione
e di costruzione d relazioni sane e monitorate costantemente dall’insegnante.
Eppure, nonostante le tante difficoltà, le scuole autonome, si muovono
promuovendo la cultura della legalità e accompagnando i propri studenti nella
formazione di una personalità sana e consapevole, verso una cittadinanza attiva
e responsabile. Noi docenti degli istituti professionali lavoriamo, certamente,
in emergenza a causa della eterogeneità della nostra utenza, ma giochiamo
favoriti dalla spendibilità delle nostre discipline professionali che si
affiancano alle discipline dell’Area generale di istruzione senza rinunciare
mai alla qualità, ma rafforzati da quei percorsi di alternanza scuola lavoro
introdotti dalla legge 77/05 e rafforzati enormemente, anche grazie alle
continue sollecitazioni provenienti dall’UE, dalla legge 107/15. Il nostro
Istituto ha dovuto fronteggiare episodi
di bullismo in più di una occasione, ma al di là dell’episodio che richiede di
volta in volta una riflessione e un percorso pensato per il singolo allievo, lavoriamo
, ormai da anni, per diffondere la cultura della legalità tra i nostri
studenti. Lo scorso anno abbiamo ospitato la dottoressa Rita Borsellino che ha
preso per mano i nostri ragazzi e gli ha fatto attraversare, con delicatezza e
rispetto, la vita del compianto magistrato, un momento ampiamente preparato in
classe con letture, con la visione di contributi filmati e con riflessioni che
sono diventate domande consapevoli e mature. Ogni anno organizziamo incontri con
l’arma dei Carabinieri per affrontare i temi non solo della legalità nel senso
più ampio del termine, ma mirando alla professionalità in fieri dei nostri
studenti: gli incontri hanno affrontato temi come la frode e la sofisticazione
alimentare, ma anche la responsabilità penale e civile in caso di comportamenti
irresponsabili tenuti sotto l’effetto di alcol e droghe, non meno rilevanti gli
incontri con la Polizia postale per riflettere sui rischi e sulle conseguenze
del cyberbullismo. La nostra indefessa opera di sensibilizzazione tende proprio
a creare quella auspicata cultura della legalità che dovrebbe ridurre al minimo
episodi di bullismo all’interno e fuori dall’edificio scolastico. Un lavoro
importante viene fatto anche sulle relazioni che i docenti tendono a costruire
con i ragazzi, fatte di rispetto e di quella necessaria empatia che mira a
diventare elemento accogliente e riferimento costante nella vita del minore.<b> </b>Il nostro Istituto Professionale
Alberghiero può vantare una tradizione di eccellenza, che si connota da sempre
per una efficace sinergia e collaborazione con tutti i soggetti operanti nel
settore enogastronomico e turistico del territorio. Senza parlare delle
ricchissime iniziative e attività di alternanza scuola-lavoro, che portano spesso
i nostri studenti a svolgere tirocini all’estero. Proprio dal 2015/16, in
obbedienza al dettato della Legge 107, siamo in grado di affiancare ai
tradizionali strumenti di intervento (come lo “Sportello Didattico” e i corsi
di recupero da sempre attivi nel nostro Istituto), un Piano di miglioramento
molto più articolato, che si avvarrà di un corpo docente aggiuntivo: quello
dell’organico di potenziamento relativo alla Fase “C” del Piano Straordinario
di assunzioni predisposto dal Governo per il 2015/2016. L’organico “dell’autonomia”
era già una novità del DPR 275/99 che non è riuscita a decollare in quanto gli
Istituti, tranne forse che per la scuola primaria e secondaria di primo grado,
non sono riusciti a creare questi percorsi alternativi o di rinforzo.
L’organico previsto dalla L 107/15, consente, invece, concretamente con una
dotazione aggiuntiva rispetto alle esigenze strettamente curricolari della
scuola, di realizzare percorsi straordinari di supporto alla didattica e di
affiancamento dei docenti delle classi più numerose e problematiche, per noi le
classi prime, per lavorare sul successo formativo, propedeutico alla
soddisfazione personale e all’autostima, oltre che ad un lavoro di motivazione
attraverso un intervento su piccoli gruppi di lavoro per riprendere,
approfondire, analizzare o semplicemente impostare un metodo di lavoro adeguato
ed efficace. Questo team di docenti può e, secondo la nostra esperienza, deve
realizzare concretamente l’inclusività, grazie ad un supporto qualificato e
professionalmente stimolante per ridurre la disaffezione nei confronti della
scuola, per realizzare l’accoglienza e l’ascolto che se pure non potranno
risolvere tutti i problemi dei ragazzi e della scuola, contribuiranno a creare
un clima di maggiore serenità e rassicurante per i ragazzi che, troppo spesso,
non possono contare sul supporto di famiglie che hanno rinunciato alle loro
prerogative fondamentali. Il lavoro di rinforzo, dovendo gestire le
professionalità che ci sono state assegnate, si rivolgerà soprattutto ad alcune
discipline considerate più ostiche dai ragazzi ma su cui il Legislatore e l’UE
chiedono di porre maggiore attenzione quali le lingue, italiana e straniera, e
matematica. Lavorare sulle discipline per raggiungere i programmati obiettivi
trasversali, ridurre la frustrazione mirando al potenziamento della qualità
della persona, riscoprendo coi i ragazzi, anche in un percorso orientativo in
itinere, quali sono i punti di forza su cui basare la propria azione e quali i
punti di debolezza su cui lavorare. Un elemento che ritengo essenziale
all’interno della scuola è, senza dubbio, lo sportello di ascolto che, nel
nostro istituto è affidato al Dottor Jacopo Paris che, in modo gratuito, presta
la sua opera e che i fondi della regione potrebbero consentire di pagare. La
‘dispersione’ nel Lazio risulta, in effetti, sensibilmente migliorata nel corso
degli ultimi 15 anni: merito, evidentemente, dell’efficacia delle molte
strategie messe in campo dalle Istituzioni scolastiche. Anche qui a parlare
sono i numeri: quest’anno si attesta al 24,5%, ben lontana dunque da quel 40,1%
che quindici anni fa aveva rappresentato uno dei peggiori risultati tra le
regioni italiane: un vero e proprio exploit complessivo, che lascia spazio ad
ampi margini di ottimismo. Stanziare soldi è un ottima scelta di investimento,
ma serve, dopo aver dato alla scuola l’autonomia funzionale, dotare le scuole
dei fondi necessari ad attivare tutti gli interventi possibili e ad hoc per
rispondere alle richieste di aiuto dei nostri studenti.</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">La prevenzione consiste
nell’insegnare modalità di interazione positiva con i compagni e nell’informare
sulle conseguenze disadattive dell’essere bullo, con l’obiettivo fondamentale
di ridurne il rischio di incidenza. La prevenzione secondaria si configura come
risposta ad alcuni incidenti di bullismo. Può prevedere approcci di tipo
punitivo(sospensione, sanzioni disciplinari) o di tipo riparatorio e di
mediazione tra le parti. L’approccio terziario consiste nel trattamento e nella
riabilitazione di ragazzi implicati nel problema; comporta, quindi, un
intervento di monitoraggio dei fenomeni, strutture di counselling, ed
interventi terapeutici per le vittime, eventuali denunce e interventi
sanzionatori per ragazzi prepotenti. Uno degli approcci più efficaci per ridurre
il problema è quello istituzionale che coinvolge la scuola nel suo complesso.
Questo perché il fenomeno ha una natura multidimensionale che comprende non
solo il gruppo dei pari ma anche la cultura della scuola, la qualità dei
rapporti tra scuola e famiglia e, più in
generale, il sistema sociale di riferimento degli alunni. <i>Approccio curricolare:</i> legato alla
volontà e all’iniziativa del singolo docente che si ritaglia uno spazio
all’interno delle discipline per affrontare il tema e favorire un percorso di
progressiva sensibilizzazione sul problema da parte degli alunni. Spesso questo
percorso parte da stimoli culturali( film, narrativa, letture..) per favorire
una progressiva presa di coscienza.<i>
Approcci di potenziamento delle abilità emotive e sociali e della convivenza: </i>in
questa tipologia rientrano percorsi di lavoro trasversali delle discipline che
possono favorire la capacità dei ragazzi di comunicare in modo più adeguato, di
riflettere, attraverso un approccio globale sui fenomeni di prepotenza, di
capire il punto di vista di altri problemi all’interno della classe. Il
bullismo è un problema di violazione dei diritti umani e per questo “ è
responsabilità morale degli adulti assicurare che questo diritto sia rispettato
e che per tutti i bambini e per tutti i giovani siano effettivamente promossi
un sano sviluppo e l’esercizio della cittadinanza attiva”. Nel 2007 il
Legislatore ha ritenuto necessario, alla luce dei fatti di cronaca, emanare le linee
guida per attivare una strategia in grado di arrestare il dilagare di un
processo di progressiva caduta sia di una cultura del rispetto delle regole sia
della consapevolezza che la libertà dei singoli debba trovare un limite nella
libertà degli altri, linee guida ancora attuali e punto di riferimento dei
professionisti della scuola.</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><o:p></o:p></span></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-45317118729662498042015-06-10T21:26:00.000+02:002015-06-10T21:26:25.865+02:00LETTERA DI UNA PERSONA MALATA<div style="text-align: justify;">
Oggi non pubblico nulla di mio, ma devo dare voce ad una persona straordinaria, ad una vera combattente che non si è mai data per vinta, ma che ora sente il bisogno di gridare il suo dolore. Oggi sono la sua voce e il suo urlo di rabbia e delusione: un grido che, per sua scelta, deve essere condiviso e ascoltato.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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<br /></div>
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<br /></div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Lettera di una Persona Malata. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Non so a chi indirizzare questa mail, ma so che vorrei la leggessero tutti i
malati oncologici e tutti gli oncologi che provano a curarli e so anche cosa
sto per dire e quali sono i sentimenti che da due anni vivono nel mio cuore.
La mia malattia non l’ho ovviamente cercata, è capitata, così come capita di
nascere belli o brutti, fortunati o sfortunati. Io ero nata “ sana”. Sempre stata!
Poi la mia vita è stata sconvolta da un adenocarcinoma del colon con
metastasi al fegato, al peritoneo, al diaframma, all’utero ecc..Intervento
effettuato al 5° piano del vostro ospedale Regina Elena( IRE) . Devastante
nell’animo e nel fisico, già provato da due interventi nei 4 mesi precedenti.
SI!! Devastante nell’animo e nello spirito, perché non esiste solo un corpo da
curare ad ogni costo!. Esiste anche lo spirito, anzi, forse è l’unica cosa che
resterà di me anche dopo e avrei voluto che fosse stato curato, amato e
coccolato serenamente!
Invece IO mi sono sentita sola e abbandonata, a combattere contro un
destino infelice. Intorno a me ho avuto solo dei camici bianchi, verdi, azzurri o
blu che controllavano i progressi fisici, senza mai chiedermi se ero serena, se
avevo domande da porre, se bisognavo di una carezza, o di piangere e
basta, se volevo conforto o certezze sul futuro….
Anche le bugie fanno bene quando ci si aggrappa disperatamente alla vita.
Sono illusorie, lo so, ma regalano momenti fugaci di pace e ottimismo.
Intorno a me, per fortuna, oltre a dei camici colorati, ho avuto la mia famiglia,
tutti i miei cari, le amiche e l’amore che mi è stato regalato in questi due anni.
Loro sono stati la mia forza, il mio sostegno, la mia testarda, estenuante
“chemio” umana contro il nemico invincibile.
E i medici? Il “mio” oncologo, come diciamo noi poveri “tumorati” di Dio!!!
Questi grandi oncologi del Regina Elena sembrano planare a due metri da
terra sul dolore dei pazienti. In due anni mai un sorriso, una parola di
complicità, una pacca solidale sulla spalla!! Nulla. Mi sono sempre sentita il
numero che aspettavo di veder apparire sul display prima di fare la chemio.
Ma IO non sono un numero! IO odio la matematica!! IO sono una Mamma,
una Figlia, una Moglie, una Sorella, una Zia, una Cognata, una Nipote, una
Cugina, un’Amica e un’Insegnante.!! IO sono una Persona, ma anche tutte
queste cose insieme . E pensare che uno dei vostri slogans all’ingresso
dell’ospedale è.” La persona prima di tutto”.
Per voi la persona è solo il corpo disgraziato che gli è capitato. E null’altro!
Dopo l’ultima Pet (Gennaio 2015) che evidenziava l’evoluzione del mio
cancro, sono stata spedita a casa dal “mio” oncologo, il quale ha detto, che
se avevo pazienza di aspettare da lì a poco sarebbe uscito un nuovo farmaco
(Stivarga), farmaco che a tutt’oggi, per motivi di sicuro pecuniari, non è
ancora dispensato dal Regina Elena. Mi avrebbe contattata lui.
Finito. Stop. Neanche una stretta di mano. Dopo due anni di cure e visite
bimensili, a casa. Dopodiché il nulla. IO ero già abituata al nulla del vostro
umanissimo day hospital A (eccetto le infermiere). Ma quando prendi
coscienza che stai per andare, questo nulla ferisce più delle crudeli lesioni al
fegato, dei disumani dolorosi noduli addominali, delle metastasi impietose
all’intestino.
IO mi sento ferita perché tanta freddezza, tanta indifferenza e superficialità
vengono dalle persone. E la persona, ancor di più se malata, dovrebbe venire
prima di tutto. Essere sopra a tutto. Siete persone anche voi. IO sono solo
una Malata. Ma sono Persona ed Essere umano per tanta gente che mi ama
proprio per la Persona che sono. </div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-44634315005360129372014-02-09T20:49:00.000+01:002016-01-28T14:39:02.295+01:00ANALISI DEL TESTO: " IL TRENO HA FISCHIATO" DI LUIGI PIRANDELLO<div class="MsoNormal">
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<div class="MsoNormal">
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<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUvx2N3Z-bwsH3flTptYSNZh2V-EocErKsh66CYrmhttufWcq5pt-NodYkJW98vX-YiYJmSFhsWfnlGjo-9Zf8OVhzftk_kLM0uAa3uteWKQpwA4JVp0OZH2b-INIYKy9U5I19tEnxxzq6/s1600/pira.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUvx2N3Z-bwsH3flTptYSNZh2V-EocErKsh66CYrmhttufWcq5pt-NodYkJW98vX-YiYJmSFhsWfnlGjo-9Zf8OVhzftk_kLM0uAa3uteWKQpwA4JVp0OZH2b-INIYKy9U5I19tEnxxzq6/s1600/pira.jpg" width="307" /></a></div>
<br />
Testo integrale della novella su:<br />
<a href="http://kidslink.bo.cnr.it/irrsaeer/pirand1/protes.html"><span style="color: red;">http://kidslink.bo.cnr.it/irrsaeer/pirand1/protes.html</span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></span>
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La novella fu pubblicata per
la prima volta il 22 febbraio 1914 sul “Corriere della sera”. Dopo essere stata
raccolta nel volume <i>La trappola </i>del
1915, nel 1922 venne inserita nel progetto <i>Novelle
per un anno,</i> all’interno del volume IV, intitolato <i>L’uomo solo.</i> La novella racconta l’improvvisa “pazzia” di un
impiegato modello, Belluca, che un giorno decide di non sopportare più le
angherie e le vessazioni del suo capoufficio e che, per questo, viene portato
in manicomio. Sarà proprio il fischio del treno, che dà alla novella il titolo,
a spalancargli il mondo dell’immaginazione e della fantasia troppo a lungo
soffocato dalla routine e dal grigiore della sua vita modesta: come spesso
accade nelle storie pirandelliane, un fatto banale segna la svolta inattesa e
inaspettata, scandisce il passaggio dalla “sanità” alla follia vanificando ogni
confine netto e premarcato. Attraverso un dettaglio piccolo, “normale” il
protagonista si riscopre e giura di non volersi lasciare più. La figura del
protagonista richiama quella dei molti impiegati piccolo borghesi di epoca
giolittiana, fagocitati da un lavoro meccanico e spersonalizzante e penalizzati
da una condizione di miseria, ristrettezze e sofferenza. Belluca e con lui
l’impiegato medio, però, non è tanto e solo la rappresentazione della
condizione di una precisa classe sociale, quanto la rappresentazione della
squallida condizione dell’esistenza umana in generale. Non è Belluca intrappolato
in un lavoro ripetitivo, alienante e annullato da una famiglia ingombrante e
opprimente, ma l’uomo in generale, l’uomo che ha ingaggiato una lotta impari
con l’impossibilità di eguagliare modelli irraggiungibili per tenere il passo
di una società che annienta ogni valore e ogni cosa buona. L’esordio della
novella, <i>in medias res, </i>disorienta il
lettore che fatica a comprendere i fatti e l’accaduto, ma che capisce subito
che il caso occorso al “povero Belluca” non era quello che tutti immaginavano,
fingendo una ridicola e affatto credibile pietà per quell’uomo al quale, come
il misterioso narratore suggerisce, era accaduto <i>un caso naturalissimo</i>. Il cinismo dei colleghi emerge drammatico
quando il protagonista comincia ad essere descritto come un uomo <i>mansueto e sottomesso, …metodico e
paziente…circoscritto</i>: nessuno avrebbe mai potuto neppure lontanamente
immaginare che un uomo così mediocre, così avvezzo a subire dalla vita, dai
colleghi, dal capoufficio potesse , un giorno, stancarsi e ribellarsi. Sin
dall’esordio del racconto Pirandello propone al lettore il confronto tra due
verità diametralmente opposte, eppure assolutamente possibili entrambi: per i
medici e i colleghi Belluca è impazzito di punto in bianco, per il narratore
allodiegetico e il protagonista ,
invece, è solo accaduto <i>un fatto
naturalissimo.</i> La verità, dunque, ci appare sin dalle prime battute,
relativa, mai chiara e netta. Da una parte si pone il giudizio frettoloso di
chi conosce solo una piccolissima parte della quotidiana vita di Belluca, di
chi in modo sommario, superficiale e un po’ livido e irriverente ostenta una
pietà insulsa e falsa, dall’altra si introduce il tentativo, sia pure relativo
e soggettivo , del narratore di comprendere le ragioni profonde che hanno
spinto Belluca a spezzare le catene della sua grigia esistenza. La verità deve
essere ricercata, investigata, analizzata e deve poggiare su un solido
tentativo di analisi e conoscenza, non sulla superficialità del giudizio comodo
e privo di un valido fondamento. La colpa di Belluca è solo quella di voler
rompere la monotonia, la routine di un’esistenza segnata dall’alienazione familiare
e lavorativa per via di un impiego ripetitivo, monotono e spersonalizzante. Attraverso
l’uso dell’iperbole, Pirandello ci descrive la famiglia di questo uomo: una
moglie cieca, fatto che fa provare al lettore sincera pietà, una suocera e una
sorella della suocera anch’esse cieche, due figlie vedove con sette figli da
ospitare e mantenere e l’effetto paradossalmente esilarante è ottenuto! Il
prototipo del buon padre di famiglia che deve lavorare per mantenere amorevolmente
i suoi cari, non fargli mancare nulla viene stravolto da questa sfortunata e
assurda famiglia che il povero impiegatuccio fatica a mantenere, dove
addirittura trovare un posto per dormire a tarda sera è una sorta di scontro
tra titani. Allora il poveraccio, per arrotondare il misero stipendio, si porta
a casa altro lavoro da completare, in attesa di cadere tramortito e privo di
sensi su uno scalcinato divano che lo accoglie come unica consolazione dopo una
giornata di duro e umiliante lavoro. Il motivo sentimentale e commovente del
padre che si sacrifica silenzioso e forte per il bene della sua famiglia, viene
dissacrato da Pirandello, portato al ridicolo attraverso quel “ sentimento del
contrario” che spiega il riso amaro che accompagna le vicende più cupe
dell’esistenza di ciascun uomo. L’uomo che Pirandello ci propone non è
dominatore e artefice del proprio destino, come ancora certa borghesia
ottocentesca si ostina a credere, ma è spesso frantumato, ha perso la certa
identità a vantaggio di una miriade infinita di io alla ricerca di se stessi e
dell’ unità ,ormai, irrimediabilmente franta e irrecuperabile. La grande
industria, l’uso delle macchine che hanno ridotto l’uomo a compiere un lavoro
meccanico che nega qualsiasi partecipazione personale e originale e che lo
costringe ad un lavoro solitario e ripetitivo, la burocrazia che annulla
l’identità dell’uomo, ne divora la personalità e lo riduce ad un numero, tanto
fondamentale quanto spersonalizzante, le grandi metropoli che hanno di fatto
annullato ogni possibilità di contatto umano, allontanando gli uomini gli uni
dagli altri e costringendoli ad una solitudine esistenziale senza precedenti:
Belluca è vittima di tutti questi straordinari cambiamenti. L’uomo oramai è in
trappola: la vita è una condizione carceraria da cui l’uomo tenta di evadere,
ma finisce con l’essere irrimediabilmente schiacciato e deluso. Ormai è chiaro,
al maestro, che l’uomo è vittima delle convenzioni sociali, costretto a trovare
il suo ruolo in questa grande “pupazzata” che è la vita, costretto a morire
mentre è ancora in vita senza riuscire ad opporsi ad un destino ineluttabile.
Il dolore dell’uomo pirandelliano è il dolore di chi rifiuta i meccanismi
sociali, i ruoli che la società impone e che cerca disperatamente
l’autenticità, la spontaneità, le tracce della propria personale e straordinaria esistenza. Una società che
Pirandello demistifica, che rifiuta ma in cui l’uomo è costretto a vivere per
esistere, per essere certo di esserci, per essere considerato essere umano. Ma
la trappola più terribile è la. famiglia: Pirandello coglie il senso devastante
di questa sacra istituzione, analizzandola cinicamente e con disincanto. La
famiglia vanifica ogni tentativo di indipendenza dell’uomo, lo riduce a piccolo
ingranaggio con una serie di movimenti già scritti, con un copione che non
lascia spazio all’improvvisazione, soffoca l’aspirazione dell’uomo ad affermare
la propria libertà, lo vincola in un meccanismo di odio, tensione sociale,
ipocrisia, menzogna e lo snatura. Accanto alla famiglia l’altra trappola è
rappresentata dalla posizione economica e dal lavoro :il bisogno, tutto
sociale, di avere un lavoro che consenta di mantenere dignitosamente la
famiglia, un lavoro, per la maggior parte degli uomini impiegatizio, fatto di
gesti ossessivamente ripetitivi che non richiedono grandi capacità o
straordinarie qualità, ma solo un meccanicistico ripetersi lento, metodico e
frustrante di gesti sempre uguali. Che cosa rimane allora, all’uomo? Nulla.
Pirandello attacca e demolisce la società e le sue regole ferree e limitanti,
ma non riesce a trovare una via d’uscita: la vita è una condanna al dolore
senza appello e senza possibilità di riscatto. Eppure Belluca, ad un certo punto
trova un modo per riprendersi la sua dimensione di essere umano: il fischio del
treno gli ricorda che fuori c’è la vita, che fuori c’è un mondo che si muove,
che respira, che forse non tutti sono così maledettamente infelici e soli, che
si può viaggiare lasciando alla mente la libertà di vagare, la vita, attraverso
il fischio del treno, rientra prepotente nell’esistenza dell’uomo Belluca e, in
opposizione agli spazi angusti che hanno finora accompagnato la descrizione
delle vicende di questo impiegato, gli spalanca spazi aperti, sterminati e
percorribili senza paure o senza perdere di vista il ruolo che la società gli ha
assegnato. La vita che rientra, gli provoca un trauma terribile: da uno stato
catatonico ad uno stato di frenesia, di delirio da riscoperta della vita tanto
che non gli riesce di controllare le sue reazioni, certo, ha esagerato un po’,
ma ora sa che quando vorrà, potrà chiudere gli occhi e respirare a pieni
polmoni la vita, viaggiando e immaginando distese azzurre e città e luoghi
sconosciuti. Ma Belluca, a differenza di altri eroi pirandelliani, non sceglie
di evadere definitivamente, non si ribella e basta, anzi ritorna alle sue
responsabilità con un senso nuovo di ritrovata libertà, l’evasione sarà
momentanea, egli torna, <i>mansueto e circoscritto</i>,
a rivestire i panni del buon padre di famiglia che responsabilmente la mantiene
e svolge il ruolo assegnatogli dalla
società, ma si lascerà qualche momento di fuga per consolarsi di una vita
ingiusta e senza soddisfazioni. La novella rivela l’uso sapiente dell’arte
umoristica di Pirandello che, in una saggio, egli stesso cerca di spiegare in
contrasto con la comicità: la riflessione
serve a passare dall’ ”avvertimento del contrario” proprio del comico, al
“sentimento del contrario” proprio dell’umoristico. Solo la riflessione restituisce alle
situazioni il giusto valore e aiuta a comprendere i meccanismi profondi che
determinano l’esistenza, i sentimenti, i pensieri e la vita stessa, una
riflessione che poggia proprio quasi esclusivamente sull’analisi della disarmonia, della contraddizione, del
grottesco, del ridicolo, dell’esagerazione in opposizione alla consolidata
prassi letteraria che tende sempre a comporre i dissensi e a ridurli a forma
ordinata e, per molti versi, assai più rassicurante. La struttura della novella
predilige l’intreccio, tempo della storia e del racconto, dunque, non
coincidono e risultano impreziositi da analessi e dettagli della vita del
protagonista che il suo vicino di casa vuole rendere noti al lettore per
consentirgli di comprendere umanamente il caso di Belluca. Il quadretto che
Pirandello ci fornisce del dialogo irreale del capoufficio e di Belluca che
incalzato continua a ripetere che “ Il treno ha fischiato” è esilarante: l’ira
del capoufficio si scontra con la ritrovata felicità di Belluca e non regge
all’urto! L’uomo si infuria, non riconosce il mulo che era solito picchiare,
offendere e maltrattare, addirittura l’uomo alza la voce e si ribella,
lasciando il capo esterrefatto. </span><span style="color: #333333; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">A differenza dei colleghi di Belluca,
l'io narrante, l'unico in grado di dare un senso alle cose, riesce a
"riattaccare" quell'orribile coda al legittimo proprietario.
Paradossalmente la scoperta del mostro (l'intera verità) non spaventa il
narratore, tutt'altro. E' l'ignoranza la vera nemica, e non la conoscenza della
realtà, per quanto cruda essa possa essere (come la
"prigione" di Belluca): da "mostruosa", la coda
diviene "naturalissima", "qual dev'essere". Il
risultato magistrale di ogni singolo scritto di Pirandello sta tutto in quella
lucida, disincantata, a volte crudele analisi della società e dei meccanismi
che la determinano e l’incapacità, tipica dell’uomo, di inserirsi in un sistema
prevaricante e che non ammette debolezze, ripensamenti o, semplicemente, voci
fuori dal coro.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-79805729934465211162013-12-27T13:34:00.001+01:002013-12-27T13:49:19.991+01:00ANALISI DEL TESTO: " IL GELSOMINO NOTTURNO" DI GIOVANNI PASCOLI<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIgnrFdwTL2oSIspF3lnyfgX_5g9rrxPcghs-tvQEmJYfv308Lzi8gcCpGo6-ZIs_HEKHL-vJmazVineNA-KsC6DSx4mx1JKlxlVJEXgj4hq8kRG5hWRDIDGBexXTAruTSxuzpJ3jikVG5/s1600/images.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIgnrFdwTL2oSIspF3lnyfgX_5g9rrxPcghs-tvQEmJYfv308Lzi8gcCpGo6-ZIs_HEKHL-vJmazVineNA-KsC6DSx4mx1JKlxlVJEXgj4hq8kRG5hWRDIDGBexXTAruTSxuzpJ3jikVG5/s1600/images.jpg" height="290" width="400" /></a></div>
<br /></div>
<table align="center" border="0" style="background-color: #d5dede; width: 336px;"><tbody>
<tr><td><div align="left">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', Times, serif; font-size: large;">Il gelsomino notturno</span></div>
<div align="left">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, Times, serif;"><br /></span></div>
<div align="left">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, Times, serif;">E s'aprono i fiori notturni,<br />nell'ora che penso a' miei cari.<br />Sono apparse in mezzo ai viburni<br />le farfalle crepuscolari.<br />Da un pezzo si tacquero i gridi:<br />là sola una casa bisbiglia.<br />Sotto l'ali dormono i nidi,<br />come gli occhi sotto le ciglia.<br />Dai calici aperti si esala<br />l'odore di fragole rosse.<br />Splende un lume là nella sala.<br />Nasce l'erba sopra le fosse.<br />Un'ape tardiva sussurra<br />trovando già prese le celle.<br />La Chioccetta per l'aia azzurra<br />va col suo pigolìo di stelle.<br />Per tutta la notte s'esala<br />l'odore che passa col vento.<br />Passa il lume su per la scala;<br />brilla al primo piano: s'è spento...<br />E` l'alba: si chiudono i petali<br />un poco gualciti; si cova,<br />dentro l'urna molle e segreta,<br />non so che felicità nuova.</span></div>
</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span>
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span>
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">“Il gelsomino notturno”,
incluso nell’edizione dei <i>Canti di
Castelvecchio</i> del 1903, rappresenta uno dei più significativi e complessi
risultati del simbolismo pascoliano. In questa seconda raccolta poetica se da
un lato sono ripresi il motivo naturalistico e famigliare, già ampiamente
sviluppati in <i>Myricae</i> , dall’altro,
si evidenzia il tentativo della ricerca di una liricità più distesa. Nella
prefazione <i>i Canti di Castelvecchio</i>
sono definiti dallo stesso autore “myricae” (citazione ripresa dalla IV ecloga
virgiliana, ma in opposizione ad essa: se il poeta latino voleva innalzare il
tono della sua poesia in quanto “…non omnes arbusta iuvant, humilesque
myricae”, Pascoli considera le umili piante come il simbolo delle piccole cose,
oggetto della sua lirica) quasi a stabilire una continuità di fondo tra le due
raccolte. Forse il venir meno di un certo frammentismo e il recupero, a partire
dal titolo, dei “Canti” leopardiani, in particolare con la ripresa del motivo
della ricordanza e del rapporto uomo-natura, costituiscono, insieme alla
ricerca di una musicalità più complessa e al tentativo di audaci
sperimentazioni metriche, i tratti distintivi della raccolta. Questa poesia fu
composta in occasione delle nozze di un intimo amico di Pascoli, dato senza il
quale i versi sembrerebbero una serie di notazioni impressionistiche, ispirate ad
una situazione notturna e senza alcun legame tra loro. Si tratta, come alcuni
critici hanno evidenziato, di un moderno epitalamio, in cui la narrazione dei
piccoli eventi naturali che si susseguono dal crepuscolo fino all’alba, allude,
simbolicamente e con estrema delicatezza, ma anche in maniera turbata e
inquieta, alla prima notte di nozze dei due giovani sposi e al concepimento del
loro primogenito cui verranno imposti i nomi di Dante Gabriele Giovanni. Al di
là dell’occasione, l’importanza del testo e il suo valore semantico risiedono
in un’alternanza di detto e non detto, in un continuo e sinestesico rimandarsi
di vari elementi tra loro(oggetti, suoni, odori), in un segreto e misterioso
legame tra immagini (la casa, il fiore, i morti, il nido) in cui il riferimento
a traumi individuali è elemento imprescindibile per la comprensione della
poesia. Questa è sorretta da una fitta rete di significati simbolici all’interno
della quale si instaura da un lato una corrispondenza fra il ciclo erotico
della natura e la notte nunziale, dall’altro un sistema di opposizioni tra le
quali emerge, in particolare, quella tra casa nunziale e “nido”, inteso come
forma di regressione infantile e consolatoria che segna l’esclusione dalla vita
adulta. La narrazione lirica, dietro l’apparente facilità della poesia
pascoliana, risulta scandita in tre momenti corrispondenti a distinti blocchi
di significato: la rappresentazione notturna con la simbolica apertura del
gelsomino (strofe 1-2); il processo di fecondazione, attraverso l’immagine
vegetale, allusiva di un altro rito, cioè quello che si svolge nel mondo umano (strofe
3-5); la chiusura, all’alba, dei petali del fiore, segno della compiuta
fecondazione(strofa 6). L’<i>incipit</i> ( <i>E s’aprono</i>…)
sembra, per la presenza della congiunzione, far riferimento ad una meditazione
già avviata dal poeta quando, all’imbrunire, i gelsomini aprono la loro corolla
e lui ripensa ai suoi cari defunti di cui le <i>farfalle
crepuscolari</i> rappresentano una simbolica allusione. E’ già qui, tutto
presente, per quanto velato da un forte simbolismo, il contrasto vita-morte: di
notte, simbolo della morte, i gelsomini aprono la loro corolla, per un processo
di fecondazione simbolo della vita, ed il pensiero del poeta va, per analogia e
per contrasto, a quello dei suoi familiari scomparsi. La sera, con l’oscurità,
porta il silenzio e il riposo ( <i>Da un
pezzo si tacquero i gridi…</i>), solo in una casa, rispetto alla quale il poeta
è esterno (<i>là</i>), qualcuno è ancora
sveglio e parla a bassa voce (…<i>bisbiglia</i>…)
in un’atmosfera di affettuosa protezione, rappresentata dal nido (<i>Sotto l’ali dormono i nidi</i>…”), rifugio
per eccellenza. Quando tutto sembra dormire i gelsomini si aprono emanando un
profumo che ricorda quello delle fragole mature mentre, al primo piano della
casa (…<i>là</i> <i>nella sala…)</i> una luce ancora accesa testimonia che i due giovani
sposi sono ancora svegli. Se da un alto, dunque, emerge la corrispondenza tra
fecondità naturale e fecondità domestica, dall’altro, la continuazione della
vita, rappresentata dalla lampada accesa ( <i>Splende
un lume</i>…), si contrappone, nuovamente,
anche se solo per un attimo, ad un’immagine mortuaria, all’interno della quale è
possibile, tuttavia, notare un richiamo contrastivo alla vita reso dall’immagine
dell’erba che <i>nasce</i> sulle <i>fosse</i>
, cioè sulle tombe. In un primo momento la rappresentazione del mondo notturno
si estende, simbolicamente e per analogia, all’ape che, ritorna tardi al suo
alveare, luogo fecondo e vitale per eccellenza, non riesce ad entrarvi e,
quindi, vi sia aggira intorno col suo ronzio. Successivamente, attraverso un
gioco di parole e in un’apparente continuità semantica col mondo animale, il
poeta fa riferimento alla costellazione delle Pleiadi comunemente chiamata, nel
mondo contadino, “ Chioccetta”. Il <i>fanciullino</i>
pascoliano sviluppa, dunque, in un’immagine giocosa, la metafora iniziale: <i>l’aia azzurra</i> è il cielo, mentre le
stelle <i>pigolano</i> per analogia con i
pulcini ,laddove il pigolio, oltre ad assumere un valore onomatopeico
attraverso un rapporto analogico basato su una somiglianza di significante,
richiama il luccichio. In questa atmosfera suggestiva e onirica, mentre il
profumo inebriante dei gelsomini viene diffuso (…<i>s’esala</i>…) dal vento per tutta la notte, la luce, prima accesa nella
sala, si sposta <i>su per la scala</i> al
secondo piano, quindi alla camera da letto, dove i due sposi si congiungeranno
e genereranno una nuova vita. Il brillare e poi lo spegnersi della luce è
seguito dai puntini di sospensione che indicano un’ interruzione intenzionale
della frase per cui viene affidato al lettore il compito di completarne il
senso in riferimento all’intimità della situazione. La strofa finale, con il
sopraggiungere delle prime luci dell’alba allude all’avvenuto concepimento nell’ambito
di un ulteriore e non detta corrispondenza tra la fecondazione del fiore e
quella della giovane sposa: la chiusura dei petali, un poco gualciti, dentro l’ovario
del fiore umido e nascosto e il maturare al suo interno del polline che lo ha
fecondato assume, metaforicamente, il valore di una promessa di vita anche per
i giovani sposi. Non sfugge, d’altro canto, che proprio nella sua conclusione e
in immediata continuità con l’immagine del fiore che invita all’amore, la
lirica richiama nuovamente il motivo della morte, per l’ambiguità di senso che
reca con sé l’utilizzo della parola <i> </i>enigmaticamente riferita da un lato alla
corolla chiusa in quanto fecondata, dall’altro all’urna cineraria e quindi al
suo uso poetico per tomba o sepolcro. Il titolo della lirica anticipa una delle
parole chiave della poesia e, nello stesso tempo, prelude ossimoricamente,
nella <i>iunctura</i> indeterminata e
analogica con l’aggettivo <i>notturno</i>, a
quel filo lirico connesso con l’area semantica della morte. Sembra, tuttavia,
precaria ogni distinzione di confine tra area semantica positiva e negativa nel
senso che le immagini del fiore, dei morti, della casa, del nido si alternano
secondo un principio di immediata contiguità per cui il quadro notturno,
apparentemente idillico e armonico, nasconde segrete tensioni. Il senso del
mistero si esprime sia attraverso una serie di analogie simboliche che attraverso
un gioco sonoro con il quale il poeta sembra disperdere nei versi i fonemi che
compongono la parola “urna”. A prescindere dal v.3 in cui al termine tecnico<i> viburni </i>relativo al mondo naturale
sembra essere assegnata una funzione eminentemente rivelatrice, è possibile
schematizzare la scomposizione di “urna” in allitterazioni e consonanze
conseguenti: <b>U</b> ( nottUrni,
crepUscolari, lUme),<b>R</b> ( apRono, caRi,
faRfalle, gRidi, doRmono, odoRe, eRba, taRdiva, nottuRni, vibuRni, sussuRra,
azzuRra), <b>N</b> (Nidi, Nasce, Notte,
priMo, Nuova),<b> A</b> ( trovAndo). Il
fonosimbolismo pascoliano valendosi, dunque, di un linguaggio in cui i suoni
sono di per sé carichi di significato conferisce autonomia al significante ed
instaura relazioni foniche tra le varie immagini, sovente rappresentate da
parole onomatopeiche (bisbiglia, esala, sussurra, pigolio). A livello
metrico-ritmico l’impiego del novenario, non molto usato nella nostra
tradizione lirica e letteraria e ripreso proprio da Pascoli, conferisce alla poesia
un ritmo lento e spezzato determinato da pause e da una fitta interpunzione quasi
che l’autore fosse alla ricerca di una musica franta, intima, espressione
dolorosa dell’esclusione dell’io lirico dalla possibilità di un rapporto
amoroso, esclusione simbolicamente rappresentata dall’ape tardiva che non è riuscita
ad entrare nell’alveare, metafora della vita adulta. Il testo risulta diviso in
sei strofe costituite da quartine a rima alternata(ABAB) ciascuna delle quali è
scomponibile in due novenari dattilici e due trocaici sempre divisi, tra l’altro,
dal segno di interpunzione. Si notino, inoltre, gli enjambement il cui uso
conferisce un singolare rilievo alle parole divise che, isolate, dilatano il
ritmo e creano una particolare atmosfera, e le sinalefi che contribuiscono a
determinare quella situazione di immediata contiguità fra le immagini. Rispetto
alla lingua della tradizione si rileva, da un alto un atteggiamento di evasione
attraverso il preziosismo delle voci tecniche o popolari relative al mondo
della natura, dall’altro, sebbene in misura minore, un atteggiamento di ritegno
attraverso il ricorso a termini aulici ( crepuscolare, esala, tardiva, gualciti,
urna): tuttavia, in entrambi è lo scarto dalla norma a valere da parametro in
quanto l’esercizio del privilegio linguistico è espressione di quel privilegio
conoscitivo teorizzato nel “ Fanciullino”. Da un punto di vista retorico
occorre evidenziare una serie di figure di ordine: la frequente inversione (vv
1-3-5-7-11-12-19-20-21-22) che rovesciando il normale ordine sintattico, sottolinea
la valenza semantica dei predicati; il chiasmo presente ai vv 7-8 che,
collegando tra loro le <i>ali </i>e le <i>ciglia</i> e i <i>nidi</i> e gli <i>occhi</i>, produce
una significativa modulazione musicale e sottolinea, dopo il riferimento alla
casa, l’importanza che il luogo chiuso assume nell’immaginario poetico
pascoliano che qui, tra l’altro, fa ricorso a figure di significato come la
metonimia al v 7 e la sineddoche al v 8; l’anafora<i>( là…là- sotto…sotto- si esala</i> <i>l’odore…si
esala l’odore-passa…passa</i>) che ha la funzione di rimarcare, enfaticamente
alcune immagini; l’uso, infine, dell’asindeto che, sopprimendo i legami di congiunzione
e sostituendoli con i segni di interpunzione, crea delle pause di carattere
allusivo all’interno di un susseguirsi di sensazioni visive, olfattive e
acustiche il cui movimento è dato dalla contiguità degli accostamenti e da un
gioco di dissolvenza. Il <i>Gelsomino notturno</i> risulta intriso di
una serie di figure di significato in cui è predominante l’aspetto simbolico e
metaforico ravvisabile nelle ipallagi ai vv 1-4(…<i>fiori notturni…farfalle crepuscolari</i>), nell’antitesi che si
instaura tra il silenzio notturno e il bisbiglio degli sposi nella casa; nella
metonimia del v 5 che sostituisce il contenuto con il contenente; nella
sinestesia che si instaura tra il colore rosso delle fragole e l’odore dei
fiori allo stesso modo in cui la visione del luccichio delle stelle si
trasforma in un pigolio; infine nell’immagine tutta metaforica dell’ultima
strofa che ruota intorno all’uso del termine urna. Ricorre, inoltre, l’antitesi
nell’accostamento dentro/fuori, chiuso/aperto, vita/morte: in particolare quest’ultima
coppia antitetica ci conduce ala considerazione della funzione inibitrice dei
morti nella poesia pascoliana, espressione di un continuo pericolo che mette a
repentaglio lo stesso soggetto individuale facendone un escluso ed impedendogli
di realizzarsi, al di là del nido, attraverso una vita adulta di relazione.</span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
</div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-45492548879448283732013-11-02T20:10:00.004+01:002013-11-02T20:10:53.440+01:00Analisi del testo: " Spesso il male di vivere ho incontrato" di Eugenio Montale<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhtO4OUoaaWkiqOBW32v3T_JAf-3Ohtnnf6JQbIlJ2fTnbRdm1k8fRikPss0fsTvQMFwbFVWaTOQh2VNqp1LXBLs2lKaH6rH2GfUQuKpZPcHCAPBO-YzewISXRn5UtJgkmDcXXsRakh-rRF/s1600/montale.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="310" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhtO4OUoaaWkiqOBW32v3T_JAf-3Ohtnnf6JQbIlJ2fTnbRdm1k8fRikPss0fsTvQMFwbFVWaTOQh2VNqp1LXBLs2lKaH6rH2GfUQuKpZPcHCAPBO-YzewISXRn5UtJgkmDcXXsRakh-rRF/s400/montale.jpg" width="400" /></a></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><b><br /></b></span></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><b><br /></b></span></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><b>“
Spesso il male di vivere ho incontrato”</b> di Eugenio Montale<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div align="justify">
<span style="background-color: white;"><span style="font-family: inherit;">Spesso il male di vivere ho incontrato:<br />era il rivo strozzato che gorgoglia,<br />era l'incartocciarsi della foglia<br />riarsa, era il cavallo stramazzato.<br /><br />Bene non seppi, fuori del prodigio<br />che schiude la divina indifferenza:<br />era la statua nella sonnolenza<br />del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.</span></span></div>
<div>
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">Testo emblematico della
produzione poetica montaliana la quale riflette, soprattutto nella sua prima
fase, la consapevolezza di un mondo dominato dall’incertezza e dalla
contraddizione, la lirica <i>Spesso il male
di vivere ho incontrato </i>esprime il modo di una tipica condizione di
malessere esistenziale. Inclusa nella raccolta “Ossi di seppia”, apparsa nel
1925, il cui titolo allude, quasi in veste di “correlativo oggettivo”
d’apertura, all’aridità e all’estraneità del vivere dell’uomo contemporaneo,
essa presenta non in forma concettuale o analogica, bensì in maniera
emblematica il senso indecifrabile dell’esistenza. Tale operazione letteraria
va collocata e intesa all’interno di un più ampio quadro storico-culturale che
configura, agli inizi del Novecento, una situazione di crisi, peraltro già
avvertita alla fine del secolo precedente, la quale, venuto meno il rapporto
diretto con la realtà e la fiducia di stampo positivista, determina l’emergere
di nuove e, per certi aspetti, “sovversive” tendenze letterarie. La conseguente
sensazione di precarietà e insicurezza, connessa, sul piano culturale, alla
“perdita d ’aureola” del poeta o di quello ideologo e mediatore, su quello
storico, alla tragica esperienza della Grande Guerra e alla situazione di
instabilità che, negli anni successivi alla sua conclusione, agevoleranno
l’affermarsi del fascismo prima, del nazismo poi, determinano il momento
rivoluzionario delle Avanguardie e la tendenza all’Espressionismo cui seguirà,
negli anni Venti, un complessivo ritorno all’ordine, rappresentato in Italia
dalla rivista “ La Ronda”. E’ significativo che proprio nel 1925, anno in cui
il fascismo si trasforma in regime esca “ Ossi di seppia” di Montale, raccolta
ispirata a un ripiegamento esistenziale di tipo post-espressionista. Le
soluzioni stilistiche e formali e le scelte tematiche del poeta , in cui alcuni
critici hanno rintracciato influenze di Camillo Sbarbaro e di Thomas Eliot (è
quest’ultimo ad aver usato l’espressione <i>correlativo
oggettivo</i>) , tra i contemporanei, la presenza di Leopardi tra i
predecessori, dunque, riconducibili ad un senso di negatività assoluta e ad un
“ male di vivere” che diventa una condizione storica ed individuale colta nel suo
aspetto misterioso si estende all’intera dimensione dell’esistenza, colta nel
suo aspetto misterioso e incomprensibile. Sottoposto a spinte di tendenze
poetiche diverse, tra le quali è opportuno ricordare non solo quelle simboliste
desunte sia da dalla poesia francese sia da quella italiana(da Pascoli e
soprattutto da D’Annunzio) ma anche quella dantesca(sotto l’influenza di
Eliot), il libro del 1925 è stato paragonato ad una sorta di “ romanzo di
formazione” attraverso il quale l’autore, a partire dallo smemoramento nella
natura cui segue il disincanto della maturità, perviene alla coscienza morale
quale stoica accettazione della vita su una terra desolata in cui ognuno deve
essere chiamato a compiere il proprio dovere al di sopra e al di fuori di ogni
compenso. Le tappe di questo itinerario poetico, il cui approdo sembra non smentire
l’influenza leopardiana, sono scandite dalle quattro sezioni di <i>Ossi
di seppia </i>che accoglie nella sezione omonima( la seconda) “Spesso il male
di vivere ho incontrato”, lirica in cui domina il motivo dello scarto, dell’ <i>osso di seppia,</i> appunto, gettato dal
mare sulla terra, escluso dalla natura e dalla felicità. La ripetizione
anaforica del titolo al primo verso sembra, infatti, sottolineare questa
condizione il cui concetto, il male di vivere, si materializza nell’opzione per
un verbo, come “ incontrare”, il quale determina una identificazione diretta
dell’oggetto, emblematicamente rappresentato attraverso una presenza reale e
fisicamente tangibile: il <i>rivo strozzato,
la foglia riarsa, il cavallo stramazzato.</i> Il “male di vivere”, essendo
ormai stato posto in crisi il simbolismo, non viene evocato in senso metaforico
e analogico, ma concretamente reso tramite il ricorso al <i>correlativo oggettivo. </i>Si conclude così il primo momento della
poesia , coincidente da un punto di vista metrico con la prima quartina, cui
segue, secondo una struttura binaria, la rappresentazione del “bene”, anch’esso
individuato, nella seconda quartina, in immagini simmetricamente collocate
rispetto a quelle precedenti: la statua, la nuvola, il falco. In opposizione al
male di vivere non vi è per Montale altro bene che l’imperturbabilità( la
statua), la distanza(la nuvola), la chiaroveggenza( forse espressa dal falco
che vola al di sopra della miseria del mondo): la natura di tale bene è,
allora, tutta pessimistica e, comunque, individuabile in un atteggiamento di
stoico distacco, come quello proprio della divinità( “ <i>la divina Indifferenza</i>”) la quale, in senso leopardiano, resta
passiva e insensibile di fronte alle gioie e ai dolori degli uomini. Gli
oggetti sono, dunque, emblemi, moderne allegorie in cui è trascritto in un
linguaggio cifrato, il destino dell’uomo e del poeta il cui malessere
esistenziale è reso a partire dal livello fonico- timbrico in virtù di uno
straordinario gioco di equivalenze sonore e di parallelismi fonici. Le
allitterazioni delle liquide /r/l/( si noti anche la triplice assonanza di
quest’ultima al v.9), spesso unite ad altra consonante, quasi a renderne più
faticosa la pronuncia( per esempio “ rivo” v.2 “cavallo” v.4) oppure precedute
dalle vocali /e/a/( come in “era”- “ incartocciarsi” v.3 , “riarsa” v.4);
quella della /s/ al v. 7 ( “statua…sonnolenza”); l’assonanza ricorrente /e/o/
che accosta parole semanticamente opposte tra loro( come stramazzato-levato);
la reiterazione del suono /f/( “foglia” v.3, “ Indifferenza” v.6, “falco”
v.8)in parole tra cui si instaura un rapporto di progressivo allontanamento a
livello di significato implicito; l’asprezza spigolosa di certi termini (“strozzato”-
“gorgoglia”- “incartocciarsi”) determinano sul piano acustico, un effetto di
tormento affannoso, di lentezza mortale, di ineluttabilità nonché il senso di
una vita arida e scheletrica. Anche la rima, oltre a produrre echi e rimandi
sonori immediatamente fruibili, svolge una funzione espressiva, arricchendo e
potenziando, per analogia o opposizione, le parole “compagne di rima” creando particolari effetti nel caso di rime
interne al testo. Per quanto riguarda l’aspetto metrico occorre precisare che,
anche in questo caso, è possibile cogliere un’evoluzione che, a partire da
un’oscillazione tra le forme aperte e il verso libero, da un lato, e forme
chiuse più consuete, conduca ad un recupero in chiave moderna della tradizione,
evidenziabile in testi poetici come quello in questione. Questo, infatti, risulta costituito da due
strofe o quartine di endecasillabi, con
l’eccezione dell’ultimo verso, che presenta un metro martelliano o doppio
settenario., il primo dei quali è sdrucciolo: tale combinazione, insieme
all’alternanza di endecasillabi<i> a maiore</i>
e <i>a minore</i>, alla presenza della
sinalefe( vv. 1-2-4-6-8) ricorrente ben due volte in fine di strofa, alla
simmetria costruttiva delle sue quartine, determinano un ritmo sostenuto e,
tuttavia, aspro e discorsivo, segno della ricerca di un rigore e di un
equilibrio formale che compensino l’esigenza di un equilibrio interiore, ma il
cui raggiungimento, si rivela, inevitabilmente, precario. Anche a livello
stilistico-retorico la sensazione percepita è di tale natura: concorre a
determinarla un lessico che alterna termini di uso letterario ( come “rivo”,
“incartocciarsi”, ”riarsa”, ”prodigio”) ad altri quotidiani e colloquiali(come
“strozzato”, “cavallo”, “nuvola”); la presenza della paratassi quale struttura
sintattica predominante ed il ricorso frequente all’interpunzione che determina
effetti di rottura da un lato, e alla sinalefe che tenta di ristabilire il
senso di disgregazione e frammentazione del “ male di vivere” dall’altro. La
collocazione, in posizione incipitaria, dell’avverbio “spesso” sottolinea la negatività di un’esperienza che
si suppone reiterata nel tempo, mentre notiamo come le tre immagini di
impedimento sono rese, nella prima strofa, facendo ricorso ad un doppio climax:
dalla difficoltà di esistere( il “rivo”) alla vita sul punto di finire(la
“foglia”) alla morte( il “cavallo”) e dall’esistenza inanimata a quella
vegetale a quella animale. A tali immagini si contrappongono, attraverso
l’antitesi male/bene, quelle della strofa successiva, anch’esse disposte in
modo da determinare un climax, reso da un progressivo innalzamento, in
contrasto con la terrestrità bassa dei tre esempi della prima quartina(la rima“
stramazzato…levato” sottolinea l’antitesi spaziale basso/alto). Alla luce di
quanto detto risulta, dunque, evidente come la poesia di Montale, in particolare
quella degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta si stagli nel variegato panorama
letterario e artistico del tempo, restando ricca di cose, di oggetti, di
particolari minuti nonché condensandosi in immagini emblematiche di carattere
universale o esistenziale.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-33841247329906890292013-10-05T07:47:00.001+02:002013-10-05T08:05:12.770+02:005 Ottobre GIORNATA MONDIALE DELL’INSEGNANTE<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjiWHzAZukDdabv8-CM3rEwjWSWLRBfpO7-hkhinmgznZtroYG5UQC_a0sruq7xjckxAdhJXCnJOFLa158HqhrrrhtgHOBk-lECvE-9859pWnJ17xB4Xu1dEX2zh-07mL7V2DL5hyphenhyphenrIezX/s1600/giornata-insegnante_2013-3.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="184" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjiWHzAZukDdabv8-CM3rEwjWSWLRBfpO7-hkhinmgznZtroYG5UQC_a0sruq7xjckxAdhJXCnJOFLa158HqhrrrhtgHOBk-lECvE-9859pWnJ17xB4Xu1dEX2zh-07mL7V2DL5hyphenhyphenrIezX/s320/giornata-insegnante_2013-3.jpg" width="320" /></a><span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nel 1994 l’UNESCO ha deciso
di istituire la Giornata mondiale dell’Insegnante, celebrata il 5 ottobre in
oltre 100 nazioni, per segnalare a governi ed opinione pubblica la necessità di
valorizzare il ruolo dell’insegnante nel percorso di formazione, educazione e
guida alle nuove generazioni. </span><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">La scuola è ricominciata da
qualche settimana e nulla è cambiato: classi scoperte, nomine ancora da
completare, malattie, permessi studio, permessi di varia natura, fughe difficili
da catalogare e la sensazione di trovarsi nel posto sbagliato al momento
sbagliato che pervade molti insegnanti
quando sono a scuola. Mi piace, allora, sedermi al mio tavolo e riflettere, in
una giornata così speciale, cercando di indagare a fondo su quali dovrebbero
essere le condizioni ottimali per non sentirci sempre più spesso “guardiani” di
un gregge e sempre meno DOCENTI. Questa volta non intendo polemizzare o
attaccare un sistema che fa acqua da tutte le parti, ma semplicemente ricordare
qual è il senso della scuola, quale la sua funzione istituzionale, quali gli
obiettivi da perseguire e quale il valore sociale storicamente attribuitole.
Nella Costituzione italiana all’</span><b style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">articolo
33 </b><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">si legge</span><b style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">: ” </b><i style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">L’arte e la scienza sono libere e libero ne
è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed
istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.…”</i><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> il principio
istitutivo della scuola parte dall’affermazione della libertà
dell’insegnamento, per arrivare a ricordare che è lo Stato che deve istituire
le scuole di ogni ordine e grado per garantire quell’uguaglianza sociale per
cui tanto si è combattuto e per cui tanti hanno sacrificato la propria vita e
fare in modo che per ogni singolo cittadino siano messe in atto tutte le
strategie per il conseguimento dei propri obiettivi e per arrivare, magari, ad
essere realizzato e appagato. Basta questo semplice e chiaro principio per
comprendere la straordinaria importanza della scuola e di coloro che ne fanno
parte in qualità di docenti e di discenti. Piero Calamandrei ,nel discorso
pronunciato al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale
“ Facciamo l’ipotesi” 1950, ha detto:”…</span><i style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Se
si dovesse</i><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> </span><i style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">fare un paragone tra
l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola
corrisponde a quegli organi che nell'organismo hanno la funzione di creare il
sangue[…]. La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a
risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la
formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non
solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in
Parlamento e discute e parla( e magari urla) che è al vertice degli organi più
propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico:
coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che
scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della
democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta
ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel
nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre
rinnovata dall'afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le
classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la
possibilità di liberare verso l’alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno
di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita
che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare lavoro, le sue migliori
qualità personali al progresso della società[…].”</i><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> Un discorso , questo
pronunciato da Calamandrei, di una imbarazzante attualità nonostante la
distanza temporale che ci divide, un discorso ancora più drammatico se
contestualizzato ai nostri giorni, monito ad una scuola che le riforme hanno
privato di ogni valore, di ogni risorsa, addirittura del giusto e meritato
ruolo sociale che da sempre le è stato riconosciuto e che oggi ha lasciato il
posto ad una forma senza sostanza perché, nel tentativo di modernizzare, i
ministri che si sono succeduti hanno perso di vista e ,quindi l’hanno snaturata,
l’essenza profonda della scuola, la sua anima, la sua funzione sociale e di
strumento riqualificante di una società degna di questo nome. Allora non ci
stupisce certo il disfacimento morale della scuola: su di essa aleggia un senso
di sfiducia, di cinismo, di stanchezza che ha fatto perdere di vista principi
semplici come la serietà, la precisione, l’onestà, la puntualità, fare il
proprio dovere, fare lezione. La scuola deve rivendicare nuovamente la sua
funzione di scuola del carattere, di formatrice di coscienze, formatrice di
persone oneste e leali, di persone che “sanno”, consapevoli che non si va
avanti solo con gli appoggi, le raccomandazioni, le tessere del partito o
l’appartenenza ad una parrocchia. E’ la disillusione il male dei nostri giovani
e il male di noi adulti che non crediamo più a nulla, che non siamo più
convinti del ruolo sociale che, a furia di riforme strampalate e portate avanti
da ministri che la scuola non l’hanno frequentata che da studenti( spesso
neppure eccellenti!), ci hanno privato della dignità del nostro lavoro, ci hanno strappato il rispetto dei nostri
alunni e delle loro famiglie. Allora , perdonatemi, ma voglio ribadire che
nonostante uno stipendio indegno per dei professionisti, noi siamo formatori di
coscienze e dobbiamo rieducare i nostri studenti al rispetto per una
istituzione sacra e inviolabile, attraverso la quale passa il riscatto sociale
di ciascuno nonostante le difficoltà, nonostante la corruzione morale e
ideologica che dilaga. La scuola regala gli strumenti per essere realizzati nel
proprio ambito lavorativo, la scuola educa alla legalità e alla consapevolezza
del proprio essere cittadino con dei doveri che non vanno elusi o disattesi, ma
rispettati con impegno e serietà. In occasione della giornata mondiale
dell’insegnante voglio augurare a tutti i colleghi di ritrovare la giusta
direzione, di vincere lo scoramento e la disillusione e di tornare a credere e
a lavorare affinché la scuola si riprenda tutto ciò che mistificatori e
ciarlatani le hanno rubato mentre era impegnata a tenere insieme le parti
scollate di un sistema troppo fragile per opporsi.</span></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-67187721527561771022013-09-20T18:55:00.000+02:002013-09-20T18:55:43.788+02:00Analisi del testo: L' "Infinito" di Giacomo Leopardi<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhR5cG33s3795TaE8jcNTkM-IHTE1mvp-KiUdO6QRfpzDGB4b8okhux7ijpQMbYFyVjnCcF5Sin79YIcClsNm6URBz7vL644Z4Ko4KLSIitf1ExqN87Bz2orqc2da1n8r3WUnHpobwFsSrh/s1600/Leopardi,_Giacomo_(1798-1837)_-_ritr._A_Ferrazzi,_Recanati,_casa_Leopardi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhR5cG33s3795TaE8jcNTkM-IHTE1mvp-KiUdO6QRfpzDGB4b8okhux7ijpQMbYFyVjnCcF5Sin79YIcClsNm6URBz7vL644Z4Ko4KLSIitf1ExqN87Bz2orqc2da1n8r3WUnHpobwFsSrh/s400/Leopardi,_Giacomo_(1798-1837)_-_ritr._A_Ferrazzi,_Recanati,_casa_Leopardi.jpg" width="382" /></a></div>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhB3hEY_l5qerRlMADxjEhWXpqZfica8-AS-kS6J95bAnzvJlD0JLLqhSsKFyUOi3A3pTzBQtN86ICvaEJ623Po1gkHndwFkWYiIGiFBlZ8V1KvdcwYXAGzhpHcsY5RPzsHzuohuHX9Z2jD/s1600/Infinito.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhB3hEY_l5qerRlMADxjEhWXpqZfica8-AS-kS6J95bAnzvJlD0JLLqhSsKFyUOi3A3pTzBQtN86ICvaEJ623Po1gkHndwFkWYiIGiFBlZ8V1KvdcwYXAGzhpHcsY5RPzsHzuohuHX9Z2jD/s400/Infinito.jpg" width="330" /></a><br />
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">L’Idillio, composto
presumibilmente nel 1819, compare sempre all'inizio delle raccolte
leopardiane e rivela un tono meno
soggettivo e autobiografico. Dopo una prima attenta lettura, si noterà che è
possibile dividere il testo in quattro sequenze :vv. 1-3 indicazione, ma senza
elementi descrittivi, di uno spazio concreto ( l’area ristretta delimitata
dalla siepe) e di uno specifico personale( la consuetudine di salire sul colle
e lo stato d’animo che ne deriva); vv 4-8 processo di astrazione e visione
mentale dello spazio; vv 8-13 un semplice </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">stormir</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">
di foglie segna un momento di passaggio dall'immaginazione spaziale a quella
temporale; vv 13-15 il pensiero si smarrisce e lo smarrimento genera piacere.
Il titolo del componimento introduce magistralmente il lettore in una atmosfera
di vago, di incommensurabile, in una dimensione in cui i sentimenti, gli spazi
e il tempo sono dilatati e senza limite alcuno. Tuttavia le nostre aspettative
sembrano, in un primo momento, deluse dai primi tre versi dell’Idillio. Esso, infatti,
si apre con l’avverbio </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">sempre</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> che imprime al periodo un tono di
calda consuetudine, rafforzato dall'uso del passato remoto </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">fu</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">. L’aggettivo </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">caro</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> ci
lascia entrare in un mondo noto, amato e ben definito, mentre </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">ermo</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">,
uno studiato arcaismo per indicare la solitudine del luogo, nobilita il colle
su cui il giovane Leopardi amava concludere le sue passeggiate. Il colle, da
identificare col monte Tabor un’altura assai vicina alla casa dei Leopardi,
diventa il centro dello spazio interno che i primi tre versi vanno
configurando. Ma ciò che circoscrive con determinazione lo spazio del colle è
la siepe: il termine, che sfrutta bene il suo valore denotativo e connotativo,
è messo in rilievo sia dall'accento ritmico che cade proprio sulla prima sillaba
che dalla sua posizione in chiusura di emistichio prima di un’enfatica cesura
rafforzata dalla virgola. E’ la siepe che impedisce allo sguardo del poeta di
andare oltre quello spazio finito in cui si trova a meditare, è la siepe che
rende invisibile </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">tanta parte</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> dell’estremo orizzonte: ancora un latinismo ad
impreziosire il verso con il particolare valore semantico attribuito
all’aggettivo </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">ultimo</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">. La siepe è
l’ostacolo materiale che si frappone tra i due spazi, quello finito e quello
infinito, essa è il limite di ciò che è noto e delimitato e preclude la
possibilità di guardare oltre servendosi dei sensi. Il ritmo di questi primi
tre endecasillabi è scandito dall'enjambement tra i vv. 2-3 e dalle sinalefi
che, insieme, danno al periodo un ritmo lento e pacato. Il rapporto dialettico
che lega il titolo all'esordio del componimento persiste anche tra la prima e
la seconda sequenza di versi. La forte avversativa </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">ma</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">, posta enfaticamente all'inizio del v. 4, scandisce il passaggio
dalla descrizione di uno spazio chiuso e
stretto ad uno spazio dilatato e senza confini. La seconda sequenza è contraddistinta
dalla rappresentazione dell’infinito, cioè di quello spazio che sta oltre la
siepe, di quello spazio che sembra impenetrabile( e lo sarebbe se ci si
limitasse ai sensi), ma che si spalanca vasto e smisurato al pensiero che solo può
superare l’ostacolo-siepe. Uno spazio “infinito” appunto in cui dominano </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">sovrumani/silenzi </i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">(vv.5-6) e una
profondissima quiete(v.6): il v. 6 racchiude i due elementi distintivi dello
spazio infinito posti ad inizio e a fine verso, accompagnati da due aggettivi
pregni di significato. La centralità del verso nelle sequenze è rafforzata dall’enjambement
che lo lega al verso precedente, da una forte cesura che cade dopo il primo
termine, isolandolo, e che coincide con la virgola e dalla dieresi che rende il
termine </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">quiete</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> trisillabo. I quattro
versi della seconda sequenza sono tutti legati dall’enjambement che non solo
rallenta il ritmo dei versi, ma concorre a dare il giusto rilievo a termini
come </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">spazi </i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">(v.4), </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">silenzi</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">(v.6), </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">quiete </i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">(v.6) e ad aggettivi come interminati (v.4) e sovrumani(v.5).
Fra l’immensità e la ristrettezza dello spazio interno sembra che non ci sia la
possibilità di contatto e di continuità, ma lo sguardo che è costretto ad
arrendersi davanti ad un muro imperscrutabile trova il suo prolungamento nel
pensiero che può vagare ed immaginare prescindendo dalle percezioni visive. La
dicotomia tra spazio interno ed esterno è superata dal pensiero che può
elevarsi e superare il limite, ma in questo sforzo il poeta si sente pervaso da
un moto di paura. La </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">voce </i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">del vento
che fa muovere le foglie paragonata all’</span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">
infinito silenzio</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> dello spazio esterno apre la riflessione sul tempo: la
stridente contraddizione suscita il sentimento del tempo esterno, che coincide
con l’eterno, con il passato e con la morte
e del tempo interno tutto rappresentato dalla vita. L’alternanza
finito-infinito, interno-esterno è sintetizzata anche dall’assonanza che lega
sia </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">voce</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">(v.9) e </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">morte</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> (v.12) che </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">vento</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">(v.8)
ed </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">eterno</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> (v.10). Il passaggio dal
tema dello spazio a quello del tempo è bruscamente scandito dalla cesura, che
coincide con i due punti, al v.10: anche questa terza sequenza è marcata dall’enjambement
che lega tutti i versi, dalla sinalefe e dagli iati che non solo conferiscono
una particolare ricchezza al metro, ma contribuiscono a creare un’atmosfera di
pacata e distesa riflessione. La sensazione lascia il posto al ricordo e crea i
presupposti per un nuovo sentire: l’infinito che il pensiero va scrutando si
identifica, nella dimensione temporale, con l’eterno e con il passato così
diversi dalla caducità e dalla fragilità del tempo concesso alla breve vita
dell’uomo. L’ultima sequenza è tutta percorsa da una dolcezza e da un abbandono
ineluttabili cui si arrende il pensiero dopo questo vagare, un abbandono
impreziosito dall'uso connotativo del significante </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">naufragare.</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> L’apertura dell’idillio così intima e conosciuta è ripresa,
nel finale, del dolce abbandono all'infinito e il componimento risulta
imperlato da una struttura ad anello. Le parole-chiave dell’idillio sono </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">silenzio</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> (termine che compare ben due
volte nel componimento al v.6 e al v.10)e </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">quiete</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">
al v.6: la loro funzione sta tutta nella definizione dell’infinito. Essi,
infatti, non appartengono alla sfera umana e tanto connotano l’infinito in
quanto nell'immaginario rimandano ad un contesto di morte. Due termini cari a
Leopardi e sempre usati per il loro pregnante valore evocativo. Il polisindeto,
l’uso ben articolato degli aggettivi questo e quello, visualizzano la
dialettica che sottende al testo ed esprimono l’ondeggiare tra realtà ed immensità
che termina con il dolce naufragio dell’anima che chiude magistralmente un
componimento emozionante in ogni verso: la dolcezza dell’abbandono è messa in
rilievo dalla predominanza di vocali aperte, dall'allitterazione e dalla scelta
dell’aggettivo </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">dolce</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> che , quasi
lascivo e molle, sottolinea il profondo bisogno di un momento di pace dopo aver
vissuto un’esperienza così emozionante.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<br /></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-67844399972508430242013-08-21T19:58:00.000+02:002013-08-21T20:35:14.205+02:00MORIRE DI “ DIVERSITA’'.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgS2UWYy6dnaPJskGv0rKx6IxVRM7t9H36rTjGCjMyx3xsbNRbO8LvN-Qjmzww6xbfDHcaYTd5ZWd9x_TLWfC3iU0k6sNFPVzIRPFRNHMcXgY7aiApKNCmnTE7-oS5wLMN-eQ8lLe6Qs-9-/s1600/Ragazzo+si+uccide.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="208" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgS2UWYy6dnaPJskGv0rKx6IxVRM7t9H36rTjGCjMyx3xsbNRbO8LvN-Qjmzww6xbfDHcaYTd5ZWd9x_TLWfC3iU0k6sNFPVzIRPFRNHMcXgY7aiApKNCmnTE7-oS5wLMN-eQ8lLe6Qs-9-/s320/Ragazzo+si+uccide.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: small;"><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">"<i> <b>Sono omosessuale, nessuno capisce il mio dramma e non so come farlo accettare alla mia famiglia</b></i></span><span style="font-family: inherit;">": sono le parole disperate che un giovane quattordicenne ha scritto prima di lanciarsi nel vuoto per porre fine ad un dolore che non riusciva più a sopportare, spaventato dalla sua diversità, soffocato dall'angoscia</span><span style="font-family: inherit;"> e dalla paura
del giudizio di una società fintamente bacchettona e moralista. Si muore ancora
per essere diversi…ma da chi? Quando si parla di omosessualità mi riaffiora il
ricordo del mio migliore amico, Daniele, che dopo un percorso faticoso,
sofferto e costellato di insidie mi chiamò per dirmi che doveva vedermi per
confessarmi una cosa che mi avrebbe lasciato senza parole( cosa assai
difficile!): era gay !!!!!! La mia reazione è stata di sorpresa in quanto io lo
sapevo da un pezzo, ma poi gli ho chiesto in che modo questa sua consapevolezza
avrebbe cambiato il nostro splendido rapporto. A distanza di quasi 25 anni so
che non è cambiato nulla, che abbiamo camminato insieme condividendo momenti
belli, difficili, assurdi amandoci teneramente come due esseri umani possono
fare.Gli omosessuali hanno due occhi, due orecchie, due gambe, due braccia,
bevono, mangiano, dormono e amano: perdonatemi, ma non riesco a capire in cosa
siano diversi!!! Amiamo le persone e basta e credo davvero che nessuno di noi
si ponga il problema di che tipo di rapporti sessuali abbia un amico o
un’amica: in camera da letto, tra due persone che si amano e che sono
consenzienti, può essere legittimo tutto, pertanto perché ci soffermiamo in
maniera morbosa sul fatto che due uomini o due donne possano amarsi? Persino il
Papa, sconcertando e lasciando basiti i suoi interlocutori, ha detto
chiaramente:” Chi sono io per giudicare un omosessuale?” e noi chi siamo? Diversi
sono gli uomini che picchiano e violentano le donne o i bambini, diversi sono
gli assassini, i truffatori, coloro che offendono la dignità e i sentimenti dei
loro simili, non gli omosessuali che di diverso, lasciatemelo dire, hanno il
dolore che questa società meschina e ottusa gli provoca. Mi rattrista che
questo tempo si lasci fagocitare da mille, inutili preoccupazioni e poi lasci
morire suicida un adolescente schiacciato dalla paura di non essere accettato
da una società sessista e macha oltre ogni limite. Oggi mi è capitato di
leggere che in Germania propongono di non assegnare un sesso ai neonati, ma di
indicare con una X l’attribuzione di un genere maschile o femminile, in attesa
che il bambino abbia le idee chiare su ciò che vuole essere. Forse a ciascun
essere umano dovrebbe essere garantita la libertà di scegliere e di seguire il
proprio cuore senza dare un peso così rilevante alla categoria sessuale, in
quanto ognuno vive la propria sessualità, che sia etero o omosessuale, nel
chiuso della propria stanza, ma ciascuno deve essere garantito e tutelato nella
libertà dei propri sentimenti. Provo un profondo senso di frustrazione pensando
alla solitudine di questo giovinetto, spaventato e intimorito dalla cattiveria
di un mondo che ancora non ha compreso una verità essenziale: siamo persone e
nulla più e ognuno ha il diritto e il dovere di essere felice e di vivere
secondo le proprie inclinazioni. Persino un mio alunno, qualche anno fa, sentì il
bisogno di rivelarmi questo segreto: a lui riuscii solo a dare un caldo
abbraccio, consapevole del percorso dolorosissimo che aveva dovuto compiere per
giungere a quella consapevolezza, lui così bello, intelligente e speciale. Potrei fare bella mostra di omosessuali famosi o riferirmi alla storia antica, quando essere omosessuali era "normale", ma questa disquisizione potrebbe indurre a pensare che servono esempi unici e rilevanti per " normalizzare" ciò che è già normale. Mi piacerebbe
una società in cui non fosse richiesto di esprimere la propria categoria
sessuale, in quanto questo dato mi sembra irrilevante e superficiale, ma una
società che assicuri a ciascuno di vivere la propria vita affettiva e sessuale
in pienezza e con la riservatezza che è diritto di tutti. Non facciamo crescere
i nostri figli con i paraocchi, ma insegniamo il rispetto per tutti gli esseri
viventi, non demonizziamo gli omosessuali, non confondiamo omosessualità e
pedofilia , mettiamo ordine semplificando i nostri rapporti con le persone che
ci stanno intorno e che non possono morire di indifferenza o di “ diversità”.
Gli omosessuali non sono più sensibili, più simpatici o più attenti alle
persone, sono uguali agli altri e possono essere pure insensibili, strafottenti
e idioti, proprio come tutti gli altri esseri umani. Non permettiamo a nessun
giovane adolescente di vivere la propria sessualità come un macigno che
potrebbe essere troppo pesante da portare da solo: educhiamo alla vita in
tutte le sue forme e nella sua grandiosa diversità.</span></span></span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-6401589398520913892013-07-24T18:41:00.000+02:002013-07-24T18:41:03.239+02:00E-BOOK: LA SCUOLA PUO' ATTENDERE<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJF94RepvItcxEoobQ92Om1ZQytzlbR59bci2mbHFnDtARj-Qq-4FvcNVArUZYtlczbEqm5vJpX8DIIWR54zn73WgTwMhcxzuK_9l2UbWwaGFoA_IcFprsHNN5Ombugk6i9pNFik5KoQS4/s1600/a_scuola_col_tablet_digitale-570x300.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="210" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJF94RepvItcxEoobQ92Om1ZQytzlbR59bci2mbHFnDtARj-Qq-4FvcNVArUZYtlczbEqm5vJpX8DIIWR54zn73WgTwMhcxzuK_9l2UbWwaGFoA_IcFprsHNN5Ombugk6i9pNFik5KoQS4/s400/a_scuola_col_tablet_digitale-570x300.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">La decisione del Ministro
dell’Istruzione Anna Maria Carrozza in merito alla necessità di differire di
almeno un anno l’obbligatorietà dei libri digitali nelle scuole ha lasciato
soddisfatti gli editori, meno l’opinione pubblica in generale. Le motivazioni
di tale scelta, riferisce il ministro, poggiano sulla considerazione che serve
più tempo per organizzarsi e per valutare le ricadute sulla salute dei giovani
utenti esposti ad un uso prolungato di strumenti tecnologici, oltre che denaro
per dotare le scuole e le case di banda larga e WI-FI. In realtà, su tutte,
sembrano prevalere le ragioni degli interessi economici degli editori che
nell'immediato dovrebbero mandare al macero moltissimi libri già stampati e,
soprattutto, vedrebbero notevolmente ridotti i loro profitti! La scuola italiana deve, purtroppo, fare i conti con
l’accusa di recepire troppo lentamente i segnali di cambiamento e di non essere tempestiva nel realizzare l’ammodernamento richiesto a livello mondiale, deve essere più competitiva e
fornire ai propri utenti strumenti più efficaci e al passo con i tempi, che
rispondano in maniera mirata alle richieste di una società globalizzata e
tecnologica e sembra che l’introduzione dell’e-book risponda a tutti questi
diktat. La nostra scuola così criticata, vilipesa, accusata di anacronismo,
di immobilità culturale eppure così poco considerata dai diversi governi di destra e di sinistra che si
alternano e che sistematicamente scelgono di non investire in
uno dei nodi essenziali, se non vitali, di una società che si rispetti, ora
sembra arrivata ad un bivio di fondamentale importanza: rendere obbligatorio
l’e-book pare proprio che possa rivoluzionare la scuola italiana, una panacea a
tutti i mali accumulati nel corso dei decenni!!! Francamente sorrido di fronte
a tante parole spese tra coloro che sono a favore e coloro che, per difendere i
propri interessi, oppongono motivazioni discutibili e poco credibili. </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhintJTgpVuBqNvfT-lGTOMu9gXh-tuCP64hCm9essn8wPSs2zlhOu1eLB1EwRvGmBQ5wy1xcReA4C2m8U8rNh62C4RDA5oIsfAXaQw_A3ILr8eL9JPl38ug95t3S-R01fV610pP6d1-ysl/s1600/ebook.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhintJTgpVuBqNvfT-lGTOMu9gXh-tuCP64hCm9essn8wPSs2zlhOu1eLB1EwRvGmBQ5wy1xcReA4C2m8U8rNh62C4RDA5oIsfAXaQw_A3ILr8eL9JPl38ug95t3S-R01fV610pP6d1-ysl/s1600/ebook.jpg" /></a></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">Da
insegnante, neppure troppo avanti con gli anni, dico che non potrei rinunciare
al piacere fisico dello studio, fatto dell’odore della carta, della matita che
sottolinea e ferma immagini, pensieri, che riassume, commenta e lascia una
traccia indelebile dell’incontro con il libro! Non nego certamente il valore e
l’importanza della tecnologia, ma il nuovo deve convivere con la tradizione e
con un modo di studiare che si è rivelato efficace e valido sempre e ovunque. I
nostri laureati esprimono, in moltissimi casi, eccellenze e competenze
qualificatissime, i nostri cervelli scappano all'estero per completare gli
studi e cercare un lavoro che il nostro paese, non la nostra scuola, gli nega!
Dobbiamo rivedere i programmi, forse persino il modo di insegnare, ma non mi
pare che la scuola abbia questa priorità in questo momento!!!! Parliamo di
e-book e in alcune scuole manca la connessione, parliamo di tecnologia avanzata
e le strutture di alcune , la maggior parte delle scuole, sono fatiscenti, per
usare un eufemismo! La riqualificazione della scuola passa prima di tutto dalla
creazione di ambienti accoglienti, puliti e sicuri, poi dal sacrosanto e giusto riconoscimento del ruolo sociale
e professionale dei docenti corrispondendo loro uno stipendio europeo (
perché essere moderni significherà pure adeguare gli stipendi oltre che
introdurre gli e-book!), infine dagli investimenti che il nostro paese,
che non riesce a tagliare le spese della farraginosa macchina statale ma nega
fondi alla scuola trasversalmente, non sembra intenzionato a fare!!!! Mi piace
l’idea di far risparmiare denaro alle famiglie sempre più in difficoltà, ma non
credo davvero sia questa la soluzione per ovviare ai troppi problemi della
scuola. Peccato che per cose del genere si accendano polemiche esagerate,
appassionate e mentre la scuola viene privata della dignità e dei mezzi minimi
di sussistenza nessuno si lanci in battaglie in difesa e a tutela di un
istituzione che rimane, per me e molti insegnanti, SACRA!!!!!!!!! Lavoriamo per
una scuola al passo con i tempi, diamo alla tecnologia il giusto valore e il
meritato posto nella vita di docenti e studenti, ma non perdiamo di vista, mai,
che la scuola è fatta di contenuti, di conoscenze e di competenze che insieme istruiscono gli studenti e che sono assolutamente complementari e tessere
imperdibili di un puzzle complesso da ultimare: la formazione dei nostri giovani!</span></span></span></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-8344120946604403522013-07-11T20:29:00.000+02:002013-07-12T09:34:36.667+02:00FERMIAMO QUESTA STRAGE<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6kklPHZjjQdswlY2P8hAfXH68eWuoxiBxXrwtooXsQ8hnEZZviq1vmzldO0228shvYl2yola17wOL5MjFAEds9IIVfPDGHkKXynXBHLGYtgoHGLAmUlRwIFi0zySPtxjqfEZad-MvJkaU/s1600/giovane-donna-uccisa-dal-marito-reoconfesso-L-iGuDpx.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6kklPHZjjQdswlY2P8hAfXH68eWuoxiBxXrwtooXsQ8hnEZZviq1vmzldO0228shvYl2yola17wOL5MjFAEds9IIVfPDGHkKXynXBHLGYtgoHGLAmUlRwIFi0zySPtxjqfEZad-MvJkaU/s320/giovane-donna-uccisa-dal-marito-reoconfesso-L-iGuDpx.jpeg" width="320" /></a></div>
<span style="background: white; color: #222222; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Un bambino di due anni seduto in lacrime su un divano e una giovane
mamma dilaniata dalle coltellate inflitte sul petto, riversa sul pavimento
della cucina: questa la scena agghiacciante che si è presentata sotto gli occhi
di un nonno, costretto a prendere atto dell’ennesimo delitto annunciato. Sono due le riflessioni da fare davanti all'ennesimo
efferato episodio di violenza sulle donne: la giovane aveva lasciato il
compagno violento tornando a casa dei suoi genitori, lo aveva più volte
denunciato per le percosse e le minacce, ma nulla e nessuno ha potuto impedire la sua morte. Mi chiedo allora qual è il senso e l’utilità dell'introduzione del reato di stalking se questi maledetti uomini denunciati e segnalati riescono a
portare a compimento i loro insani propositi? Siamo davvero in balia dell'ossessione di uomini sbagliati, malati, instabili o semplicemente non - uomini che, rifiutati, ci uccidono? Ancora una donna uccisa da un sistema che non l’ha
difesa, che non l’ha tutelata eppure una donna che non ha avuto paura, che ha
denunciato, che ha messo al sicuro il suo bambino e se stessa, ma non l’abbiamo
salvata. Purtroppo accanto a questa tragedia si è consumata un’altra tragedia,
quella dell’infanzia rubata a questo piccolo esserino indifeso i cui occhi hanno
incontrato il Male, quello che non ti aspetti, quello che ti marchia a fuoco la
pelle e che non puoi più dimenticare. Lui stesso vittima della violenza assurda
di un padre contro la madre di suo figlio, di un uomo che doveva amarlo,
proteggerlo, insegnargli ad amare e rispettare le donne, che doveva educarlo e
farlo diventare un Uomo, un bambino vittima
di un mostro che non si è fermato neppure di fronte alla sua innocenza. Che
cosa avranno registrato quegli occhi innocenti? Che ferita ha squarciato il
cuore di questo piccolo? Tremo al pensiero del mostro che si insinuerà nel cuore
di questo angelo e di tutti i mostri che dovrà combattere per vivere una vita
serena e senza risentimento. La famiglia violata, la casa violata, la purezza
degli affetti violata: il posto che dovrebbe essere il più sicuro per
antonomasia, diventa , invece, una fabbrica di orrore e morte. Mi viene in
mente l’idea che Pascoli aveva della famiglia come luogo di amore, calore,
protezione e sicurezza rispetto ad un mondo crudele, dominato dalla violenza e
dalla sopraffazione. Oggi tutto è cambiato e i nemici li teniamo, spesso, con noi, li alimentiamo con il nostro amore
e con la nostra incapacità di riconoscerli prima che sia troppo tardi.
Certo riconoscerli…ma come? Come si può capire che in un uomo apparentemente
amorevole, premuroso, innamorato si celi un mostro pronto ad uccidere se non
ricambiato come pretende o come si aspetta? L’amore ha in sé un’essenza di
abbandono, fiducia, rispetto senza cui non potrebbe esistere: come possiamo
affrontare una relazione costruendoci barriere, vivendo nel terrore di diventare
oggetto di ossessione per qualcuno o di rendere i nostri figli protagonisti
involontari di violenza e dolore. </span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="background: white; color: #222222; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaTboro_OjJFU7I-USYhCfefRn3M-IO1aP3yvdIZ9l-qJy6eL0mnqyZKsomuc8q6foSns2LFY4cBwYTw_9_1mPrdkSIqOJzMSEDLqQN_DDmcxgAGE_AUBo9HG4u2BYTHM2LeRk4VXwnVyp/s1600/bambino+solo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaTboro_OjJFU7I-USYhCfefRn3M-IO1aP3yvdIZ9l-qJy6eL0mnqyZKsomuc8q6foSns2LFY4cBwYTw_9_1mPrdkSIqOJzMSEDLqQN_DDmcxgAGE_AUBo9HG4u2BYTHM2LeRk4VXwnVyp/s1600/bambino+solo.jpg" /></a></span></div>
<span style="background: white; color: #222222; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Penso
alla solitudine di questo bambino, al senso di vuoto con cui dovrà fare i conti,
ai perché cui dovrà dare risposte, al senso di frustrazione che dovrà imparare
a gestire, al senso di solitudine profonda e irrimediabile con cui dovrà
imparare a convivere. Nel profondo, tuttavia, voglio sperare che questa società
che non ha saputo proteggere la sua mamma tanto coraggiosa e forte, sappia offrire
a questo bambino tutto l’aiuto possibile perché lui possa metabolizzare questa
tragedia, perché non cresca nell'odio e nel desiderio di vendetta, perché si
spezzi questa maledetta catena di male per male, perché lui abbia la
possibilità di scegliere senza sentirsi segnato da un destino già scritto e che
non si può cambiare. Mi piace credere che questo bambino sia messo in
condizione di superare il dolore, il male, di comprendere che spesso non ci
sono risposte esaurienti a tutto ciò che la vita ci pone innanzi, ma che c’è
sempre la possibilità di prendere in mano il proprio destino e volgerlo al
meglio. Questo bambino dovrà “perdonare” e non in senso cristiano, ma dovrà
perdonare nel senso di accettare e lasciar andare i fantasmi che lo
tormenteranno e non gli daranno pace. Spero che qualcuno ricorderà a questo
bambino, una volta adulto che, come scrive M. Gramellini: “ I <i>se</i> sono il marchio dei falliti! Nella
vita si diventa grandi <i>nonostante</i>”. Buona
vita piccolo!!!!!<o:p></o:p></span></div>
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-70262553990427720282013-07-05T19:19:00.000+02:002013-07-05T20:26:54.493+02:00ESSERE INSEGNANTI OGGI<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfM1n-cZXVXikBUAZaEXgKuGDlIOPeHI8hLXARwqrQUVMnlOmFP2BokA_84vPdcReuxVUJYz7PVTSUknD1Be13m7_au4po8T19GAbr06QJW1Rvt_nS-f3Ps6ATrUx57fZSAoD6F5_dor_J/s1600/download.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="153" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfM1n-cZXVXikBUAZaEXgKuGDlIOPeHI8hLXARwqrQUVMnlOmFP2BokA_84vPdcReuxVUJYz7PVTSUknD1Be13m7_au4po8T19GAbr06QJW1Rvt_nS-f3Ps6ATrUx57fZSAoD6F5_dor_J/s320/download.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="line-height: 115%;">La mia riflessione nasce
dall'urgenza di ridefinire e rinfrescare a certi colleghi quali sono i compiti
precipui della scuola e quale è la grande responsabilità che ci assumiamo ogni
volta che entriamo in classe. Una parola importante e un diktat per la scuola è
<b>orientamento</b>, che sintetizza, a mio
avviso, tutto ciò che il lavoro di un insegnante deve mirare a raggiungere al
di là delle singole discipline. Il termine “orientamento” deriva dal latino <i>oriens, orientis,</i> participio presente
del verbo <i>oriri </i>(“nascere”), che
grazie al suffisso, esprime una decisa valenza strumentale: l’orientamento,
dunque, è lo strumento per la nascita, aggiungerei, di sé. Tra gli
obiettivi dell’orientamento scolastico va infatti riconosciuto, oltre alla
volontà di agevolare i processi di scelta dell’alunno, il dovere di affiancarlo
nella costruzione di un’immagine positiva di sé e nei primi passi di apertura
verso il futuro. In una società in cui le parole d’ordine sono innovazione,
flessibilità, adattabilità e riconversione, la scuola deve porsi come punto di
riferimento stabile e costante, nonché assumersi la responsabilità di
trasferire agli alunni progettualità ed autonomia decisionale come veri e
propri stili di vita. Il compito orientativo della scuola si deve esplicare
attraverso interventi, diversi per la loro specificità, che postulino un
disegno unitario fondato sul criterio di continuità. L’orientamento deve esser
un processo <i>in fieri</i>, caratterizzato
da azioni coordinate e continuative che inizino dalla prima infanzia,
individuino bisogni e aspettative ed indirizzino i processi verso una migliore
qualità della vita, nella prospettiva finale di una crescita individuale ma
anche, di riflesso, collettiva. Soltanto un processo orientativo così delineato
potrà assicurare il diritto allo studio, cioè l’opportunità per ciascuno di
raggiungere la propria maturazione, e sarà dunque allo stesso tempo un
risolutivo strumento d’intervento contro la dispersione scolastica. Occorre,
insomma, che la scuola continui a fornire i contenuti, essenziali per dare qualità
e spessore agli studenti, ma nello stesso tempo tenga conto delle singole
individualità. Ciascun docente ha il sacrosanto dovere di privilegiare la
diversità e di mirare a rendere l’alunno consapevole dei suoi mezzi e
promuovere la persona, privilegiando un insegnamento “strategico” e
individualizzato nel rispetto della diversità del singolo. Il nostro obiettivo
come insegnanti deve essere quello condurre gli alunni ad acquisire conoscenze
concrete e spendibili ai fini di una scelta più consapevole e meno episodica ed
emozionale. Perché insisto su questo tema? Perché “ fare orientamento” ci
costringe a partire direttamente dal vissuto dei nostri studenti, a conoscere le loro capacità, ad aiutarli ad
avere stima di sé, a percorrere con loro una strada che li renda consapevoli
delle proprie potenzialità, dei propri limiti, a guidarli a vivere la diversità
come un valore che arricchisce gli strumenti di cui dispone un docente e avvia
nuove e più efficaci strategie didattiche. In una scuola che sta cambiando, che
punta ad una scolarizzazione di massa nell'apparente tentativo di elevare il
livello cultu<span style="font-family: inherit;"><b>r</b></span>ale dei nostri giovani, non è più possibile insegnare guardando a
standard predefiniti e impersonali, ma è diventato prioritario studiare
strategie mirate, nel tentativo di stimolare e sfruttare le qualità, le
attitudini e le disposizioni degli alunni. </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="line-height: 115%;"><br /></span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirgXg_uxgvMXh8-Mc55s1R4cAHC5eh0iAB2cOzR2GTbeuXpDiS7uoWNkVTBDB4KUoEjD75IL8lhge8ADLQkKsPBEL6BFjxuL1JkgrD6KIQQd4EYPLrGMi9fTxaiB9HtkOBjfFpjAqkvvW1/s1600/2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="108" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirgXg_uxgvMXh8-Mc55s1R4cAHC5eh0iAB2cOzR2GTbeuXpDiS7uoWNkVTBDB4KUoEjD75IL8lhge8ADLQkKsPBEL6BFjxuL1JkgrD6KIQQd4EYPLrGMi9fTxaiB9HtkOBjfFpjAqkvvW1/s200/2.jpg" width="200" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="line-height: 115%;">Non è più pensabile il docente che
entra, si siede, spiega la sua lezione e assegna i voti non ponendosi il
problema delle difficoltà degli alunni o, semplicemente, dei diversi tempi di
apprendimento. Attenzione, però, a non lasciarci indurre in errore: la scuola
non può e non deve essere privata dei contenuti che restano fondamentali per
conservare e mantenere vivo tutto il nostro vastissimo patrimonio culturale del
quale i giovani devono avere coscienza e consapevolezza, ma non può non
adeguarsi ad una società che cambia e che le affida compiti sempre più
disattesi dalle famiglie. Che ci piaccia
o no il ruolo dell’insegnate richiede un apertura al “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Counseling" target="_blank"><span style="color: black;">counseling</span></a>” e alla
consapevolezza che per aiutare i nostri studenti non dobbiamo fornire loro
soluzioni pronte e preconfezionate, ma aiutarli a comprendere la situazione in
cui si trovano, a riconoscere le difficoltà e a gestire strategie di azione per
superare gli ostacoli. Orientare, per me, significa insegnare ai giovani a
vivere mettendosi continuamente in discussione, riconoscere punti di forza e di
debolezza, sfruttando i primi e lavorando sui secondi per raggiungere una buona
qualità di vita. Tutto il mio discorso ( alcuni storceranno il naso!) non punta
a fare della scuola una succursale di Caritas o un centro di ascolto, ma ha
come obiettivo la riflessione che il nostro lavoro non si può limitare alla
trasmissione di contenuti senza passione e senza coinvolgere e lasciarsi
coinvolgere dai ragazzi. Quella con i ragazzi è una relazione che, talvolta,
dura anni e che implica un coinvolgimento emotivo e umano forte e difficile.
Storicamente all'insegnante è sempre stato affidato il compito di educare,
rendere consapevoli, trasmettere valori e contenuti e fornire esempi di vita ai
giovani che gli vengono affidati: oggi più che mai davanti ad una società che
non è attenta ai giovani, alle loro richieste, alle loro fragilità la scuola
deve, nei limiti degli strumenti di cui dispone ma forte delle competenze e delle
risorse umane e professionali dei docenti, diventare un punto di forza della
nostra società e un riferimento sicuro per gli studenti. Credo che sia questa
l’unica strada che abbiamo come docenti per riprenderci il posto che ci spetta
e che meritiamo nella società: essere professionali, tenere il passo con una
società che cambia e non avere paura di lasciarci coinvolgere dai ragazzi, non
mordono, studiano poco ma sanno essere riconoscenti e dare affetto in modo
inatteso…è la parte più bella di questo lavoro!!</span></span></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-8910848702251300502013-07-02T19:58:00.000+02:002013-07-02T22:18:08.105+02:00“ SOLO I COLTI AMANO IMPARARE, GLI IGNORANTI PREFERISCONO INSEGNARE”<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzW63xO17jpqauIKMPq0oMdJxJzmdBeVcNCYi0LbeSO405j3BskqkLWEOC__izLlPNjl-qu608mVNbR6JNlOjDtGGVPbK63Pr3q9JQsGgKjYOBSBLH9Jn3vtjxPg2G7wNdoh74RucJ6z_6/s244/download+(1).jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="254" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzW63xO17jpqauIKMPq0oMdJxJzmdBeVcNCYi0LbeSO405j3BskqkLWEOC__izLlPNjl-qu608mVNbR6JNlOjDtGGVPbK63Pr3q9JQsGgKjYOBSBLH9Jn3vtjxPg2G7wNdoh74RucJ6z_6/s320/download+(1).jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">Una frase lasciata su uno
stato di facebook per esprimere il disappunto per un esame che non è stato
soddisfacente, una frase lapidaria riferita ad un insegnante che, forse, non ha
fatto bene il suo lavoro eppure, per me, questa frase astiosa rappresenta il
dolore per l’ennesimo fallimento di una istituzione sacra e preziosa quale è la
scuola. Ora sarebbe facile rimbrottare la studentessa, chiederle di riflettere
e di cercare le cause di quanto le è capitato, la sua percezione dell’insegnante è stata, a dir poco negativa, e questa massima tanto vera per
ciascun docente che ami e rispetti questo lavoro, diventa amaro sfogo e monito
a recuperare la dignità di adulti e di docenti. Questa scuola che va alla
deriva, questi insegnanti vilipesi, sottopagati, sviliti nel ruolo che da
sempre gli ha richiesto la cura e la crescita delle nuove generazioni, che non
sono più in grado di comprendere che di fronte ad una scuola che cambia, in
meglio o in peggio non importa, bisogna tenere il passo. Che cosa abbiamo
perso? Fanno male solo a me le parole di una giovane ferita, amareggiata e
delusa non dalla sua prestazione , ma dall'atteggiamento ottuso, meschino e
scorretto di un insegnante che in questi anni doveva lasciarle qualcosa di
importante da spendere proprio in un momento delicato come l’esame di Stato?
Tutti noi insegnanti sappiamo bene quanto sia difficile lavorare con questi
ragazzi sempre più soli, sempre più fragili, sempre più demotivati, sappiamo
quanta poca complicità ci sia tra noi e le famiglie che ci percepiscono come
nemici da combattere e da cui proteggere i propri figli, ma siamo davvero
sicuri di non aver perso la dignità del nostro ruolo, la consapevolezza del
valore sociale, civile e umano del nostro lavoro? Lo stipendio non è
gratificante, ci manca la tutela, il riconoscimento sociale, la forza per
combattere un sistema che ci fagocita e ci spinge a diventare burocrati senza che
possiamo ribellarci, ma in tutto questo, purtroppo, si fa largo l’indifferenza
e la demotivazione di certi colleghi che non sono in grado di costruire una
relazione formativa efficace con gli studenti, fatta di complicità, di serietà,
di ore impiegate a spiegare, a raccontare attraverso le proprie conoscenze come
si diventa uomini e donne, fatta di empatia, di rapporti personali che si
devono cementare per rendere accogliente
l’ambiente formativo. Mi spiace che una giovane studentessa esca dalla scuola
con tanta amarezza nel cuore e tanta rabbia, lei è l’ennesimo fallimento di un
sistema che da una parte lotta per esistere all'interno di uno Stato che sembra
puntare al livellamento culturale e favorisce l’appiattimento, dall'altra deve, invece, grazie ai propri valori e alle proprie consapevolezze rivendicare la
propria funzione educativa, recuperando la giusta relazione con i ragazzi e,
magari, con se stesso!!! Anche io ricordo una insegnante che non riusciva
proprio a comprendere il caratteraccio di una studentessa curiosa, in cerca di
un importante riscatto sociale, piena di voglia di imparare ma difficile da
guidare: sento ancora le sue parole dure, umilianti e gratuitamente cattive
rispetto ad una manifesta intenzione di fare l’insegnante da grande……Ripenso
ancora a quell'insegnante che, attraverso la sua chiusura e l’incapacità di
comprendere una giovane studentessa certo intemperante, irruenta, rompi
scatole, ha insegnato a quella giovane
oramai donna che cosa non si deve fare mai con i propri studenti! Lei mi ha reso
attenta ai bisogni dei ragazzi, mi ha insegnato che sono io l’adulto e che devo
andare io incontro a loro e che devo essere io ad infrangere la loro diffidenza
e a guadagnare il loro rispetto. Porto
nel cuore ancora quella delusione, quella umiliazione, ma so che da quel dolore
è cresciuta l’insegnante che oggi ama questo lavoro per l’opportunità che le
offre di stare a contatto con i ragazzi, di scambiare con loro sapere, vita,
complicità e comprensione. Solo se riusciamo a costruire con questi giovani un
rapporto proficuo fatto di rispetto e complicità, riusciremo a riprenderci ciò
che la società odierna ci toglie ogni giorno: il ruolo fondamentale nella vita
dei giovani che con noi devono imparare a conoscere, che con noi devono fare un
percorso di crescita che li renda autonomi e pronti a costruire se stessi e la
propria identità sociale e civile. Mi spiace per quei giovani che incontrano
insegnanti non degni di questo nome ( di cui, purtroppo, la scuola è piena!!!)
e dimentichi della responsabilità che hanno, ma so che anche dalle brutte
esperienze si può partire per crescere ed essere migliore di chi non ha
mantenuto fede all'impegno preso con i suoi studenti e, forse, con se stesso!!</span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
</div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-34814074634180220222013-06-27T19:20:00.000+02:002013-06-28T11:05:50.190+02:00Analisi del testo: LA CRISI DI UN'ANIMA NOBILE E IL RAPPORTO CON IL POTERE "ADELCHI"<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><i><b>ADELCHI</b></i> ATTO V SCENA OTTAVA vv. 338-364<o:p></o:p></span></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqNMAbCGaxAwKcyol2Yh53S4jwYYydQXrudzVx9BPff5eYQeRyuBhTSU1MYJdNupZhI-D-9yR3PK7agoTNyMolZ0hS8nFlqmuEH0mODbt8D4nSg2Z_35Jsgm6HoNFKpKK-JojbejNuPkoJ/s259/ADELCHI.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="238" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqNMAbCGaxAwKcyol2Yh53S4jwYYydQXrudzVx9BPff5eYQeRyuBhTSU1MYJdNupZhI-D-9yR3PK7agoTNyMolZ0hS8nFlqmuEH0mODbt8D4nSg2Z_35Jsgm6HoNFKpKK-JojbejNuPkoJ/s320/ADELCHI.jpg" width="320" /></a><b style="text-align: center;"><span style="font-size: 12pt; line-height: 18px;">Adelchi </span></b><i><span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">Cessa i lamenti, /cessa, o padre, per Dio! Non
era questo/ il tempo di morir? Ma tu, che preso/ vivrai, vissuto nella reggia,
ascolta./ Gran segreto è la vita, e nol comprende/ che l’ora estrema. Ti fu
tolto un regno:/ Deh! Nol piangere; mel credi. Allor che a questa/ ora tu
stesso apprresserai, giocondi/ si schiereranno al tuo pensier dinanzi/ gli anni
in cui re non sarai stato, in cui/ né una lagrima pur notata in cielo/fia
contra te, né il nome tuo saravvi/ con l’imprecar de’ tribolati asceso./ Godi
che re non sei, godi che chiusa/ all’oprar
t’è ogni via: loco a gentile,/ ad innocente opra non v’è: non resta/ che
far torto, o patirlo. Una feroce/ forza possiede, e fa nomarsi/dritto: la man
degli avi insanguinata/seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno/ coltivata col
sangue; e omai la terra altra messe non dà. Reggere iniqui/ dolce non è; tu
l’hai provato: e fosse;/ non dee finir così? Questo felice,/ cui la mia morte fa
più fermo il soglio,/ cui tutto arride, tutto plaude e serve,/questo è un uom
che morrà.<o:p></o:p></span></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">L’ <i>Adelchi</i>, la seconda tragedia di Manzoni, fu pubblicata nel 1822 e
rappresentò un ulteriore approfondimento da parte dell’autore dei problemi
connessi al genere tragico. Per intendere in che modo Manzoni giunse a certe
conclusioni sarà necessario ripercorrere brevemente la sua formazione. Egli fu
profondamente influenzato dalla cultura illuministica, sia negli anni della sua
formazione giovanile nella Milano napoleonica, che pochi anni prima era stata
la capitale dell’Illuminismo italiano, sia nel soggiorno parigino a contatto
con gli <i>ideologi </i>(un gruppo di
intellettuali che si opponevano al regime napoleonico ed erano gli eredi degli
ideali rivoluzionari e del patrimonio di idee dell’Illuminismo, con aperture
nuove di interesse verso la storia che preludono al romanticismo). Le posizioni
liberali, il rigorismo morale di questi intellettuali esercitarono un influsso
determinante nella formazione delle idee politiche , filosofiche, morali e
letterarie del Manzoni. Il contatto con gli ideologi incise anche sulla
conversione religiosa e letteraria di Manzoni, sul suo ritorno alla fede
cattolica e sull’adesione ai principi romantici. Egli fu vicino al movimento
romantico milanese, che cominciò a formarsi a partire dal 1816 e ne seguì
attentamente gli sviluppi, anche se non partecipò vivamente alle polemiche e
declinò l’invito a collaborare al “ Conciliatore”. L’adesione ai principi
romantici si manifesta anche in un interesse per la storia, che prende corpo in
due tragedie storiche. La prima fu il “Conte di Carmagnola” dedicata al
condottiero condannato per tradimento dalla Repubblica di Venezia nel 1400, che
fu iniziata nel 1816 e portata a termine, dopo lunghe interruzioni, nel 1820.
Anche qui Manzoni rifiuta i modelli classicheggianti e si rivolge piuttosto
alle tragedie storiche di Shakespeare, su cui i teorici europei del
Romanticismo avevano puntato il loro interesse. Sulla scorta di tali teorici,
Manzoni ripudia il caposaldo della tragedia classicheggiante: la regola delle
unità. Mentre la tradizione classicistica, ancora seguita da Alfieri e Foscolo
nel loro teatro tragico, prescriveva che l’azione della tragedia non superasse
la durata di ventiquattro ore e si svolgesse tutta nello stesso luogo, senza
cambiamenti di scena, nel <i>Conte di Carmagnola</i> e nell’ <i>Adelchi </i>lunghi intervallo di tempo,
anche anni, separano i vari momenti dell’azione e la scena si sposta di
frequente. La regola delle unità era nata dal gusto classicistico del Rinascimento
italiano e dal principio di imitazione dei classici che ne era il canone
fondamentale. Secondo tale principio, ogni genere letterario doveva seguire
precise regole ed imitare un modello antico. E poiché i grandi tragici greci
usavano abitualmente concentrare l’azione nell’arco di una giornata e mantenere
fissa l’azione, tali caratteristiche furono assunte come regole vincolanti
assolute, valide per ogni tempo ed ogni luogo. L’obbligo delle regole fu poi
rapidamente codificato dai trattatisti letterari del Cinquecento e seguito
scrupolosamente dai poeti. Il principio delle unità fu consacrato
definitivamente dal teatro tragico francese del Seicento e imposto come
intangibile dai capolavori di Corneille e Racine. Furono i romantici tedeschi,
tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800, a rifiutare le regole opponendo ai
classici il modello della tragedia di Shakespeare, che ignora completamente le
unità. Il rifiuto dei romantici nasceva dal principio che il genio poetico deve
creare liberamente, senza costrizione alcuna, come una forza della natura. </span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPa0kExZ671iSWncIwCUlN9u_xDShKwmyjDi7Z92xlOZoIvypak0aznHKWBkOyBJx-_ushkt6vn1B0M2fxzgiA57ZgZqpHaDuQKUmkxQKrPj67pHiabZsOPikm-fLm08Es8bBFbl2T-Mmo/s303/alessandro_manzoni_ritratto_molteni.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPa0kExZ671iSWncIwCUlN9u_xDShKwmyjDi7Z92xlOZoIvypak0aznHKWBkOyBJx-_ushkt6vn1B0M2fxzgiA57ZgZqpHaDuQKUmkxQKrPj67pHiabZsOPikm-fLm08Es8bBFbl2T-Mmo/s200/alessandro_manzoni_ritratto_molteni.JPG" width="200" /></a></span></span></div>
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">Le
ragioni per cui Manzoni rifiuta le unità sono molteplici e minuziosamente
esposte nella “ Lettre à M. Chauvet”: in generale non si possono dare regole
astratte e assolute alla composizione poetica. La forma di un componimento deve
risultare dalla natura del soggetto, dal suo svolgimento interiore e non da
modelli esterni. Nessuna azione nella vita reale può svilupparsi nell’arco
brevissimo di un solo giorno e in un solo luogo: il rispetto delle regole
impedisce al poeta di riprodurre gli eventi quali si svolgono nella vita reale
degli uomini e soprattutto nella storia, che è la fonte principale della
bellezza poetica. La rigida distinzione, poi, di sublime e quotidiano, di tragico
e comico esprimeva a livello letterario la rigida divisione della classe
aristocratica dominante dalle classi inferiori, e la volontà di difendere il
privilegio anche mediante l’imposizione di modelli di gusto. E’ naturale che la
borghesia, nella lotta per affermare il proprio dominio in campo politico come
in campo culturale, rifiuti anche questa “divisione degli stili” e affermi un
gusto più democratico, proclamando il pieno diritto della vita quotidiana ad
entrare nella poesia e ad essere rappresentata in tutta la sua importanza e
serietà, al limite anche tragicità. Una nota merita anche la nuova funzione del
coro: nella tragedia greca il coro era la personificazione dei pensieri che
l’azione deve ispirare, una specie di spettatore ideale, che filtra e idealizza
liricamente le impressioni provate dal pubblico reale; per Manzoni i cori sono
degli squarci lirici che interrompono l’azione drammatica, ai quali l’autore
affida l’espressione dei sentimenti e delle considerazioni destategli
dall’azione stessa, in modo da salvaguardare l’azione da ogni intromissione
soggettiva. In tal modo la tragedia può rispondere a quella poetica del vero,
dell’aderenza all’oggettività dei fatti storici che è alla base della
concezione manzoniana della letteratura. I cori rispondono anche , in Manzoni,
alla funzione morale che la poesia, soprattutto quella drammatica, deve
possedere. Il coro permette allo scrittore di intervenire a chiarire il
significato dell’azione che si sta svolgendo, a rendere esplicito il messaggio
che ad essa è affidato, e che lo spettatore può travisare o non cogliere
addirittura. Sulla base di questi principi, Manzoni si accinse ad un’altra
tragedia di argomento storico, <i>Adelchi, </i>che
rappresenta la fine del dominio longobardo in Italia nell’ VIII e che viene
redatta tra il 1820 e il 1822. Per ben comprendere lo svolgimento del pensiero
manzoniano fino all’<i>Adelchi </i>va
ricordato che Manzoni, legato ancora all’Illuminismo, ha ancora fiducia nella
forza riformatrice delle idee e crede che sia necessario mettere ordine nella
coscienza degli uomini per fare ordine nella società; un altro abito mentale
tipicamente illuministico è la fede nel valore civile ed educativo della
letteratura. La conversione “cattolica” e romantica di Manzoni costituisce,
poi, un abbandono delle giovanili posizioni di rivolta astratta e
aristocratica, di tipo alfieriano e foscoliano, e segna una visione più
moderata che tende ad una sostanziale accettazione della realtà storica. Si
tratta, però, di un’accettazione condizionata, che deve sempre fare i conti con
il pessimismo cristiano dello scrittore, il quale, nonostante ogni proposito
progressista, resta convinto che la storia è il prodotto del peccato originale
e della “caduta” dell’uomo e quindi non potrà mai essere riscattata dal male
mediante una semplice azione umana. Il rifiuto della storia ricompare nella
tragedia <i>Adelchi </i> e si esprime attraverso la figura del
protagonista e di Ermengarda. Adelchi è un eroe intimamente diviso e
contraddittorio, in perenne conflitto con la realtà, condannato a soffrire
proprio per la sua nobiltà spirituale che non è adatta alla realtà del mondo.
In una variante cattolica incarna il tipo di eroe negativo, sconfitto e infelice
caro alla mitologia romantica ed ha le sue radici negli eroi tragici alfieriani,
nello Jacopo Ortis di Foscolo e nella stessa immagine di sé come “giusto
solitario” che Manzoni costruiva nel giovanile carme <i>In morte di Carlo Imbonati</i>. Nutrito di alti ideali e di sogni
eroici, Adelchi è costretto a compiere azioni meschine e inique nell'ambiente
in cui vive, dominato dalla legge dell’utile e della forza. Il suo rifiuto
della negatività del mondo non si esprime in un gesto clamoroso di rivolta,
come avviene in tanti eroi ribelli del Romanticismo, ma si isterilisce nel
chiuso della sua interiorità. Ermengarda è l’esatto equivalente femminile del
mito proposto da Adelchi: come Adelchi esprime il rifiuto della realtà, del
rapporto tra gli esseri umani in campo politico e pubblico, essa esprime il
rifiuto della realtà in campo privato, sentimentale
e sessuale. Ermengarda è la fanciulla-angelo pura ed infelice cara alla
mitologia borghese tra ‘700 e ‘800, che è contaminata dal contatto con il mondo
e rifugge da esso verso la sua patria vera che è il cielo. Sebbene Adelchi ed
Ermengarda esprimano questo radicale pessimismo e la soluzione estrema della
fuga dal mondo, proprio nell’ <i>Adelchi</i>
si può individuare in atto quella dialettica tra rifiuto e accettazione della
storia. Metricamente il brano presenta endecasillabi sciolti con una misura uguale
di endecasillabi <i>a maiore </i>( vv 27, 28,32,34,38,39,41,42,43,44,45,46,48) e <i>a minore</i>: prevale il ritmo ascendente
con una forte predominanza di emistichi giambici. Il pathos e la drammaticità
del momento sono messi in rilievo da un periodare spezzato da continui segni di
interpunzione, che spesso coincidono con le cesure, e che sembrano quasi
suggerire la volontà di Manzoni di dare rilievo all’espressione dolorosa di
Adelchi condannato a non poter agire. L’<i>incipit
</i>del brano è segnato da un imperativo( cessa) che per anadiplosi, è ripreso
nel verso successivo: in Manzoni l’uso dell’imperativo fa sempre riferimento
all’intervento costrittivo sulle cose, definisce l’ambito concluso delle
possibilità esaurite. Un posto rilevante occupano anche gli aggettivi che,
grazie all’inversione o all’enjambement ( 17 in soli 27 versi) si collocano a
fine o ad inizio verso: in Manzoni l’aggettivazione è una costante operazione
di carattere qualificativo nel senso che intende imprimere una scelta di
carattere morale, una definizione di positivo o di negativo senza possibilità
di diversa interpretazione. In Manzoni l’aggettivo, fortemente caricato di
intenzioni impositive e costrittive, costituisce l’ultimo anello di una
stilizzazione tutta rivolta a definire un ambito di discorso interamente
calcolato, definito, dove tutto è accaduto per sempre. Adelchi prega suo padre
di non pensare alla sua sorte, ma di concentrarsi solo sulla sua condizione di
prigioniero: l’allitterazione “ vivrai, vissuto” scandisce splendidamente il
passaggio, per Desiderio, dalla vita regale sino ad allora condotta e il futuro
da prigioniero che lo attende( si noti che “preso” è posto a chiusura di verso
e in enjambement). Le riflessioni che seguiranno saranno caratterizzate da un
pessimismo cupo, ma che vuole essere di consolazione al padre: l’emistichio è
dominato dall’inversione( gran segreto è la vita) e da un ritmo anapestico e
prelude all’affermazione successiva cioè che solo quando si avvicina l’ora
della morte si comprende il grande mistero che è la vita. Perdere il regno non
deve essere motivo di dolore o di tristezza, perché solo in punto di morte
Desiderio capirà che gli anni senza comando saranno stati i più lieti per lui,
perché neppure una lacrima, che per causa sua sia stata sparsa, sarà registrata
in cielo contro di lui, né il suo nome vi sarà salito con le imprecazioni della
gente da lui tormentata. L’iperbato( giocondi…anni) sembra quasi accompagnare
la riflessione che Desiderio dovrà fare in punto di morte, mentre gli
enjambement legano strettamente tra loro i versi. La ripetizione
dell’imperativo “godi” sembra rafforzare la convinzione dello stato di grazia
che conoscerà Desiderio lontano dagli affanni del potere, tanto più che non c’è
nessuna strada aperta per chi vuole agire, non c’è posto per un’azione nobile o
innocente e l’unica soluzione è fare del male o subirlo. La <i>iunctura </i>allitterante(feroce/forza),
impreziosita dall’enjambement, conferisce all’aggettivo un rilievo particolare:
Manzoni riscatta in termini cattolici il suo eroe “ problematico”, trasformando
il tormento dell’aristocratica “anima bella” in una fuga dal mondo verso la
pace consolatrice di Dio. Adelchi morente enuncia una visione del mondo
radicalmente pessimistica: la storia è dominata dalla violenza e dall’ingiustizia,
ed è impossibile agire per contrastare il male senza compiere altro male. Però
la condizione del potente, colui che ha maggior peso nella storia, ed è
costretto dalla logica della realtà a seminare sofferenze e ingiustizie, è
totalmente negativa. Ancora un’inversione per spostare in ultima sede un
aggettivo, in un verso dal caratteristico andamento dattilico: la mano “
insanguinata” dei primi Longobardi invasori ha seminato l’ingiustizia e non si
può raccogliere un frutto diverso da quello che si è seminato. Quanto
all’aggettivo “iniqui” bisogna dire che può essere sia predicativo del soggetto
che dell’oggetto: nel primo caso intenderemo” governare ricorrendo alla forza”,
come pare più probabile, nel secondo caso “ governare uomini iniqui”. Adelchi sa
bene che suo padre comprende, per esperienza, le sue parole e che seppure fosse
dolce governare con la forza, tutto dovrebbe finire comunque nella morte.
Persino Carlo che fonda sulla sua morte un potere più solido, che in questo
momento è ben voluto dalla sorte, osannato e servito da tutti come vincitore,
persino lui dovrà morire e non potrà sfuggire il suo destino. Si noti come
l’anafora del pronome relativo dà rilievo alla figura di Carlo e crea una
dicotomia tra la sua grandezza presente e il destino a cui non può sottrarsi.
Se Adelchi rappresenta l’impossibilità di agire nella storia, e proclama le
ragioni ideali di questa rinuncia, l’essenza stessa di Carlo è il realismo
dell’agire politico, Carlo non ha mai né problemi né esitazioni dinanzi all’agire;
è convinto che l’interesse del regno giustifichi ogni azione, anche quelle che
provocano sofferenze e ingiustizie, ma soprattutto è convinto di essere il “
campione di Dio”, l’esecutore delle sue volontà sulla terra, e di essere
chiamato da Dio stesso alla missione di invadere l’Italia per salvare il Papa.
In realtà le parole che rivolge ai suoi soldati, magnificando la preda che li
attende in Italia, rivelano come sia spinto essenzialmente dal desiderio di
conquista e di potenza. Nonostante questa demistificazione del potere e della
forza che si ammantano di ragioni ideali, nell’economia complessiva dell’opera,
Carlo non appare come un personaggio negativo. Nel <i>Discorso</i> che accompagna la tragedia, Manzoni osserva che tutti
coloro che agiscono nella storia sono inevitabilmente spinti da interessi
privati di dominio. Visto che il bene assolutamente non esiste, bisogna
adottare un altro criterio per giudicare le azioni politiche: vedere se quelle
azioni, perseguendo altri fini, tendano anche ad alleviarle le sofferenze delle
masse che ne subiscono le conseguenze, oppure tendano ad aumentarle. Carlo,
anche se è colui che ripudia Ermengarda e la condanna a morire di dolore, che
distrugge il regno dei Longobardi approfittando cinicamente del tradimento dei
duchi, che impone il suo dominio sui Latini sostituendosi ai Longobardi, è pur
sempre il grande imperatore con cui camminano la storia e la civiltà, colui che
restaurerà l’impero romano chiamandolo “sacro” e piegando il potere politico
all’ossequio verso la Chiesa: di qui deriva quel carattere sostanzialmente
positivo del personaggio. L’azione politica, anche se non obbedisce a ragioni
ideali e disinteressate, ma alla legge del realismo e all’affermazione di
potenza, viene accettata e, in una certa misura, riscattata all’interno del
disegno provvidenziale visto che ne possono scaturire effetti positivi nel
corso della storia. Ne risulta che la
storia non è dominata dalla logica feroce della forza e della sopraffazione,
come appare dalle parole di Adelchi morente, e che non è impossibile agire
politicamente per attenuare il male del mondo. Prescindendo dal protagonista
Adelchi, il nucleo centrale della tragedia non è la negazione totale della
storia, ma quell’accettazione condizionata che tornerà poi accentuata e
approfondita nel romanzo. La tragedia non riesce a soddisfare pienamente
Manzoni che anzi non è contento dei suoi personaggi, come per esempio di
Adelchi, di cui sottolinea il colore romanzesco, cioè sostanzialmente la
falsità. Solo nel romanzo Manzoni concretizzerà a pieno i principi del moderno
realismo borghese: si pensi alla profonda serietà con cui sono rappresentate le
vicende quotidiane di personaggi delle classi inferiori, alla mancanza di
idealizzazione dei protagonisti della vicenda, all’organico collegamento dei personaggi,
della loro psicologia, del loro comportamento con il terreno storico del
Seicento lombardo. L’<i>Adelchi</i> è più
vicino, ideologicamente, ai <i>Promessi
sposi</i> di quanto si sia soliti affermare. Con una differenza essenziale: nel
romanzo i potenti che agiscono positivamente nella storia sono figure cariche
di intenzioni pedagogiche ed esemplari; nell’<i>Adelchi, </i>invece, Manzoni è più sottilmente problematico e riesce a
darci con Carlo Magno la figura singolare e complessa di un campione della fede
che agisce per poco nobili interessi politici; mentre dall’altro lato un
rappresentante della “rea progenie” degli oppressori, Adelchi, diviene il
portatore della coscienza critica dinanzi al negativo della storia e della
società.</span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-46711718395488940912013-06-24T20:59:00.000+02:002013-06-25T14:34:38.862+02:00" L'ARTE DI ASCOLTARE I BATTITI DEL CUORE" e " GLI ACCORDI DEL CUORE" due libri da non perdere<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcGRjzgYJPOi4zB5wYJUTc1Srv8Z7bBwdtrh5DMO84hDpkdcKHmgOF_8Ej1GBG_qsx0CA4dSBck-0pNIQYJJDyp01F7H6zCGOZdVTgCckuV0SnTV3qgCHby9KnAU8y5Gmmd4TepSQX_X_e/s1600/download.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcGRjzgYJPOi4zB5wYJUTc1Srv8Z7bBwdtrh5DMO84hDpkdcKHmgOF_8Ej1GBG_qsx0CA4dSBck-0pNIQYJJDyp01F7H6zCGOZdVTgCckuV0SnTV3qgCHby9KnAU8y5Gmmd4TepSQX_X_e/s320/download.jpg" width="206" /></a></div>
<i style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></i>
<i style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></i>
<i style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: inherit;"><b>" I nostri sensi amano ingannarci,
e gli occhi sono i più ingannevoli di tutti. Ci inducono ad avere troppa
fiducia in loro. Crediamo di vedere quello che c'è intorno, ma quello che
percepiamo è solo la superficie. Dobbiamo imparare a comprendere l'essenza delle
cose, la loro sostanza, e per fare questo gli occhi ci sono più di impedimento
che altro. Ci inducono a distrarci, e noi ci lasciamo abbagliare. Chi si fida
troppo dei propri occhi trascura gli altri sensi, e non intendo solo le
orecchie o il naso. Parlo di quell'organo che è dentro di noi e per il quale
non c'è un nome. Chiamiamolo la bussola del cuore."</b></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b><br /></b></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span><span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><br /></span><br />
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;">“</span><b style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">L’arte di ascoltare i battiti del cuore</b><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">” è un romanzo avvincente,
costruito con notevole maestria attraverso un intreccio che non annoia mai il
lettore, ma lo trasporta, facendogli persino perdere il fiato, in un groviglio
di emozioni e di sensazioni di una forza devastante. Un romanzo da leggere
tutto d’un fiato in attesa di comprenderne il punto d’arrivo e la fine. La
notevolissima capacità dello scrittore sta tutta in questo eccezionale modo di
intrecciare storie, nomi, personaggi non sempre chiaramente legati tra di loro
per poi ricomporre il complicato puzzle solo nelle ultime pagine. Il finale è
del tutto inatteso, a sorpresa, spiazzante, ma emozionante, delicato e di una
tenerezza che scalda il cuore fino alle lacrime. Una lezione d’amore come pochi
saprebbero dare, una storia che coccola il nostro cuore e ci fa scoprire il
senso ultimo e profondo di un sentimento che, quando è vero, valica
i confini dell’immediato, oltrepassa tutto ciò che è materia o contatto per farsi spirito che arde e si alimenta di se
stesso. Una storia d’amore tra due persone che la vita separa, ma che
continueranno, pur senza vedersi e parlarsi, a nutrire quella fiamma sottile
che non ha mai smesso di ardere nel loro cuore. Una storia che ci ricorda che
l’amore è un sentimento puro, che ha bisogno di cura e di tempo per palesarsi e
per vivere per sempre. In una Birmania dai ritmi così diversi, così
dannatamente lenti rispetto ad un Occidente frenetico e che ha perso il gusto e
il senso profondo del tempo, il lettore viene condotto in una società fatta di
piccole cose, di pregiudizi, di discriminazioni, di odori che quasi si sentono, di profumi che
diventano parte della storia e di un uomo con una dote fuori dal comune: saper
ascoltare i battiti del cuore di ogni essere vivente e della sua donna. Una
qualità che può appartenere solo a chi ha veramente compreso il valore del
tempo e, soprattutto, dell’esistenza non monetizzandola, ma rintracciandone il segreto più puro e più profondo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiLN7LdjzcUO48wemP42DCix_3CULvtVJaPQort28EpJ1iSLMALPYFlePWpkYOfSQvvwekW6PKqr6bM9WNMvw4Anx-GckTCBRAQVtXmJcBzII8m0HPkN8XIWcuYrhcFN1E0J3VTQnqTKIIB/s1600/Gliaccordidelcuore.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiLN7LdjzcUO48wemP42DCix_3CULvtVJaPQort28EpJ1iSLMALPYFlePWpkYOfSQvvwekW6PKqr6bM9WNMvw4Anx-GckTCBRAQVtXmJcBzII8m0HPkN8XIWcuYrhcFN1E0J3VTQnqTKIIB/s320/Gliaccordidelcuore.jpg" width="213" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><b><span style="font-family: inherit;"><br /></span></b></i>
<i><b><span style="font-family: inherit;"><br /></span></b></i>
<i><b><span style="font-family: inherit;"><br /></span></b></i>
<i><b><span style="font-family: inherit;"><br /></span></b></i>
<i><b><span style="font-family: inherit;"><br /></span></b></i>
<i><b><span style="font-family: inherit;"><br /></span></b></i>
<i><b><span style="font-family: inherit;">"Ci sono momenti che una persona non dimentica più per il resto della vita. Che si imprimono nell'anima, lasciano cicatrici invisibili su una pelle invisibile. E se in seguito le si tocca, il corpo freme di dolore fin nei pori"</span></b></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span><span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><br /></span><br />
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;">“</span><b style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Gli accordi del cuore</b><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">” è un romanzo che rappresenta un viaggio alla
scoperta di se stessi, un viaggio per ritrovare quella pace del cuore che
ciascuno sente di dover cercare, a cui non possiamo rinunciare, sebbene frenati dai
mille impegni e dalle mille preoccupazioni di ogni giorno che sovente ci allontanano da noi stessi e ci riducono ad automi che non
riescono più neppure a capire che cosa vogliono o che cosa sentono. Ancora
l’amore al centro della vicenda, l’amore come forza motrice dell’universo e
della vita stessa (Novalis diceva...” l’Amore è l’amen dell’Universo”), l’amore
come elemento irrinunciabile per essere felici. Nel romanzo si legge: “ <b>…</b></span><i style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><b>Da quante persone dobbiamo essere amati per
essere felici? Due? Cinque? Dieci? O soltanto da una? Quell'una che ci apre gli
occhi. Che ci toglie la paura. Che dà senso al nostro essere…</b>”.</i><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> La ricerca di amore, una ricerca
della felicità che passa attraverso quelle domande che ciascuno di noi si pone nell'arco della
propria vita, le cui risposte diventano l’essenza della vita stessa, la scoperta dei propri bisogni e il
raggiungimento della pace del cuore. Il romanzo ci spinge dolcemente a riflettere sull'inutilità di
una vita senza amore, senza donarsi agli altri, ad acquisire la consapevolezza che un' esistenza scandita da un
cuore “scordato”, che non sa più suonare la melodia giusta, ma che percepisce
il disagio del suo battito è priva di valore. Un viaggio che il lettore, insieme a Julia, la
protagonista, compie cercando la propria anima e il senso profondo della
propria vita, un viaggio per comprendere non solo che non siamo fatti per stare
da soli, ma che solo nell'amore realizziamo l’essenza vera e profonda della
natura umana: compiamo il nostro destino donandoci agli altri, amando incondizionatamente
fino al dono supremo della vita stessa, per proteggere coloro che amiamo. Un
inno all'amore, alla vita, alla capacità di fare scelte che ci consentano di riempire
il nostro cuore e “accordarlo”, affinché il suo battito ci accompagni e segni
la nostra strada, affinché il suo battito si muova al ritmo dell’universo. La
protagonista, attraverso una storia che, come è solito fare Sendker, si snoda
in un groviglio che crea attesa, angoscia, dolore e amarezza nel lettore,
arriva a trovare se stessa e la sua felicità imparando che pure un’anima
dannata o con un karma negativo può, attraverso questa forza misteriosa e di
incommensurabile potenza, liberarsi dal dolore e dalla condanna all'infelicità
e riscattarsi in pienezza. L’amore, in tutte le sue coniugazioni, è l’unico vero motore dell’universo ed è l’unica forza in
grado di assicurarci la felicità, che sta tutta nel donarsi agli altri e nel
provare amore incondizionato, amore che nulla si aspetta di ricevere in cambio, ma generoso e che si compie nella totale gratuità. Sullo sfondo ancora la Birmania con la sua
lentezza, con la sua cultura, con la fede in Buddha, con le sue paure e
superstizioni, con le sue violenze, ma con il senso dell’accoglienza
e dell’ospitalità, pur nella povertà, e con il diktat che la propria felicità si
costruisce insieme a quella degli altri. La storia di Julia si interseca con quella di una madre che non sa
amare i suoi figli in egual modo e che ne condanna uno a convivere con il senso
dell’ abbandono e del rifiuto, sebbene si legga nel romanzo: "<b>...</b></span><i style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><b>la verità del singolo risiede nella sua anima, e tale verità non è immutabile, ma può cambiare. Ogni essere umano è libero e nessuno può ferirci, salvarci o cambiarci tranne noi stessi</b>". </i><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Ancora una storia di speranza e di ricerca
appagata attraverso il superamento delle proprie paure e dei propri dolori:
solo liberandosi da ciò che ci ha ferito o ci ha fatto soffrire possiamo vivere in
pienezza la nostra vita e solo l’amore può restituirci alla felicità. Non c’è nulla che valga per sempre, non ci
sono storie già scritte e che non si possono cambiare, ma c’è sempre la
possibilità di riscattare un’esistenza grigia e senza senso, se solo abbiamo il
coraggio di affrontare i nostri demoni, di compiere un percorso di conoscenza
del dolore, senza fuggire, per poi essere finalmente liberi e con il cuore
pronto a ricominciare.</span></div>
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-10191085792651873982013-06-22T21:13:00.002+02:002013-06-26T09:07:29.697+02:00LE DONNE , LA LETTERATURA E LA FILOSOFIA<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><b>Essere donne nell'antichità</b></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi_u5Xf4N2SrTtGGgkgjZtt-sQWrK2duIHKWTn_xmEXXssdo9PR0LiOjRa-FmWHqGJPuCbBmySaKFN3P3L4r_pzRL-dEhj6MUwYYUyuYI2IdVHF3ZNKQZ2TsVaaRYwBZvDMdD0pwuA_hup/s1600/581b6cf9e0410bf6db7b4891ed0e265c.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi_u5Xf4N2SrTtGGgkgjZtt-sQWrK2duIHKWTn_xmEXXssdo9PR0LiOjRa-FmWHqGJPuCbBmySaKFN3P3L4r_pzRL-dEhj6MUwYYUyuYI2IdVHF3ZNKQZ2TsVaaRYwBZvDMdD0pwuA_hup/s1600/581b6cf9e0410bf6db7b4891ed0e265c.jpg" /></span></a></div>
<span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">La società antica era
fortemente discriminante nei confronti delle donne semplicemente per la loro “
natura”. Se essere donne era già limitante, essere donne schiave era terribile,
in quanto oltre a non godere di libertà personale, le schiave erano un vero e
proprio oggetto sessuale a disposizione del padrone al quale dovevano chiedere il permesso di
unirsi ad un altro uomo e che poteva spezzare qualsiasi legame a proprio
piacimento. Anche la sessualità della donna deve essere fortemente limitata in
quanto deve avere come unico scopo la procreazione, pertanto l’adulterio
femminile non può neppure essere concepito. Nell'antica Grecia, l’intransigente
Dracone nel VII secolo a. C. ammetteva che chiunque avesse scoperto sua moglie
o sua sorella o sua madre in flagrante adulterio, avrebbe potuto vendicarsi o
uccidendo l’adultero o infliggendogli una pena terribile che poteva essere la
</span><span style="font-family: inherit;">rasatura del pube, per rendere l’uomo simile alla donna, o la cosiddetta “ pena
del ravanello” , che si commenta da sola! Perché veniva punito l’uomo in caso
di adulterio e non la donna? La risposta è drammaticamente ovvia: la donna, non
avendo volontà personale, non è adultera, ma <i>adulterata </i>cioè sedotta, corrotta, insomma vittima, sia pure
consenziente. La considerazione per le donne era veramente minima:
rappresentavano un grosso problema per la famiglia in quanto improduttive e
dovevano essere mantenute fino al matrimonio che, come si è detto, in Grecia
avveniva prestissimo. Un personaggio letterario interessante per comprendere la
condizione delle donne in Grecia è Medea: la donna abbandonata dal marito, che
uccide i suoi figli per vendetta e che , in un lungo monologo si lamenta della
dura condizione delle donne. “ <i><b>Noi donne
siamo l’essere più infelice tra tutti quelli che sono forniti di anima ed hanno
intelligenza, noi a cui in primo luogo è necessario con molte ricchezze
comprare un uomo e prenderlo come padrone del corpo: certamente del male questo
è ancora peggiore. Ancora il rischio maggiore è in questo: prenderlo cattivo o
buono. Infatti le separazioni non sono onorevoli per le donne, e neppure è
possibile rifiutare lo sposo. Bisogna poi che, giunta in mezzo a nuove
consuetudini e leggi, la donna sia indovina, non avendolo imparato da casa di
chi mai principalmente si servirà come sposo e se lo sposo conviva con noi, che
avremo ben conseguito ciò sopportando non a forza il giogo, la vita è
invidiabile se no è necessario morire. L’uomo, quando si sdegna di stare
assieme a quelli dentro casa, recandosi fuori fa cessare il cuore dal tedio,
volgendosi o ad un amico o ad un coetaneo. A noi invece è necessità guardare ad
una sola anima, poiché io preferirei stare presso lo scudo tre volte piuttosto
che una sola volta partorire…</b>” </i>. Lo sfogo di Medea è singolare non solo
perché precede la ribellione contro il marito che la donna sta meditando, ma
anche perché è la prima volta che la letteratura concede questo tipo di spazio
ad una figura femminile. Un contributo importante per una maggiore accoglienza delle
donne sarà offerto dal filosofo Socrate del quale, purtroppo, non abbiamo opere
scritte e il cui pensiero ci è noto grazie all’opera dei suoi discepoli.
Certamente Socrate tenta di infrangere un pregiudizio resistente e radicato,
ossia l’inferiorità della donna determinata dalla natura che il filosofo
contesta ritenendo che la donna è resa inferiore dalla mancanza di istruzione e
dalla minore forza fisica, quindi diventa inferiore perché le vengono negati
gli strumenti dei quali l’uomo dispone per consolidare la propria superiorità.
Socrate apre ad una concezione della donna quasi paritaria e certamente non fu
misogino, come molti suoi contemporanei. Saranno i cinici ad affermare in modo
inequivocabile la parità tra uomo e donna, parità che comprendeva anche la
libertà sessuale e il diritto di scegliersi il marito. Si allinearono a queste
posizioni anche gli epicurei e i pitagorici. Ci penserà Aristotele a far fare
un balzo indietro all'apertura verso le donne ribadendone l’inferiorità e
fornendo un puntello scientifico alla sua teoria sulla evidente superiorità
degli uomini. Una teoria, quanto meno singolare, che parte dalle componenti
organiche che collaborano alla procreazione: lo sperma, secondo Aristotele
parte pura e attiva, e il mestruo, parte impura e passiva. La donna, avendo un
ruolo subalterno e passivo nella procreazione dimostra inequivocabilmente la
sua inferiorità e la sua marginalità rispetto ad una società che è retta dagli
uomini. La differenza biologica, che Aristotele pone come spiegazione alla
inferiorità della donna, è il presupposto culturale al ruolo marginale che le
viene assegnato all'interno della società. Il mondo ellenistico, invece, metterà da parte
i sentimenti misogini e i soliti cliché che volevano la donna stupida, dedita
al vino o lussuriosa, anzi le degradazioni comiche derivano dalla
consapevolezza del mutato ruolo delle donne alla ricerca di una rivincita.<o:p></o:p></span></span></div>
<br />
<span style="font-family: inherit;">
</span>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-7236419439680553222013-06-18T19:38:00.000+02:002013-06-20T15:43:54.040+02:00LE ORIGINI DELLA CULTURA MASCHILISTA<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-family: inherit; line-height: 18px;"><b>La donna nella tradizione mitologica</b></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmu0KDxTJdBeNpfh7Q7IQoWGpc_oADm4qmi-o_aFSDTTcsG-osaryG5GT_5MKuV9b_Azwcf6CnT-niMedyCSVTuQzfTjSKePlZ9SrknAYRHos7vc_HKXySXWWeOxECg38UjIVdZRpsWZuD/s1600/pandora.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="231" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmu0KDxTJdBeNpfh7Q7IQoWGpc_oADm4qmi-o_aFSDTTcsG-osaryG5GT_5MKuV9b_Azwcf6CnT-niMedyCSVTuQzfTjSKePlZ9SrknAYRHos7vc_HKXySXWWeOxECg38UjIVdZRpsWZuD/s320/pandora.jpg" width="320" /></a></div>
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">La discriminazione delle
donne inizia con la mitologia e con le teorie di filosofi come Pitagora che,
dopo aver distinto tra un principio buono e un principio cattivo, spiega che il
primo ha creato l’ordine, la luce e l’uomo, il secondo ha creato il caos, le
tenebre e la donna! Ma pure l’ordine dell’Olimpo chiarisce in modo
inequivocabile il ruolo delle donne: destinate a procreare e non certo ad avere
il potere. Pensiamo ad una donna consacrata dal mito come <b>Pandora</b>, la donna che, obbedendo ad istinto attribuito principalmente alle donne, non si oppone alla
curiosità e viola il perentorio divieto di Giove: il vaso deve restare chiuso o
il male invaderà il genere umano. E’ difficile ricostruire con precisione quale
è stato il ruolo della donna nella società antica in quanto le fonti storiche
si soffermano sui protagonisti della storia, sempre e solo uomini, e
tralasciano gli esclusi o le classi subalterne. Le donne romane, sebbene
abbiano partecipato più attivamente alla vita pubblica di quelle greche,
tuttavia furono estromesse da attività considerate prettamente maschili come la
guerra e la politica. Per ricostruire la figura e il ruolo della donna nelle
società antiche ci viene in aiuto la letteratura con tutti i suoi limiti legati
alla possibilità di travisare i fatti, distorcerli o semplicemente abbellirli.
In realtà le figure femminili che riusciamo a tratteggiare sono o appartenenti
all'alta società oppure cortigiane, ma non riusciamo a tracciare un ritratto
attendibile delle donne del ceto medio. Ricostruire la complessità
dell’accettazione del ruolo della donna sin dall'antichità ci può aiutare a
spiegare e a comprendere certe resistenze culturali a considerarla come essere
umano e basta! La donna è sempre associata a valori negativi: si pensi, per
esempio, al bellissimo racconto della storia di Amore e Psiche, ancora una volta
la donna viene presentata come un essere che non sa accontentarsi neppure se ha
tra le mani l’assoluta felicità e tutte le ricchezze desiderabili, sembra quasi
irresistibile per lei il richiamo a distruggere tutto ciò che di buono ha
intorno spesso a causa della “curiosità”. Per non parlare della citata
Pandora! Le divinità femminili dell’Olimpo sono solo cinque: Giunone, Venere,
Minerva, Diana e Vesta. <b>Giunone </b>rappresenta
il prototipo di moglie fedele e possessiva, incapace , però, di tenere a bada
gli istinti irrefrenabili di un marito troppo sensibile al fascino delle donne.
<b>Venere </b>è il paradigma della bellezza
fisica, oca quanto basta, imbarazzante in ogni intervento, invidiosa e gelosa
del proprio figlio, con una non certo lodevole propensione all'adulterio,
consuetudine non proprio degna di una donna. <b>Minerva </b>è forse la divinità femminile più complessa: è la dea della
sapienza, qualità assolutamente maschile, e dea della guerra, anche questa
attività riservata solo agli uomini. In effetti la particolarità di questa dea
è proprio che rappresenta la negazione di tutto ciò che è femminile: costei
resta vergine ed è nata dalla testa di Giove, che si appropria di una
prerogativa femminile, per far nascere una divinità fuori dal comune, anche se
non dimentichiamo che la capacità di “ dare la vita” anticamente apparteneva
all'uomo. Si pensi alla nascita della dea Venere nata dalla schiuma del mare
fecondata dai genitali recisi del povero Urano! <b>Diana</b> è anche lei una dea mascolina, è la dea protettrice della
caccia, attività riservata agli uomini, protettrice delle Amazzoni donne con
attributi maschili e non si è mai sottomessa ad un matrimonio monogamo. Infine <b>Estia</b> , vergine anche lei ( era questo
un attributo considerato assai rilevante dai Romani) come le sue sacerdotesse
che venivano uccise barbaramente se avessero perso la verginità sia pure in
seguito ad un abuso (si pensi a Rea Silvia!), preposta a custodire e a vegliare
sul focolare, a garantirne la pace proprio come fa una buona madre di famiglia.
Come si può ben capire non c’è un equivalente femminile di Giove che possieda
tutte le migliori, e peggiori, caratteristiche del gentil sesso, e questo si
spiega con una mentalità che nega alla donna grandi capacità e qualità da
esprimere. Proprio per compensare i limiti di una donna, Demostene sosteneva:”
Noi abbiamo amanti per il nostro godimento, concubine per servire la nostra persona
e mogli per generare la prole legittima”. In effetti nell'antica Grecia un
uomo, per essere soddisfatto, aveva tre donne: la moglie che viveva nel
gineceo, curava i figli legittimi e la casa ed era esclusa completamente dalla
vita del marito; la concubina che aveva anche mansioni umili e doveva essere
fedele all'amante proprio come la moglie legittima; infine l’etera che era
un’accompagnatrice e che aveva accesso ai luoghi comunemente interdetti alle
mogli e alle concubine. La marginalità della figura femminile è attestata
persino dal fatto che mentre le divinità maschili avevano una totale libertà
sessuale e potevano avere rapporti sia con divinità che con donne
mortali senza nessun problema, per le dee la situazione era ben diversa,
qualora un mortale se ne innamorasse o giacesse con loro poteva solo finire
tragicamente, come accadde ad Adone dopo aver amato la bella Venere. Persino
nei rapporti omosessuali c’è discriminazione: gli dei possono avere rapporti
con uomini, ma non abbiamo nessun riferimento circa la possibilità o la libertà
dell’amore saffico. Le qualità apprezzate nelle donne , ieri come oggi, erano
la bellezza ( per la bellezza di Elena è addirittura scoppiata una guerra!), la
bravura nei lavori domestici e l’ubbidienza, ma non di minore importanza la
pudicizia e la fedeltà, qualità affatto richieste agli uomini. L’atteggiamento
maschile nei confronti delle donne è di sostanziale diffidenza e dubbio, si
pensi alla povera Penelope che dopo aver fatto e disfatto la tela in attesa che
quel fedifrago di Ulisse ritrovasse la strada di casa, sarà l’ultima a sapere
del ritorno del coniuge che si dovrà accertare, lui dissoluto e infedele, della
pudicizia della moglie. Del resto lo stesso Ulisse, disceso nel regno dei morti,
consiglia all'amico Agamennone di non essere mai troppo dolce con le donne, di
dire una parola ma di serbarne sempre un’altra e di non dimenticare mai che la
donna è un essere infido. Non dimentichiamo che ci sono seri dubbi circa la
paternità di Telemaco, del resto:” Mater semper certa est, pater incertus!” e
che la bella Penelope può sia incarnare, se letta positivamente, tutte le
qualità femminili più apprezzate da un uomo, ma se letta in chiave più misogina
e maliziosa si noteranno azioni e scelte non sempre in armonia con la sua
posizione sociale( la donna non cede alle avances dei Proci perché teme che
gliene possa derivare una cattiva fama, ma più volte pensa all’opportunità di
sistemare la sua situazione vista la lunga assenza del marito).</span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-51734462893224129522013-06-17T20:33:00.000+02:002013-06-23T18:14:31.395+02:00LA VITA DI UNA DONNA NELL’ANTICA GRECIA<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">PARTE
SECONDA</span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUKmjh-76SotdPFHLtUO4i8k3TOB4jrxSTewyr4OCcH0RQGwFt13w2vMnse4-H0evvSVLcG_gisYkbPiAct6HsQtafHT6AyXp2ZGYg9FLvZuUanqtrsuiBSDX5aZwsN4NFGOKoRfL-VKs0/s1600/etere-le-escort-dellantica-grecia-T-0AOnFt.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="216" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUKmjh-76SotdPFHLtUO4i8k3TOB4jrxSTewyr4OCcH0RQGwFt13w2vMnse4-H0evvSVLcG_gisYkbPiAct6HsQtafHT6AyXp2ZGYg9FLvZuUanqtrsuiBSDX5aZwsN4NFGOKoRfL-VKs0/s320/etere-le-escort-dellantica-grecia-T-0AOnFt.jpeg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">Una svolta importante nella
vita delle donne si ebbe nel V secolo a.C. in occasione della guerra del
Peloponneso che costrinse molti uomini lontano da casa , lasciando alle donne
nuove responsabilità, una nuova consapevolezza e più libertà di uscire per
curare gli affari di famiglia. Certamente una prassi consolidata prevedeva che
le donne, rigorosamente accompagnate da una schiava, facessero visita alle loro
amiche per chiacchierare o farsi prestare oggetti per la casa o per futili
pretesti. Un’altra importante occasione per uscire di casa erano le feste in
onore di Dioniso, durante le quali erano allestiti spettacoli teatrali a cui,
quasi certamente, potevano partecipare anche le donne sia pure limitatamente
alle rappresentazioni tragiche e non a quelle satiriche in quanto spesso volgari
e troppo lascive per le donne. Certamente la mutata condizione delle donne
maturata in occasione della guerra del Peloponneso, modificò molti costumi fino
ad allora radicati. Un dato certo è che gli uomini cercavano, fuori casa, ogni
genere di soddisfazione negata o semplicemente non soddisfatta dalla vita
coniugale: giovinetti e cortigiane offrivano un lieto diversivo alla monotonia
del menage familiare. La “nuova” libertà conquistata dalle donne le spinse a
stare molto di più tra gli uomini, ad esporsi più spesso in pubblico e a
ritrovare il gusto di una certa femminilità costretta dalla clausura del gineceo,
al punto che fu creato un magistrato <i>ad
hoc</i>, il <i>gineconomo,</i> incaricato di
vigilare sul comportamento delle donne. Un fatto singolare nel V secolo fu
proprio l’unione extra-coniugale di Pericle con Aspasia: lo statista greco
ripudiò sua moglie, da cui aveva avuto due figli, per vivere con la bella
milesia ma senza poterla sposare in quanto la donna non era ateniese di nascita
e non apparteneva a nessuna delle città che avessero ricevuto da Atene il
diritto di epigamia. Tuttavia la posizione non del tutto legale della donna accanto
a Pericle, la espose ai perfidi attacchi dei comici e dei poeti che non
esitarono ad apostrofarla come prostituta o tenutaria di casa chiusa. In realtà
in questo caso il problema non era che Pericle avesse una concubina, prassi
assolutamente consolidata e “normale” ad Atene, ma che la donna fosse
straniera.</span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggSNUH44rDK921NWY4apH4MKrB29rIQzS5HkfpEGlV7tZvXWNmgdotRhAYySM2ZT0nfWQQyCLhP__LFz5qn7F_WjuAEpp0OkJCIsLNroVlooD6omhBvhwE2vz30jFYGCLcksJLoPDGrZMj/s1600/immagine-gr.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="142" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggSNUH44rDK921NWY4apH4MKrB29rIQzS5HkfpEGlV7tZvXWNmgdotRhAYySM2ZT0nfWQQyCLhP__LFz5qn7F_WjuAEpp0OkJCIsLNroVlooD6omhBvhwE2vz30jFYGCLcksJLoPDGrZMj/s200/immagine-gr.jpg" width="200" /></a></span></span></div>
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"> Le concubine erano donne che, pur non riconosciute dalla legge,
erano, di fatto, legittimate dalla consuetudine. Se la moglie e la concubina erano entrambi
ateniesi, la differenza stava nella dote: la moglie legittima, infatti, portava la dote per il matrimonio, la
concubina, invece, portava solo se stessa in quanto spesso discendente da una
famiglia povera. Le prostitute erano per lo più schiave, che ad un costo
irrisorio soddisfacevano i desideri dei loro clienti, ma spesso potevano essere
anche vere e proprie “escort” non solo ben pagate, ma addirittura alcune
venivano sposate da uomini molto ricchi e con una posizione sociale
ragguardevole. Certo è da sfatare la
leggenda che fa delle cortigiane donne colte o istruite: invero, molto spesso,
venivano educate sin da bambine alla professione e imparavano l’arte della
seduzione a partire dalla cura del corpo per finire a tutto ciò che avrebbe
potuto compiacere i clienti. E’ probabile che tra le cose che venivano insegnate
ad una cortigiana ci fosse l’arte di suonare uno strumento musicale e di
ballare. Dai matrimoni greci non nascevano molti figli e non solo perché gli uomini avevano mille
distrazioni fuori casa, ma soprattutto per evitare di mettere al mondo troppi
eredi legittimi che avrebbero comportato un eccessivo impoverimento del patrimonio familiare diviso tra troppi
eredi. Quando una donna restava incinta e il figlio non era desiderato dal
marito era possibile o ricorrere all'aborto oppure esporre il piccolo. Sebbene
la legge greca non vieti l’aborto, considerato legittimo per un uomo che voglia
tutelate il proprio patrimonio familiare, tuttavia si raccomandava di
praticarlo in tempi rapidi, prima che il feto ricevesse “ vita e sensi”, questo
non per scrupolo di coscienza, ma solo per scrupolo religioso. Sempre per questo inspiegabile scrupolo
religioso era vietato uccidere un neonato, ma era lecito lasciarlo morire di
fame e senza prendersi cura di lui. Il figlio indesiderato poteva anche essere
abbandonato per strada in un vaso di argilla che gli faceva da tomba. I neonati
esposti più fortunati venivano raccolti e cresciuti per diventare schiavi o,
nel caso di neonate, prostitute. Il parto era assistito da donne esperte , ma
in caso di necessità o di complicazioni interveniva un’ostetrica e un medico.
Prima del parto si ungeva la casa con la pece per scacciare i demoni o per
proteggerla dalla contaminazione. Immediatamente a ridosso della nascita,
veniva apposto sullo stipite della porta un ramoscello di ulivo se era maschio,
un filo di lana per una bambina. A distanza di cinque o sette giorni dalla
nascita del bambino si teneva una festa importante, detta delle <i>Anfidromie:</i> prevedeva essenzialmente riti
di purificazione per la madre e per tutti coloro che avessero assistito al
parto, oltre che l’ingresso ufficiale del neonato in società. Il nome della
festa deriva dall'usanza di correre intorno al focolare domestico con il bimbo
tra le braccia( anfi= intorno). A
distanza di dieci giorni ci si riuniva nuovamente per fare un sacrificio e per
banchettare in onore del nuovo arrivato: in questa occasione al bambino veniva
dato il nome, spesso del nonno paterno, anche se questa norma non era
vincolante e venivano offerti doni, soprattutto amuleti.<o:p></o:p></span></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-75291238262068536972013-06-12T20:54:00.000+02:002013-06-12T21:02:20.913+02:00LA VITA DI UNA DONNA NELL'ANTICA GRECIA<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">PARTE
PRIMA<o:p></o:p></span></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><b><br /></b></span></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjg_utA7nCc54lVwGzIrenEhT9OvtWKS5F-rypf-v8KOTYuUqgjP5DPq9tEY1JO3esB0drYkug37UY5JvYFw6ZPCRkbej0nw6wYZexDtsOzvBkcFTYFDa5m6OHsIWgFbDE3x2vaiS9jAPja/s1600/donne-rituali-antica-grecia.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="219" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjg_utA7nCc54lVwGzIrenEhT9OvtWKS5F-rypf-v8KOTYuUqgjP5DPq9tEY1JO3esB0drYkug37UY5JvYFw6ZPCRkbej0nw6wYZexDtsOzvBkcFTYFDa5m6OHsIWgFbDE3x2vaiS9jAPja/s320/donne-rituali-antica-grecia.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Le donne in Grecia, tra il
III e il IV secolo a.C, non godevano di molti diritti ed erano assimilabili,
per status sociale, agli schiavi. Il gineceo era il luogo destinato alle donne:
una sorta di prigione dorata, nella quale le sventurate trascorrevano le loro
giornate, lontano da sguardi indiscreti e dal resto del mondo. Le giovinette
venivano edotte dalle donne più anziane, mamme o nonne o serve, a svolgere con
impegno e precisione i lavori domestici per essere pronte a gestire la casa del
futuro sposo. Le uscite consentite si limitavano ad alcune feste religiose, durante le quali
le vergini cantavano e danzavano rigorosamente lontane dai maschi. Pare certo
che alle giovinette non fosse chiesto il consenso per il matrimonio, che era
considerato un affare di famiglia e che aveva come scopo principale quello di
mettere al mondo dei figli, possibilmente maschi, sia per assicurare al padre
di famiglia l’assistenza necessaria in vecchiaia, sia la degna sepoltura cui
ogni cittadino ateniese agognava. Sposarsi era un obbligo per un cittadino
onorato e sebbene Atene, diversamente da
Sparta, non avesse leggi che obbligassero un uomo in tal senso, tuttavia il
biasimo della comunità era un ottimo deterrente a differire troppo “ il male
necessario”, come veniva considerato il matrimonio. Ciò che è certo è che alla
base di un matrimonio non c’era una scelta d’amore, anche se tuttavia spesso i coniugi “ imparavano” ad
amarsi. Un pregiudizio per noi difficile da comprendere nella società greca era
che l’amore coniugale fosse meno coinvolgente e pieno dell’amore omosessuale.
L’età giusta per il matrimonio era considerata intorno ai 30 anni per gli
uomini e 16 per le fanciulle che , in realtà erano in età da marito non appena
raggiunta la pubertà, tuttavia non venivano date in sposa prima dei 14/15 anni.
I maschi, di solito aspettavano di aver concluso il servizio militare tra i 18
e i 20 anni e poi, con molta calma, convolavano a giuste nozze. Un dato certo è
che tra i coniugi ci fosse una notevole differenza di età. </span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPS-mpAurJFAEfMsl8gZ-NwaLYrfJxq46nk7xAqB96QPvxZ-xBw9WOfPWyOUE7Z2zjaT_zkUumzNPgjQ-WoV0K74-HrFZOr3H25G3DKRIgs9qpmlT4TgM9WOSbRTexW-v2yRfeGA_SoI8m/s1600/grecia.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="188" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPS-mpAurJFAEfMsl8gZ-NwaLYrfJxq46nk7xAqB96QPvxZ-xBw9WOfPWyOUE7Z2zjaT_zkUumzNPgjQ-WoV0K74-HrFZOr3H25G3DKRIgs9qpmlT4TgM9WOSbRTexW-v2yRfeGA_SoI8m/s200/grecia.jpg" width="200" /></a></span></div>
<span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Appare evidente che
non era previsto un “ fidanzamento” per agevolare la conoscenza tra i futuri
sposi, ma solo un accordo preventivo, orale, alla presenza di testimoni che
fungeva da preludio alla cerimonia vera e propria. La validità dell’accordo
prematrimoniale era garantita dalla sacralità della parola data e dall'onore
che accompagnava le promesse o i giuramenti e dal fatto che nessun cittadino
avrebbe osato contrariare gli dei rinnegando una promessa. Il matrimonio vero e
proprio, dunque, si limitava alla consegna della giovane sposa al marito:
proprio perché lo scopo del matrimonio era la procreazione, esso si
riduceva al trasferimento della sposa dalla sua casa a quella del marito, dove sarebbe stata consumata la prima notte di nozze. I Greci, superstizioni non meno
dei Romani, preferivano sposarsi d’inverno nel mese di gennaio ( <i>Gamelion- </i>mese delle nozze) dedicato
alla dea Era, protettrice dei matrimoni e delle unioni sacre. Il passaggio
della sposa dalla casa paterna alla casa del marito era solo l’atto finale di
un cerimoniale che cominciava il giorno precedente e che prevedeva abbondanti
sacrifici agli dei affinché benedicessero l’unione imminente e proseguiva con un
gesto di sicuro effetto : la promessa sposa donava i suoi giocattoli e tutto
ciò che la legava alla sua infanzia per prepararsi ad entrare, <i>ex abrupto,</i> in una nuova veste sociale. Un altro momento sacro era il bagno della sposa con l’acqua presa alla
fonte Calliroe da un corteo in processione a cui corrispondeva il bagno dello
sposo. Il giorno del matrimonio le
abitazioni degli sposi venivano addobbate con corone di olivo e alloro, mentre
il padre della sposa offriva un banchetto e un sacrificio a cui partecipava la giovane col capo velato, splendidamente vestita e sostenuta dalle amiche
e dalla <i>ninfeutria</i> , una donna che la
guidava nelle procedure del rito del matrimonio. Durante il banchetto uomini e
donne erano separati e tra i cibi non potevano mancare dei dolci al sesamo, simbolo di
fecondità. Quando stava per scendere la sera si preparava un corteo che con le
fiaccole avrebbe accompagnato la sposa nella sua nuova casa: durante questo
percorso gli sposi, che si muovevano su un carro, erano accompagnati con canti,
gli imenei, tipici dei matrimoni. Giunta nella sua nuova casa la sposa era
accolta dai suoceri che la attendevano l’uno coronato di mirto e l’altra con
una torcia, la cospargevano di fichi secchi e noci e completavano l’accoglienza
facendole mangiare una parte dei dolce nuziale fatto di sesamo e miele oppure
una mela o un dattero, tutti cibi considerati assai propizi per augurare la
fertilità alla giovane coppia. Ultimate queste procedure gli sposi si
ritiravano nella camera matrimoniale dove consumavano la prima notte di nozze,
mentre un amico del marito custodiva la porta chiusa e gli altri cantavano a
gran voce gli imenei per tenere lontani gli spiriti cattivi. Il giorno
successivo i genitori della sposa portavano al genero doni e, quasi certamente,
la dote promessa in occasione degli accordi preliminari al matrimonio. Come è facile immaginare, un marito poteva
ripudiare la moglie anche senza un motivo valido, se una donna era stata
riconosciuta adultera, il marito doveva necessariamente ripudiarla o avrebbe
subito l'<i>atimia</i> , ossia il biasimo della
comunità. Causa frequente di ripudio era la sterilità della donna: in questo
caso ripudiarla era quasi un obbligo sociale in quanto questa condizione impediva di
realizzare lo scopo principale del matrimonio che era proprio assicurare continuità alla famiglia. Se era la donna a
chiedere il divorzio le cose cambiavano: costei, in quanto considerata
incapace giuridicamente, doveva
rivolgersi all'arconte con una lettera in cui esponeva i motivi per la
richiesta del divorzio: non era giusta causa di separazione il tradimento del
marito, ovviamente ritenuto “ normale”, ma le percosse potevano rappresentare
una giusto motivo per tale richiesta. Il matrimonio non metteva fine alla dorata
clausura delle donne: anche da sposata la donna, almeno nella famiglie
di una certa classe sociale, continuava a vivere nel gineceo e oltrepassava la
soglia di casa raramente, tuttavia le donne ricche avevano cortili interni che
consentivano loro di restare all'aria aperta lontano da sguardi indiscreti .Le
donne più povere potevano lasciare le proprie abitazioni più spesso, anche
perché si dedicavano a piccoli commerci o traffici di qualche utilità per
collaborare al sostentamento della famiglia. Era possibile uscire, accompagnate
da schiave, per lo shopping oppure per partecipare alle feste religiose che si
trasformavano in ghiotte occasioni per fare incontri interessanti. Le donne perbene non accompagnavano mai i mariti
alle feste o ai banchetti, ma se il banchetto si teneva nella loro casa, potevano
mostrarsi in pubblico solo per controllare il lavoro degli schiavi e vigilare
sull'organizzazione dei domestici, per il resto erano ammesse solo ai banchetti
strettamente familiari.<o:p></o:p></span></div>
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-86071128457279488402013-06-09T15:09:00.000+02:002013-06-09T15:09:06.838+02:00Analisi del testo: " Rosso Malpelo" di Giovanni Verga<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlC2XngTSOCn866S40HJfs16o8kQRmeS01lYm-HvH7fUJa6kNiZednTnRMoi7uEG-JTHeTigeiRiZhllkocfhdoe9olJ5zKRFhiRySolXb-eqmRpSxpK_R6QirkE6LOpnr3nNijWKtAyvw/s1600/VERGA7.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlC2XngTSOCn866S40HJfs16o8kQRmeS01lYm-HvH7fUJa6kNiZednTnRMoi7uEG-JTHeTigeiRiZhllkocfhdoe9olJ5zKRFhiRySolXb-eqmRpSxpK_R6QirkE6LOpnr3nNijWKtAyvw/s320/VERGA7.jpg" width="315" /></a></div>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt;"><br /></span>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt;"><br /></span>
<span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt;"> “ROSSO MALPELO” DI
GIOVANNI VERGA<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt;"><br /></span>
<span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt;">Testo integrale della novella su:</span><br />
<span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt;"><a href="http://www.mediacinema.org/_Italian_119_iWeb/Italian_119_files/Rosso%20Malpelo.pdf" target="_blank">http://www.mediacinema.org/_Italian_119_iWeb/Italian_119_files/Rosso%20Malpelo.pdf</a></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: inherit;">La novella “Rosso Malpelo”, inserita nella
raccolta intitolata “Vita dei Campi” del 1880, è il ritratto di uno dei tanti
giovanissimi che nel secolo scorso lavoravano nelle miniere di zolfo in
Sicilia, come pure nelle cave di pietra o nei campi. La raccolta pubblicata nel
1880 apre la stagione più matura dello scrittore che, dopo un esordio influenzato
dalla cultura milanese e fiorentina alla ricerca di uno stile proprio e di temi
accattivanti, torna a focalizzare la sua attenzione sulla amata Sicilia, nel
tentativo di descriverne la miseria e il degrado. La novella entra a pieno
titolo nel novero dei racconti che vogliono celebrare un ambiente primitivo e
spontaneo, fortemente impregnato di elementi folkloristici, caratterizzato da
gesti istintivi e violenti (si pensi all'assassinio della Lupa ad opera di
Nanni per liberarsi dalla passione bruciante). Malpelo, sin dall'esordio del
racconto, attraverso un dettaglio fisico, viene caratterizzato per il ruolo
negativo che la società gli ha destinato. La focalizzazione interna multipla,
grazie alla quale Verga svela il punto di vista della comunità e che consente
al lettore di calarsi in una realtà sociale fortemente condizionata dal
pregiudizio, dalla superstizione e dall'ignoranza, è una delle tecniche più
utilizzate dall'autore per perseguire quel <i>canone
dell’impersonalità</i> tanto caro ai veristi. Un atteggiamento da
“scienziato” quello di Verga che, lungi
dal voler proporre soluzioni o dal voler sollevare polemiche, si limita a descrivere
la realtà nuda e cruda senza abbellimenti, senza aggiunte o modifiche. Prevalgono sequenze narrative e descrittive, con alcune sequenze riflessive che portano il lettore a lasciarsi travolgere dal racconto. Mancano le sequenze dialogiche per la scelta di affidare al discorso indiretto libero gli scambi di battute tra i personaggi. La
storia di Malpelo è la storia di un giovane condannato dal colore dei capelli
ad essere considerato malvagio non solo dalla società, ma persino dalla sua
famiglia, senza essersi mai macchiato di alcun crimine o misfatto. E’ una
storia di violenza e di soprusi, la vicenda di un adolescente che, senza il
conforto di un qualsivoglia affetto, vive rassegnato la parte assegnatagli dal
destino, sopportando coraggiosamente le violenze della vita, con l’unica
consolazione di potersi rifare sui più deboli secondo la morale che “ l’asino
va picchiato perché non può picchiare”. Tuttavia l'apparente accanimento nei confronti di Ranocchio, un giovane malaticcio arrivato alla cava, non deve indurre in errore: nel primitivo sistema di valori di Malpelo, le sue percosse devono essere da stimolo per il ragazzo che deve imparare a difendersi, a reagire e non deve subire passivamente gli abusi di chiunque. Del resto il tema della rassegnazione
come unica difesa da opporre ad una sorte che, sebbene crudele, non si può
cambiare è ampiamente trattato da Verga. Non si può modificare il proprio
destino, perché chi osa farlo si vede distrutto, umiliato e degradato: niente e
nessuno ha potere sul fato, anzi più si tenta di cambiarlo e più questo
infierisce con violenza e rabbia. L’atteggiamento di Malpelo, l’ostinazione con
cui resiste ai soprusi, l’ansia di verità e di giustizia che manifesta, sono
gli elementi che caratterizzano i “ perdenti”, quelli che la storia ha
collocato ai margini e che non hanno altra scelta. Non c’è giustizia per il
giovane Malpelo che si perderà nei cunicoli bui della miniera, perché la
giustizia è dei ricchi, non dei poveracci che muoiono per il crollo di una
galleria con l’unica colpa di aver tentato di guadagnare qualche soldo in più.
L’uso di una lingua vicina al parlato dei siciliani umili, l’inserzione di
proverbi ed espressioni dialettali, rinviano a quel desiderio di adesione alla
realtà che condiziona il Verismo. Gli
scrittori veristi, tra i quali spicca la figura di Giovanni Verga, prendono le
mosse dal Naturalismo francese, per distanziarsene immediatamente di fronte ad
una realtà sociale fatta da masse inerti e silenziose, incapaci di reagire e di
comprendere il messaggio sociale a loro destinato. La società che emerge da
questa, come dalle altre novelle di Verga, è immobile e arcaica, ostile ad ogni
idea di progresso, legata alle superstizioni e alle tradizioni del passato. La
miseria, il degrado non creano unione, ma si crea un clima di rancore, invidia
e gratuita cattiveria come nel caso di Arcangelo nella novella <i>Don Licciu Papa</i> che non solo è vittima
della prepotenza di un ricco reverendo, ma anche della cattiveria della
comunità che giustifica le sue disgrazie come meritate, volute da Dio, per
essersi opposto ad un uomo di chiesa. Poco importa chi ha torto e chi ha
ragione, perché ciò che conta è solo il ruolo sociale di ciascuno che determina
vinti e vincitori. L’immobilità sociale è la sola via d’uscita: che ognuno
resti al suo posto, che nessuno osi modificare l’ordine prestabilito delle cose
perché l’unico risultato possibile sarebbe il caos. La Sicilia di Verga, che
nasce a Catania nel 1840, è la stessa terra dilaniata, sfruttata e condannata
all'arretratezza della dominazione borbonica, la stessa che si infiamma
all’arrivo di Garibaldi e dei Mille, ma senza che tutti gli strati della
società comprendano il valore di un’operazione politica ambiziosa ed
importante. In fondo per la povera gente è solo un cambio di consegna: dai
Borbone al nuovo re, ma nulla cambierà nelle dinamiche sociali, i poveri
saranno poveri, le donne resteranno intrappolate in un ruolo sociale marginale
per essere considerate “ onorate”, la giustizia continuerà ad essere privilegio
dei ricchi, il desiderio di possedere <i>la
roba </i>renderà ancora più sole e ciniche le persone, <i>rassegnazione</i> sarà ancora la parola chiave dei miserabili che per
trascinarsi in un’esistenza inutile e priva di ogni gioia, devono subire e
sperare solamente che i ricchi abbiano pietà di loro. La visione della vita di
Verga parte dalla considerazione che quanto affermato dallo scienziato Charles
Darwin riguardo alle teorie sviluppate circa l’evoluzione degli esseri viventi,
sia assolutamente applicabile anche alle dinamiche sociali: la vita è dominata
dalla “ legge del più forte” che in un primo momento Verga individua in coloro
che hanno la ricchezza e sembrano onnipotenti rispetto ad un sistema che non si
oppone loro, ma che successivamente va ad investire tutti gli esseri viventi.
La società che Verga descrive è corrotta, basata sull'individualismo, priva di
solidarietà sociale, quasi che le sofferenze di alcuni facciano godere tutti
gli altri, sottomessa al dio denaro, incapace di costruire relazioni affettive
vere e autentiche. E’ una società che non conosce la pietà, la compassione e
che infierisce sui più deboli, perché si sta meglio se si vedono gli altri
soffrire, quasi un modo per sentirsi superiori e più fortunati. Una società
drammaticamente attuale quella descritta da Verga, nella quale si ritrovano
molte delle piaghe della moderna civiltà, sono passati i decenni, ma quel meccanismo
che contrappone i più forti a coloro più indifesi presiede i rapporti sociali
ancora oggi: un mondo fatto per i furbi, per coloro che non si fanno scrupoli,
che non sentono il dolore degli altri, che tirano dritto per la propria strada
non curandosi di chi giace schiacciato da un peso sociale e personale che non
riesce a sopportare. La novella in oggetto ci fa riflettere anche
sull’ importanza del pregiudizio, spesso senza alcun fondamento, che condiziona
i rapporti tra gli esseri umani: Malpelo è vinto dal pregiudizio, tanto da
accettare la parte assegnatagli dal destino e da realizzare le aspettative
della comunità, comportandosi in modo cinico e spavaldo, nascondendo il suo
dolore e la sua solitudine. Malpelo è vittima di quella “ profezia” che si
avvera per coloro che, senza alcuna colpa, si ritrovano etichettati o
intrappolati in ruoli da cui non solo non riescono a liberarsi, ma in cui si
calano quasi fosse giusto così, convincendosi che certi giudizi , forse, sono
davvero fondati. La letteratura, come sempre, è una splendido strumento affatto
anacronistico, ma di una modernità straordinaria che coglie le dinamiche
sociali, affettive e di relazione , analizzandole nella certezza che solo
attraverso la conoscenza e la riflessione l’uomo può essere migliore.</span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-6161466879003906762013-06-07T07:02:00.000+02:002013-06-07T10:30:18.390+02:00Analisi del testo: " Città vecchia" di Umberto Saba<br />
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b><i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></b></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRsQPpe_LZf1PAIDzFdel_pGqPy3lYG_R11zRbW4xb2NXCRveGZPlt9EQ_zyqKswVjfXdmUhEYFFtwts9jzbc40e9i9aoVLjoZZTUmqw0Cckyc4g8q_gwJho7p04Vv51zCfro5GQmy2L6q/s1600/download+(1).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRsQPpe_LZf1PAIDzFdel_pGqPy3lYG_R11zRbW4xb2NXCRveGZPlt9EQ_zyqKswVjfXdmUhEYFFtwts9jzbc40e9i9aoVLjoZZTUmqw0Cckyc4g8q_gwJho7p04Vv51zCfro5GQmy2L6q/s400/download+(1).jpg" width="288" /></a></div>
<b><i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></b>
<b><i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></b>
<span style="font-family: inherit;"><b><i><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Città vecchia</span></i></b><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> di
Umberto Saba<o:p></o:p></span></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Spesso, per ritornare alla mia casa<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">prendo un'oscura via di città vecchia.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Giallo in qualche pozzanghera si specchia<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">qualche fanale, e affollata è la strada.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Qui tra la gente che viene che va<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">dall'osteria alla casa o al lupanare,<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">dove son merci ed uomini il detrito<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">di un gran porto di mare,<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">io ritrovo, passando, l'infinito<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">nell'umiltà.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Qui prostituta e marinaio, il vecchio<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">che bestemmia, la femmina che bega,<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">il dragone che siede alla bottega<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">del friggitore,<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">la tumultuante giovane impazzita<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">d'amore,<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">sono tutte creature della vita<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">e del dolore;<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">s'agita in esse, come in me, il Signore.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Qui degli umili sento in compagnia<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">il mio pensiero farsi<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.5pt; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; vertical-align: baseline;">
<span style="color: #151515; font-family: inherit; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">più puro dove più turpe è la via.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDRXuf4MndcZ36LE_1XFmxoqrkzeI6ICpnTGmdty8RzQ83XWSOWw5y0ZR0mpGjiqx2h_HD7zJAK2tGXXth6tNS_EM8yImN5Rxh0pIiR4n3VyAG9ZZtCw8FcxQgdoo3dspy19NEWC50rt8T/s1600/download.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit;"></span></a><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">I versi appartengono ad una
sezione del <i>Canzoniere </i>che porta il
titolo <i>Trieste e una</i> <i>donna </i>e che
apparve nelle edizioni della <i>Voce</i>:
subito fu chiaro che Saba era diverso, come lui stesso ammise, dai vociani che
boicottarono quel libretto , per reclamizzare <i>Il mio Carso</i> di Scipio Slataper. Il percorso artistico di Saba
appare assai tortuoso proprio per l’impossibilità di incanalare la sua poesia
in una delle correnti letterarie contemporanee: troppo tradizionalista per i
vociani, affatto considerato dai futuristi, non ebbe fortuna neppure presso i
rondeschi del dopoguerra, tanto schizzinosi in fatto di squisitezza artistica
da non poter assolutamente accettare una poesia così realisticamente
compromessa e piena di vistosi puntelli ritmici. L’equivoco attorno a Saba
nacque proprio in rapporto al suo “realismo”, che sembrò un residuo
ottocentesco o al massimo un accostamento agli “oggetti” crepuscolari: quando
in realtà egli offriva, attraverso la fedele registrazione degli oggetti e
delle figure del mondo oggettivo una nuova chiave psicologica ed esistenziale
di lettura della realtà. <i>Città vecchia</i>
ci offre uno squarcio di vita quotidiana di una normale via di Trieste. La
città natia sarà un tema ricorrente in Saba: per lui, come per il conterraneo
Svevo, il “ritardo”, da entrambi denunciato, con cui la letteratura triestina
recepiva le poetiche e le mode già superate dalle nostre avanguardie, fu
determinante. Ma <i>nascere </i>a Trieste
significava ritardo quanto all’atteggiamento specifico in fatto di poetiche, ma
netto anticipo quanto alla sensibilità per le profonde correnti del
rinnovamento europeo. La lettura della lirica è scorrevole e l’impressione che
se ne ricava è di una sconcertante semplicità, ma bisogna fare attenzione
perché l’ingenuità in Saba è solo un modo di collocarsi senza prevenzioni e
senza pregiudizi culturali nel mezzo della condizione umana, segnata da
un’angosciosa solitudine e da un terribile senso di esclusione. Resta
fondamentale, per comprendere le scelte poetiche di Saba, il peso che ebbe la
componente ebraica (di padre “ariano” il suo cognome era Poli, ed egli volle
cambiarlo in Saba che in ebraico significa “pane”): essa alimenta il senso di
solitudine che, per l’ebreo, attinge a ragioni storiche e metafisiche
incomparabilmente più profonde di quelle di qualsiasi altro popolo e poteva
divenire emblematica della condizione dell’uomo contemporaneo. Da un punto di
vista metrico la lirica è caratterizzata da una forte presenza di endecasillabi
alternati a quinari e settenari, mentre mancano figure retoriche come la
sinestesia, l’analogia, il correlativo oggettivo e i procedimenti
fonosimbolici. Il tradizionalismo del poeta triestino non è un residuato di
poetiche superate, ma qualcosa di consapevole e voluto: la sua poesia di cose,
infatti, comporta da un lato la presenza di un lessico e di una sintassi “
normali”, dall’altro, l’uso del metro, della rima, del ritmo e di tutte le
altre risorse canoniche della poesia ai fini dell’intonazione lirica di una
materia in sé prosastica. Tutta la poesia di Saba è una lotta per innalzare a misura
di canto una nuda cronaca esistenziale: le “bruttezze” prosastiche, la
devozione al metro e alla rima, la volontà di chiarezza a tutti i costi, la
disarmante ingenuità di certe soluzioni lessicali e sintattiche, tutto
obbedisce alla volontà di “fare poesia onesta”, cioè di aderire con estremo
scrupolo al dettato delle cose. Vanno, tuttavia, segnalate per quanto concerne
la prima strofa, l’anadiplosi( vv 3-4 qualche…/qualche), l’iperbato( vv 3-4
giallo…/…fanale) e l’inversione( v 4 affollata è la strada): solo figure
sintattiche per fare in modo che i termini occupino un posto importante
rispetto al valore che si portano dietro. La seconda strofa ci offre un
carosello di figure umili, colte nella loro semplice e normale quotidianità: il
via vai fra il l’osteria e il “lupanare”, gli uomini e le merci che, nella
febbrile attività del porto, sono assimilati alla stessa condizione di scorie o
rifiuti, una prostituta, un marinaio, un vecchio che bestemmia, una donna che
bisticcia, un soldato che chiacchiera seduto davanti ad una bottega ed una
giovinetta” impazzita d’amore”. La scelta del ceto popolare come luogo deputato
di una fenomenologia esistenziale ricca di rivelazioni e strettamente legata
alla ricerca dell’autentico e dell’istintivo: la vita rivela se stessa nell’elementarità
non contaminata dalle sue pulsioni proprio là dove non esistono schermi
culturali capaci di mascherarla o idealizzarla. E la vita è, nella sua essenza,
nient’altro che il ritmo scandito dagli
eventi grandi e semplicissimi del nascere, dell’amare e del morire. La donna è,
in questa lirica, rappresentata da una prostituta e da una giovinetta “
tumultuante…impazzita d’amore”: essa è mediatrice per eccellenza di umanità e
natura, si assume, nella poesia sabiana, le maggiori responsabilità nella
costante riduzione al naturale-istintivo. La donna è l’epicentro dell’Eros che,
in un universo di naturalizzazione dell’umano, rappresenta la forza portante di
tutto il “Canzoniere”. </span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJbZsCCYvK9GI7v_1Wrhgu5IMDE0CEqkedAm9l-r9jlMhLhPsnga6-jQblDzNzWi9VZR2p8BXUhZvIHMzBtDOhOMwMIUvb6YTojkn4C1K5nfWyudli7k4I3vhpr-C6y9ICLqrxFWvbiOCc/s1600/download.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJbZsCCYvK9GI7v_1Wrhgu5IMDE0CEqkedAm9l-r9jlMhLhPsnga6-jQblDzNzWi9VZR2p8BXUhZvIHMzBtDOhOMwMIUvb6YTojkn4C1K5nfWyudli7k4I3vhpr-C6y9ICLqrxFWvbiOCc/s1600/download.jpg" /></a></div>
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">Il senso di solitudine, desolazione e angoscia emerge da
questa descrizione rapida e incisiva, da questa figura che rimane nella mente
del lettore dell’uomo-rifiuto. Ma il poeta non è animato, davanti ad un simile
spettacolo, da un vago sentimento populistico perché egli non si china
paternalisticamente su quel mondo, non discende da un olimpo letterario su di
esso, ma ci vive dentro e lo sente come un mondo popolato da creature simili a
lui. Questo atteggiamento di <i>com-passione</i>
deriva dal fatto che Saba ha fatto della poesia uno strumento di consolazione,
vi ha pensato come al luogo della sublimazione del dolore, alla risorsa di vita
e di canto contro la stretta dell’angoscia, adeguando di conseguenza l’istinto
di confessione lirica alle istituzioni più o meno canoniche della poesia,
riconosciute in un certo senso come struttura categoriale permanente, qualcosa
di esistente in concreto nella sua radiante e suggestiva specificità. Si
capisce, dunque, che il poeta triestino mantiene intatto il linguaggio perché mantiene
intatto il mondo. Egli continua a credere che il mondo esista perché ha bisogno
di trovare consolazione, rifugio, protezione in mezzo alle care e consuete cose
di sempre che formano il suo habitat irrinunciabile. La lirica è percorsa da un
delicato senso di nostalgia, che è il sentimento che il poeta prova rispetto
all’esistenza delle cose: la sua condizione di escluso, incapace di intrattenere
con la vita rapporti di diretta e semplice simbiosi, si traduce in un patetico
desiderio di ricomposizione del dissidio in termini di sentimentalità diffusa,
di “ bontà” e amore offerti come contropartita di una possibile partecipazione
alle gioie della convivenza. E’ inutile, forse, ricordare come l’abbandono
della famiglia da parte del padre prima ancora che il poeta nascesse, l’allontanamento
traumatico della balia amatissima quando aveva due o tre anni, la vita accanto
alla madre rigida e risentita, influirono sul temperamento sensibilissimo del
bambino nel senso di un incolmabile bisogno di affetto. Ma la carenza affettiva
serve a spiegare l’amore per quella singolare istituzione , che promette
consolazione, dolcezza, smemoramento e fama, che è la poesia, nella quale è
possibile “trovare le necessarie dolcezze del grembo materno”, al di là delle
delusioni inflittegli dalla madre vera. Tutti i
personaggi menzionati nella seconda strofa, così diversi e così presi
ognuno dal proprio ruolo, hanno in comune di essere creature della vita e ,
soprattutto, del dolore. Un dolore che nasce dalla angosciata consapevolezza
dell’irrimediabile <i>male di vivere.</i>
Non c’è nulla che valga a compensare l’inesauribile <i>malum mundi</i> ed i rimedi sono sempre difese precarie e fragilissime
che non possono in alcun modo garantire contro le insorgenze angosciose della
consapevolezza. In Saba l’esistere, nel suo concreto <i> hic et nunc,</i> domina sull’essere
e anzi l’essere è completamente risolto nell’esistenzialità: di qui l’abbandono
completo alle cose e il trasalimento angosciato per la loro radicale inconsistenza
e l’amore come segno di una partecipazione assoluta. In questo contesto gli
animali diventano addirittura un modello di riferimento per quella che potremmo
chiamare la “ conversione” dalla cultura alla natura, in una semplificazione
che, lungi dal costituire un impoverimento, rappresenta il modo più
diretto per collocarsi al centro di
quell’unico, disperato e gioioso valore che è la vita. L’ultima terzina ci
invita ancora a riflettere ( si noti l’inversione al v 20) su quanto l’umiltà
possa indurre lo spirito ad elevarsi e proprio in virtù di questa “ riduzione”
alla più semplice esistenzialità prendono estremo rilievo, nella poesia di Saba,
gli elementi ambientali, con quel centro affettivo che sempre ritorna che è
Trieste: è naturale, infatti, che come l’animale è inseparabile dal suo
habitat, così il personaggio, così psicologicamente poco diversificato, trovi
collocazione esatta nell’ambiente che lo esprime e di cui è espressione. Senza contare che i luoghi, e dunque Trieste
soprattutto, rappresentano la “tana”, il rifugio da cui dolorosamente ci si
allontana e a cui si ritorna con l’ansia del “perseguitato”. E’ per questa
angolatura interpretativa carica di desolata sapienza del dolore che i
frequentissimi “paesaggi” sabiani sfuggono, pur rimanendo realisticamente
riconoscibili, ad ogni pericolo di descrizionismo impressionistico: i luoghi,
anche appena nominati e ridotti ad una spoglia nomenclatura, vibrano di questa
sapienza che li investe, facendoli rivelazione di un <i>amor vitae</i> tanto più assoluto quanto più immerso nella
consapevolezza dell’inesorabile morte. Non c’è bisogno del fatto grande per
avere conferme all’antica persuasione della bellezza e tragicità del vivere: ce
n’è tanto poco bisogno che a Saba basta spesso nominare un semplice oggetto,
leggere un dato ovvio dell’esistenza per suscitare riscontri sapienziali.</span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-70205091580067930622013-06-05T21:17:00.000+02:002013-06-07T10:35:25.101+02:00"IL CORPO DELLE DONNE" documentario<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/EBcLjf4tD4E?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">" Il corpo delle donne" è un documentario straziante e umiliante per qualsiasi donna che conservi un minimo di amor proprio e di
dignità. Dopo tante battaglie per la parità dei sessi, per affermare che non
siamo solo corpo, ma che siamo intelligenza, spirito e sentimenti prendiamo
coscienza che il modo in cui ci lasciamo rappresentare dai mass media è, a dir
poco, offensivo e lesivo della nostra dignità. Non voglio fare un discorso moralista o il solito predicozzo,
ma certo voglio riflettere sulla necessità di recuperare noi stesse e la nostra
essenza. Il nostro corpo è un dono speciale, un patrimonio che dobbiamo
amministrare con cura e rispetto. Non dico , certo, alle donne di negare la
loro sessualità o la loro femminilità, ma mi piacerebbe che non limitassimo la
comunicazione al linguaggio del corpo. Il documentario è impietoso e non lascia
dubbi circa la leggerezza e la superficialità di tante, troppe donne che si
sottomettono ai meccanismi televisivi per garantirsi un elevato tenore di vita
e poco importa se a rimetterci è la reputazione o l'orgoglio! Abbiamo davvero bisogno di essere desiderate
da uomini bavosi e che non riescono a tenere gli occhi al di sopra del nostro
décolleté, o sogniamo ancora un uomo che
ci ami, ci apprezzi per quello che abbiamo nella testa e nel cuore, con il
quale oltre a fare l’amore possiamo ridere, parlare, andare al cinema, crescere
i nostri figli e invecchiare tenendoci per mano? E’ un nostro diritto essere
femminili, sentirci belle e desiderate, ma proporsi come una bancarella con la
mercanzia tutta in bella mostra, è tutta un’altra storia! </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIK7FRNnoaKBMfariBS5ub9vM5QT4aJqeK5GSWbYLcNpEQh53onne6CfNcIN5GwH_EU9tGhV14f9PYdSjIgOOxXI9NViwBjau5nQcut8HBPblrEBrtNAcn9nX7Qh2aEUHFJZ_8gzOwLIV6/s1600/donna-oggetto.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit;"><img border="0" height="193" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIK7FRNnoaKBMfariBS5ub9vM5QT4aJqeK5GSWbYLcNpEQh53onne6CfNcIN5GwH_EU9tGhV14f9PYdSjIgOOxXI9NViwBjau5nQcut8HBPblrEBrtNAcn9nX7Qh2aEUHFJZ_8gzOwLIV6/s200/donna-oggetto.jpg" width="200" /></span></a><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Questo documentario,
che si limita a proporre immagini che quotidianamente passano sotto i nostri
sguardi distratti e superficiali, ci obbliga a riflettere sul fatto che abbiamo
perso la nostra identità, che a furia di vederci rappresentate come
tette e culi, ci siamo dimenticate di noi, abbiamo perso il senso profondo
dell’essere donna. Donne svestite, mute, sempre accondiscendenti, oche giulive
in un tripudio di doppi sensi e di uomini con gli ormoni impazziti, questo è il
ritratto che emerge e che svilisce la donna. Non protagoniste, ma cornice,
suppellettile, decoro, come una tenda, come un vaso , …“come una grechina di
quelle che le maestre fanno disegnare ai bambini sul quaderno per rendere
colorate le pagine”. La vera tragedia, però, sta nella drammatica constatazione
che pensiamo a noi stesse come gli uomini, che ormai sempre più spesso siamo preoccupate di quanti ci
guarderanno o di quanti anni in meno riusciremo a dimostrare con un opportuno
ritocchino. Dove sono finite le donne uniche e irripetibili? Vediamo sempre più spesso donne nascoste
dietro facce di plastica, inespressive,
tutte uguali e prive, ormai, della capacità di raccontare con gli occhi, che
non sono più lo specchio dell’anima, ma la firma del chirurgo plastico. Abbiamo
venduto la nostra anima agli uomini, ci siamo vendute a saldo a quegli stessi che
abbiamo combattuto, ai quali volevamo dimostrare di essere non solo corpo, non
solo oggetto di desiderio, ma testa, intelligenza, intraprendenza, abbiamo ,
alla fine, capitolato e siamo quello che la società maschilista e sessista ha
sempre voluto: un corpo senza anima.Una donna che abbia un briciolo di dignità
non può scegliere di usare il proprio corpo per fare soldi, perché non c’è nessuna differenza tra una prostituta che vende
sesso per strada e una donna che scientemente investe solo sul suo corpo e, in nome del dio denaro, rinnega la
propria dignità. La nostra emancipazione si riduce a mostrare il nostro corpo
senza pudore, a pensare proprio come quegli uomini che volevamo educare al
rispetto del nostro essere persone, prima che macchine generate per il loro piacere. Stiamo rincorrendo il mito delle fatalone, delle donne che per conquistare un uomo scelgono di allettare solo i suoi sensi, non il suo cuore e tanto meno la sua testa. Rincorrendo questi modelli ci siamo dimenticate di noi, di quello che desideriamo, di quello che ci rappresenta, di quello che vogliamo davvero. Siamo costrette a misurarci con dei modelli inarrivabili in quanto non dono della natura, ma frutto di un'accurata operazione di chirurgia estetica che omologa i nostri corpi, ci priva di quei tratti distintivi che ci rendono riconoscibili e uniche: zigomi alti, labbra a canotto, non una ruga, un seno prosperoso, uno sguardo ammiccante e sensuale, tutte tristemente uguali.Abbiamo perso la dimensione bellissima di essere persone uniche e straordinarie, abbiamo paura di guardarci allo specchio e di non vedere una bellissima e perfettissima donna desiderata e desiderabile, non per le eccelse qualità morali, o per le indiscusse competenze né per lo straordinario carattere o per i valori che esprimiamo. Temiamo talmente tanto di non essere abbastanza piacenti e attraenti, che decidiamo di indossare una maschera, negando o eludendo ciò che siamo, ma cercando di diventare ciò che gli altri vogliono o si aspettano. Super donne, perfette, impeccabili, eternamente giovani, in competizione con le nostre figlie, le nostre nipoti, con le giovani donne che dovremmo educare al rispetto di sé e del proprio universo e che , talvolta, guardiamo astiose e livide. Non possiamo differire oltre la decisione di riappropriarci di noi stesse, delle nostre imperfezioni, del nostro corpo che se non deve essere negato, non deve diventare neppure unico interlocutore di una cultura che sta frustrando le nostre aspirazioni, sta cancellando i nostri sogni e ci sta privando di tutti quei valori che abbiamo conquistato a fatica e pagando , spesso, un prezzo troppo alto. </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-16288740438075787882013-06-02T21:28:00.000+02:002013-06-07T10:30:44.185+02:00Analisi del testo: " L'isola" di Giuseppe Ungaretti <div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6HKAaln3rBCXyFDRGfq435brz7TRbYYN3bY8gJt-W3VDE2xRqTQUWFb28gUOELqnBm1O6ohb8GhkHbGnpxv0M0Pa7vPbVTHeX-E0yKfcatt6MvhZXl95cs66wgtxL4syuBY4XS-eAGuxh/s1600/images.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="390" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6HKAaln3rBCXyFDRGfq435brz7TRbYYN3bY8gJt-W3VDE2xRqTQUWFb28gUOELqnBm1O6ohb8GhkHbGnpxv0M0Pa7vPbVTHeX-E0yKfcatt6MvhZXl95cs66wgtxL4syuBY4XS-eAGuxh/s400/images.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<span style="font-family: inherit;"><b><i><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; font-size: 13.5pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><br /></span></i></b></span>
<span style="font-family: inherit;"><b><i><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; font-size: 13.5pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">L’ISOLA </span></i></b></span></div>
<div align="center">
<br />
<br />
<table border="0" cellpadding="0" cellspacing="0" class="MsoNormalTable">
<tbody>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">1</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 10.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">A una proda ove sera era perenne</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Di anziane selve assorte, scese,</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">E s’inoltrò</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">E lo richiamò rumore di penne</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">5</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 10.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Ch’erasi sciolto dallo stridulo</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Batticuore dell’acqua torrida,</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">E una larva (languiva</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">E rifioriva) vide;</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Ritornato a salire vide</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">10</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 10.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Ch’era una ninfa e dormiva</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Ritta abbracciata ad un olmo.</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">In sé da simulacro a fiamma vera</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Errando, giunse a un prato ove</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
</tbody></table>
</div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div align="center">
<table border="0" cellpadding="0" cellspacing="0" class="MsoNormalTable" style="mso-cellspacing: 0cm; mso-padding-alt: 0cm 0cm 0cm 0cm; mso-yfti-tbllook: 1184; width: 356px;">
<tbody>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">L’ombra negli occhi s’addensava</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">15</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 10.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Delle vergini come</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Sera appiè degli ulivi;</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Distillavano i rami</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Una pioggia pigra di dardi,</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Qua pecore s’erano appisolate</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">20</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 10.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Sotto il liscio tepore,</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Altre brucavano</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">La coltre luminosa;</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Le mani del pastore erano un vetro</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
<tr>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 31.5pt;" valign="top" width="42"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</td>
<td style="padding: 0cm 0cm 0cm 0cm; width: 236.25pt;" valign="top" width="315"><div class="MsoNormal">
<span style="font-family: inherit;"><b><span style="font-family: "Century Gothic","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Levigato da fioca febbre.</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></span></div>
</td>
</tr>
</tbody></table>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i style="font-family: inherit;">L’Isola</i><span style="font-family: inherit;"> è una lirica inserita nella seconda
raccolta di versi di Ungaretti, </span><i style="font-family: inherit;">Sentimento del tempo</i><span style="font-family: inherit;"> che racchiude i
componimenti scritti fra il 1919 e il 1933 (anno in cui fu pubblicata) e che
segna un cambiamento dal paesaggio desertico dell’Egitto e del Carso,
caratteristici de “ L’Allegria”, al paesaggio laziale. Essa risulta un notevole
esempio di poesia onirica e mitologica predominante nella seconda fase poetica
ungarettiana. Questa seconda raccolta è percorsa da un ritorno deciso e
consapevole alla tradizione culturale italiana sia per lo stile che per il
metro. L’endecasillabo si sostituisce, ora, al verso spezzato e affannoso fino
ad allora usato. Si avverte, comunque, anche il recupero e la meditazione di
antiche letture, di Petrarca, di Leopardi e soprattutto di Tasso al punto che
si è potuto parlare, per questa seconda raccolta, di ispirazione barocca, dove
con “ barocco” il poeta intende, come lui stesso ha spiegato, la situazione
spirituale di una catastrofe sentita come immanente, di un tempo che corre
verso la propria fine. In questa prospettiva vanno letti i versi del </span><i style="font-family: inherit;">Sentimento
del tempo</i><span style="font-family: inherit;"> che rappresentano un acuirsi della crisi ungarettiana, del suo
farsi angosciato di fronte alla sensazione costante di </span><i style="font-family: inherit;"> vuoto,</i><span style="font-family: inherit;"> tanto più tormentata,
in quanto si scopre, ora, al di sotto di un gioioso spettacolo di cieli azzurri,
di boschi, di acque e di tramonti luminosi. Lo stesso Ungaretti ha diviso in
tre fasi l’ispirazione del </span><i style="font-family: inherit;"> Sentimento del tempo</i><span style="font-family: inherit;">: la prima è scandita
dalla ricerca del tempo nel paesaggio come profondità storica; la seconda è
segnata dalla sensazione di una civiltà minacciata di morte che lo induce alla
meditazione sul destino dell’uomo e a sentire il tempo come effimero in relazione con l’eterno; la terza ed ultima ha
per titolo </span><i style="font-family: inherit;">L’amore </i><span style="font-family: inherit;">e in essa il poeta prende coscienza dell’invecchiamento e
del morire della sua stessa carne. Il bisogno di ordine, di sublimazione, di
purezza lessicale e di ritmo, sono avvertibili fin dalla prima raccolta,
apparentemente tanto eversiva nei confronti delle istituzioni liriche
riconosciute. Il ritorno ai metri classici, endecasillabo e settenario
soprattutto, considerati connaturati alla nostra stessa lingua, non è </span><i style="font-family: inherit;">ex abrupto</i><span style="font-family: inherit;">: i critici, infatti, non
hanno faticato molto a rintracciare la misura endecasillabica nel giro dei
versicoli della prima raccolta. Il </span><i style="font-family: inherit;">Sentimento</i><span style="font-family: inherit;">
non è riconducibile ad un'unica cifra in quanto accoglie filoni tematici
diversi, da quello mitico, a quello onirico, a quello esistenziale. Proprio
dalle parole fiorisce l’isola incantata “ ove sera era perenne” e una ninfa
dorme “ ritta abbracciata ad un olivo”, luogo degli incantesimi e delle magiche
metamorfosi, puro mondo verbale edificato dalle libertà analogiche. Che l’aspirazione di Ungaretti all’assoluto,
pur nella indubitabile presenza di profonde e ben moderne inquietudini,
risponda ad un sogno umanistico di organizzazione del mondo e di costruzione di
un modello eccellente di vita equilibrata e serena, può essere provato anche
dal mito centrale del </span><i style="font-family: inherit;">Sentimento</i><span style="font-family: inherit;">,
quello del “ paese innocente” appunto, che si configura come Eden: una moderna
Arcadia, in cui le inquietudini, anziché spingere verso terre ignote, si
placano o trovano conforto nell’immaginazione di una terra unica esistente in
qualche luogo della memoria e dell’immaginazione. Nella costruzione verbale
dell’Eden, la parola-tema è </span><i><span style="font-family: inherit;">luce</span></i><span style="font-family: inherit;"> con
tutte quelle appartenenti alla stessa area semantica: la prospettiva è quella
del miraggio, una costruzione mirabile operata dalla luce del sole sul deserto.
Il titolo della lirica, come lo stesso Ungaretti ha spiegato, nasce dalla
riflessione dell’isola come un posto in cui è possibile estraniarsi, restare
soli non tanto perché essa è un posto fisicamente separato dal resto del mondo,
ma perché è l’animo disposto a tale solitudine. A livello metrico, la lirica
presenta una pregiata varietà che vede usati in prevalenza settenari, seguiti
da novenari- due dei quali, ai vv 5-6, sono sdruccioli - e gli endecasillabi. L’</span><i style="font-family: inherit;">incipit </i><span style="font-family: inherit;">della lirica ci proietta su
questa riva in attesa di sapere cosa si presenterà ai nostri occhi e si carica
di una pregiata pregnanza fonosimbolica. L’atmosfera quieta e dimessa è creata
dalla fitta presenza della vocale /e/, dall’accorta paronomasia che sembra
creare un effetto di prolungamento dell’ombra nel luogo, ma anche dall’
iperbato che tiene sospeso il lettore in attesa di sapere chi sia il soggetto
della lirica e infine l’enjambement che contribuisce a dilatare il tempo e il luogo
creando un’accorta sospensione. Il “ clima di restaurazione” si respira sin dal
primo verso grazie al classicheggiante “proda”, all’uso delle sinalefi, mentre
la parola-chiave “sera” ci introduce nella condizione onirica caratteristica
della lirica. L’ insistenza sulla condizione di penombra è magistralmente resa
dall’ allitterazione sERa ERa fERma ed è impreziosita dalla determinazione
della vetustà degli alberi (anziane selve v 2) che con i loro rami frondosi non
lasciano penetrare la luce (si noti l’uso poetico del funzionale “di” per il
complemento di causa efficiente). Il poeta compare al v. 2 e parla di sé in
terza persona. Il v.3 introduce un cambiamento di situazione scandito non solo dal lapidario quinario, ma
anche dalla tessitura fonica del verbo che, con la prepotente presenza della “o”
rimanda ad una condizione di oscurità e di ansia, estranea ai primi versi. L’atmosfera
cupa è rotta dal frullare della ali di un uccello che si leva in volo e che agita
l’acqua del lago riscaldata dal sole. Il fitto intreccio di analogia, metonimia
e allitterazione conferisce ai versi una forte pregnanza fonosimbolica che va
oltre il primo e immediato significato, Il v.3 insiste con l’allitterazione
della /r/ (“richiamò rumore”) e l’onomatopeico sostantivo su un cambiamento di
atmosfera rafforzato dall’assonanza che lega, per contrasto, “rumore” al v.3
con “assorta” al v.2, ma anche “scese” al v.2 e “penne” al v.4 ( con una
particolare attenzione al movimento di salita e discesa). L’insistenza sull’intreccio
fonosimbolico non si esaurisce al v.4, ma prosegue al v.5 con l’allitterazione
della sibilante (ch’ eraSi Sciolto…Stridulo) e si conclude al v.6 con l’insistenza
sulla doppia consonante (baTTicuore…toRRida) e sulle consonanti /t/ /d/ ed /r/
tutte unite per esprimere durezza e per indicare qualcosa di sonoro. Non è solo
il rumore ad attirare l’attenzione del poeta, poiché egli scrive che “vide” una
larva di insetto che, ridotto ad un vita immobile e vegetativa “languiva” e dal
vecchio corpo dell’insetto si riformava un nuovo corpo (“rifioriva”): la rima
interna dei vv 7-8 lega indissolubilmente i due verbi e sembra far riferimento
ai due momenti imprescindibili dell’esistenza che si riassumono nella vita e
nella morte. Alcuni studiosi hanno proposto di vedere nella larva una metafora
della condizione del poeta: il testo è volutamente ambiguo dal momento che i
due verbi fra parentesi sono impersonali. I vv 7-8, al di là del fatto che si
voglia dare alla larva un valore simbolico, richiamano il ricorrente tema della
caducità del tempo, della relatività della condizione umana e, soprattutto,
della morte che non è più vissuta come una rottura traumatica come il pauroso
retaggio dell’esistere, bensì come un possibile varco verso le regioni dell’assoluto
in linea con l’adesione del poeta al realismo cattolico circa la fede positiva
nell’ Aldilà. Gli ultimi due versi della prima strofa segnano un nuovo cambio
di atmosfera, annunciato dalla fitta presenza della /a/ e dall’apparizione,
impreziosita e marcata metricamente dagli unici due ottonari di tutta la lirica
, di una ninfa. La struttura della prima strofa è un magnifico intreccio di
figure di significato, di richiami fonosimbolici, di ricercatezza metrica e di
figure di sintassi (si pensi alla reiterata anafora ai vv 3-4; 7-8 o alla medesima
chiusa dei vv 7-9)che creano un effetto di voluta monotonia, di musica “
perenne”, di scena sospesa e onirica. La seconda strofa, come la prima, si apre
con un solenne endecasillabo e introduce una nuova fase della “ visione “ del
poeta. Intanto bisogna considerare l’ossimorico legame tra il “ simulacro”
della ninfa e il riaffiorare, nel poeta, di una passione, di un turbamento
erotico che è tanto più credibile in quanto sottolineato dall’aggettivo </span><i style="font-family: inherit;">vera </i><span style="font-family: inherit;">a chiudere il verso. Significativo
risulta il valore del verbo “ errando” che può indicare sia il girovagare nel
bosco, sia può essere un riferimento al dubbio sulla fallacità della sua
visione, o anche un insistenza sul valore onirico di tutta la lirica. Una
dimensione, quest’ultima, che ricompare nei versi successivi in cui le ninfe
diventano un “ ombra” che si addensa negli occhi del poeta: la strofa è
caratterizzata da un insistente rimando all’area semantica del buio non solo
con “ simulacro” al v. 12 ma anche con “ombra” al v. 14 e “sera” al v.16.( ove
il sostantivo è di nuovo usato metaforicamente per ombra, come al v. 1). I primi
cinque versi della strofa sono coordinati per asindeto, ben serrati dall’enjambement
e dalle sinalefe e, infine, dall’iperbato che intercorre tra “ombra” al v.14 e
il complemento di specificazione al v.15 posti entrambi, poi, a inizio del
verso. Il quadro che sinora si è delineato del tipico paesaggio arcadico con il
bosco, il lago e le ninfe si completa con la descrizione delle pecore che appisolate
si godono la tiepida ombra di un ulivo. Il v.18 è impreziosito dal francesismo “dardi”,
ma anche dall’analogia e dalla </span><i style="font-family: inherit;">iunctura</i><span style="font-family: inherit;">
allitterante che lega Pioggia Pigra e pigRa Di DaRDi che benm esprime la
funzione di scudo che svolgono le foglie dell’albero rispetto ai raggi del
sole. La quiete e la tranquillità degli animali, come è ricorrente in questa
lirica, è scandita dal suono aperto e dilatato della /a/ e dalla reiterata
allitterazione Pecore…aPPisolate che comunica al lettore tutto il senso di pace
che domina il paesaggio e di un atmosfera di dolcezza e sensuale mollezza. A
questo punto l’aggettivo “luminosa” al v. 22 arriva quasi a dilatare la
condizione onirica e a a riprendere l’eterno contrasto vita/morte, effimero/
eterno e forse riporta il tono della lirica ad una tematica fondamentale: il
tempo. L’evasione in questo mondo non è rimpianto nostalgico o accettazione
incondizionata: è un Eden che accoglie l’uomo Ungaretti , e l’uomo in generale,
con tutte le sue inquietudini e il suo bisogno di risposte e di serenità. La
strofa ha una chiusa preziosa per l’anafora di /l/ più vocale e con il
riaffiorare di una presenza umana: le mani del pastore sono analogicamente
rappresentate come un vetro/ levigato da un tiepido tepore ( il nesso è
rafforzato dall’enjambement) in cui prevale il campo semantico del tema “ luce”
e in cui la chiusa allitterante “ Fioca Febbre” potrebbe essere il conclusivo
riferimento a quel brivido di passione che è scaturito dalla visione della
ninfa o può indicare solamente la volontà di pareggiare tutti gli scarti
metaforici, di “ levigare “ tutti i blocchi figurandoli in un pregevolissimo
succedersi di echi fonici.</span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><o:p></o:p></span></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-76110368125754337372013-05-31T12:49:00.000+02:002013-06-07T10:35:12.612+02:00L' AMORE CHE UCCIDE: la violenza contro le donne.<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-family: Courier New, Courier, monospace; font-size: 20.0pt; line-height: 115%;"><i><b>L' AMORE CHE UCCIDE</b></i><o:p></o:p></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 20.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqEStyi3nzjPCPTgg4ZshSM5i91kuwcKWxN4MqPob95DGtImwnLZ0l2s-xpXLkoB4yagNdv1UxPYpkdd3x4K8an50Xnp2Rgqi4SsGzxbyRVWi_9PvhZxhuRgPsd0Clb1NiE9F-pvBVDCTN/s1600/donne-di-sabbia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqEStyi3nzjPCPTgg4ZshSM5i91kuwcKWxN4MqPob95DGtImwnLZ0l2s-xpXLkoB4yagNdv1UxPYpkdd3x4K8an50Xnp2Rgqi4SsGzxbyRVWi_9PvhZxhuRgPsd0Clb1NiE9F-pvBVDCTN/s640/donne-di-sabbia.jpg" width="552" /></a></div>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 20.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhp1ROBHGDD9NB81WRL3KE7uUVRBNqGzZzEVbk8smBzalFmLkb1l8UI3Xuve0dlBzKPVKI9vXyco08a0RIG88HJRxREZm4sUs5a4pRnwQMHMm8JyzB2YXktcqbsJ5nw-ind26VaPM491Zx2/s1600/vdonne.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="211" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhp1ROBHGDD9NB81WRL3KE7uUVRBNqGzZzEVbk8smBzalFmLkb1l8UI3Xuve0dlBzKPVKI9vXyco08a0RIG88HJRxREZm4sUs5a4pRnwQMHMm8JyzB2YXktcqbsJ5nw-ind26VaPM491Zx2/s320/vdonne.jpg" width="320" /></a><span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Carolina e Fabiana sono solo
le ultime vittime dell’ennesimo efferato episodio di violenza. Due storie diverse, due
giovanissime diverse, due regioni italiane diverse, eppure due vittime della
stessa violenza cieca, figlia di una mentalità maschilista e amorale.Viviamo in una società iper tecnologica, ipad, iphone, smartphone, connessioni velocissime,
e-book, passeggiamo persino nello
spazio, ma siamo rimasti primitivi nei sentimenti e non abbiamo curato, con lo
stesso impegno, l'evoluzione della nostra anima. La nostra società è ormai
talmente incapace di educare e trasmettere valori che autorizza un gruppo di
ragazzini a catturare </span><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">“tecnologicamente” un momento di debolezza di una
bambina per farne un’arma letale: le immagini di Carolina immesse in questa
incontrollabile e impietosa rete, diventano il suo incubo, la sua umiliazione,
la sua vergogna e, infine, la sua morte. E ci ritroviamo a chiederci per quale motivo i
nostri figli, i nostri nipoti, gli uomini del nostro tempo non sanno proprio
rispettare l’identità, la sensibilità e la personalità delle donne, perché in
un attimo finiamo vittime di una gogna mediatica che non perdona, ti fagocita e
ti consuma fino ad ucciderti. Anche Fabiana è la giovanissima vittima di un
ragazzo adolescente, che confessa l’efferato crimine con un tale distacco da
lasciare costernati persino gli inquirenti. Un rifiuto si può pagare con la
vita? Qual è il senso del progresso, dei traguardi impensabili che l’uomo ha
raggiunto, se nel 2013 stiamo ancora parlando di donne che muoiono per mano di
uomini malati? Non siamo una società civile se i nostri figli, i nostri
fratelli, i nostri mariti, i nostri compagni non sono in grado di accettare un
“no”, se troppi uomini non ci
riconoscono come </span><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">persone</span><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> e presumono di poter prendere con la forza ciò che
ritengono sia di loro proprietà. Non stiamo parlando di donne-oggetto, perché
un oggetto acquistato con sacrificio si cura e si preserva, stiamo parlando dell’invisibilità delle donne,
dell’immaterialità che autorizza ogni crimine, ogni scelleratezza, ogni
infamia. Abbiamo condotto lotte per ottenere un adeguato riconoscimento
sociale, abbiamo lottato per il voto, per il lavoro, per difendere il nostro diritto alla maternità, ma
forse, non abbiamo adeguatamente riflettuto sulla necessità che tutte queste
conquiste dovevano passare attraverso un grande e rivoluzionario cambiamento
culturale! Ciò che abbiamo ottenuto è solo facciata, solo fumo se ancora gli
uomini ci ammazzano quando non li amiamo più, se ci violentano nel corpo e nell'anima per sottomettere la nostra volontà. Ora ci dobbiamo fermare, perché
è davvero evidente che c’è un problema grande da affrontare e risolvere, è un
problema di educazione ai sentimenti, è un problema culturale e di valori fondamentali da recuperare.
Riflettiamo su un dato semplice: la follia di questi uomini esplode di fronte
al rifiuto, i nostri uomini non sanno gestire la possibilità che una donna non
sia accondiscendente, che gli neghi ciò che chiedono. Cercando di dare risposte ai
mille interrogativi che mi angosciano come madre, ma anche come insegnante, oltre che come donna, mi
sono ricordata che qualche anno fa è uscito un saggio “ </span><i style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">I no che aiutano a crescere</i><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; line-height: 115%;">” di Asha Phillips in cui si sosteneva
l’importanza della prassi del rifiuto
nel rapporto genitori-figli come strategia per delineare quei limiti necessari
ad uno sviluppo armonico della personalità infantile ed evitare un ego
autocentrato e onnipotente. Forse la risposta è drammaticamente semplice, forse
spiegare questa spirale di assurda violenza e cieca follia è troppo facile: abbiamo
fallito, educhiamo i nostri figli con superficialità, distrazione e poco amore,
non abbiamo tempo per dire no, concediamo, riempiamo i loro vuoti affettivi ed
emotivi con la tecnologia, assecondando ogni richiesta, anche quelle più
improbabili, più inutili fino a fargli perdere il giusto rapporto con la realtà
e poi con la vita stessa. I nostri figli non sanno, perché non glielo abbiamo
insegnato, che non è possibile ottenere sempre ciò che si desidera, non è
possibile calpestare gli altri per affermare se stessi e i propri bisogni.</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhR4m6KLhPcNETQFcOmsDmCwp5Y_ZjT4W8Ct1jS4FWcekB0PvVzP_Csx48_t5ab5egdzu_u61abrWNyGiyIBJgReHZA09hSz2YQfGQ3cI4FNS6DHOy4Vx05moDBXvCrseFgUEf6ZLmg3pBV/s1600/abused-woman-199x300.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: justify;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhR4m6KLhPcNETQFcOmsDmCwp5Y_ZjT4W8Ct1jS4FWcekB0PvVzP_Csx48_t5ab5egdzu_u61abrWNyGiyIBJgReHZA09hSz2YQfGQ3cI4FNS6DHOy4Vx05moDBXvCrseFgUEf6ZLmg3pBV/s200/abused-woman-199x300.jpg" width="133" /></a></span></div>
<span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> Questi giovani hanno agito, hanno materialmente
colpito, ma li abbiamo armati noi, con la nostra incapacità di educare
affettivamente i nostri ragazzi. Il padre di un baby assassino ha affermato:”
Mio figlio non è un cattivo ragazzo, va bene a scuola”. E’ possibile che
dobbiamo ancora capire che cultura e umanità, intelligenza, tolleranza,
rispetto non sono, purtroppo, sempre consequenziali? Non abbiamo compreso,
perché comprendere comporterebbe un investimento in termini di tempo che non
abbiamo, che prima di riempire i nostri figli di giochi, di vacanze, di auto,
di case, di soldi dobbiamo insegnargli ad amare, l’educazione affettiva è più
importante di qualunque altro bene materiale! Galimberti, diversi anni fa,sul <i>Corriere della sera</i> ha scritto un lungo, splendido articolo
sull’”analfabetismo sentimentale” dei giovani, richiamando le istituzioni
preposte alla cura e allo sviluppo dei ragazzi, a non tralasciare questo aspetto essenziale, anzi vitale, della
loro crescita. Sono passati anni dalla pubblicazione di quell’articolo, eppure ci ritroviamo
ancora a parlare di giovani senza anima, senza la capacità di discernere tra il
bene e il male, uomini che di “ maschio” non hanno veramente nulla. Non è da
uomini uccidere una ragazzina con la propria superficialità, non è da uomini
violare e usare la debolezza di una adolescente per ferirla e umiliarla, non è da uomini picchiare,
abusare, bruciare viva una giovane bambina. Non è da uomini, è da vigliacchi, è da
deboli, è da meschini senza cervello né cuore. Essere uomini significa amare,
proteggere, accogliere, accettare, difendere fino allo stremo delle forze chi
ci ha amato, chi ha condiviso con noi un pezzo di strada che non si potrà
cancellare, anche quando ciò che abbiamo non è esattamente quello che desideriamo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-86552928865827809752013-05-29T13:27:00.000+02:002013-06-07T10:31:35.357+02:00"IL BAMBINO INVISIBILE" Un libro che consiglio<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj29hCWeD7EGbJo2zm6d6UYka2jkoMlQWnSplSb30WNNAiN0TQgZpsTtx4Eto-XhrRFMqkosSPwFoOw58r-RGIRuiA-GxazC5XPYxqaKUEVZEc6YpTlzSjNcKwU4VMaYOMJ98b1AmGs28UK/s1600/download.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj29hCWeD7EGbJo2zm6d6UYka2jkoMlQWnSplSb30WNNAiN0TQgZpsTtx4Eto-XhrRFMqkosSPwFoOw58r-RGIRuiA-GxazC5XPYxqaKUEVZEc6YpTlzSjNcKwU4VMaYOMJ98b1AmGs28UK/s320/download.jpg" width="198" /></a><span style="font-family: inherit;"><span style="line-height: 115%;"><b>Il </b><i><b>Bambino invisibile</b> </i>è un libro avvincente che racconta la storia di Manuel, un bambino di soli cinque anni che vive una esperienza forte e al di fuori di ciò che può essere per noi "normale". Un'amica mi ha consigliato di leggere questo libro e, devo dire in tutta onestà, è stata un'emozione straordinaria che ho subito voluto condividere con i miei studenti. </span><span style="line-height: 115%;">Essere insegnante di
italiano in un istituto professionale è una sfida continua, è un cercare
strategie efficaci per insegnare ai ragazzi ad amare la lettura, a scoprire che
tipo di soddisfazioni derivino dalle belle storie e quanta ricchezza si possa
guadagnare a livello culturale, emozionale e personale. Ho chiesto ai miei
alunni di leggere “ Il bambino invisibile” perché ho trovato in questa storia
una carica di energia straordinaria, perché di questo racconto non mi resta la
tristezza dell’ennesima storia di degrado e dolore, ma la </span><b style="line-height: 115%;">speranza</b><span style="line-height: 115%;"> che si rinasce anche se tutto sembra dire il contrario. </span><span style="line-height: 115%;">L’immagine del racconto
impressa nella mia mente è proprio quella di un bambino che osserva entusiasta
come si costruisce un aquilone e, sebbene escluso dal gruppo, sa guardare,
osservare, ha il dono dell’intelligenza e può, una volta rimasto solo,
costruire con estrema soddisfazione il suo aquilone!!!!! Questo passaggio mi ha
fatto pensare alle tante storie difficili, di disagio, di sofferenza che nel
corso degli anni ho ascoltato dai miei studenti, alle parole che a volte ho
dovuto trovare per consolarli, per non farli sentire soli….ora non una parola
ma una storia!!! La storia di chi ha fatto del dolore un punto di forza, di chi
ha saputo non piangersi addosso, ma ha fatto della sofferenza un momento di
costruzione di una vita gioiosa e aperta alla speranza. Il messaggio che resta,
o che a me è rimasto, è proprio la certezza che ognuno ha infinite risorse
dentro di sé per ricominciare dieci, cento, mille volte. Non credo si cancelli il
dolore, ma l’immagine di questo bambino tenace, ostinato, che non ha ceduto
alla vendetta e all’odio, ma ha scelto l’amore, ha scelto la positività, ha
scelto di non farsi piegare da una vita che sembrava avversa e ostile e ha
vinto, è di una forza straordinaria. </span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMUoi76DuOMn0v2GPNYg_bq1Y_cwr4MoPMrpr2yjS4UUJSoTH-RDMLJ2eYmgJASK3zl2SH3BRwf1QTt6oUoq8dJ7lQqxn-R9geu1JUez9Z7yoszaAlOzPHPoMiBHfKMXiwFzI2utVAYh8M/s1600/2012-12-03.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><br /></a></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvVoK9GPiqudMRiMrmrZHk5kIqG0SvoLX5WGWg_710QuGHnoxN0KYMM31YLb9B5ZknO84yjNgyB-roGHkrKYojMx8JvQhB1RhyphenhyphenvoAzCiH3KRVCyY93OPNsSap2R3Is1qfyN01Y4R6_RV1b/s1600/mike.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="130" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvVoK9GPiqudMRiMrmrZHk5kIqG0SvoLX5WGWg_710QuGHnoxN0KYMM31YLb9B5ZknO84yjNgyB-roGHkrKYojMx8JvQhB1RhyphenhyphenvoAzCiH3KRVCyY93OPNsSap2R3Is1qfyN01Y4R6_RV1b/s400/mike.jpg" width="400" /></a></span></div>
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="line-height: 115%;">Non la solita storia triste, ma una storia
che insegna, educa e lancia un messaggio positivo: la storia di Manuel è la
storia di tutti, l’energia di Manuel è l’energia di tutti, non un uomo fuori
dal comune, ma un uomo come tanti, che ha sofferto come tanti e che ha saputo
usare quel potenziale straordinario che ogni uomo ha dentro di sé! Una storia
di speranza, una storia di vittoria che può essere di stimolo per una
riflessione sul fatto che in qualsiasi momento e quando meno ce lo aspettiamo
la vita può cambiare e riservare delle grandi sorprese: a noi la scelta di
lottare o di lasciarci sconfiggere senza tentare l’impensabile!</span></span></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj94kGOouPwYeDRjXV5aJZ7Jd7mp_YDsBgzcSjLJkNWtQirjnCtAXYDwElaLv-JQLfuTJTVukXmq8ve9FIFwThl1tCdixeJCCfyZEEslRkfqTGxSCPRXIas4PPi-CmuzGykQNfFGXsYfCHX/s1600/foto+(1).JPG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><span style="font-family: inherit;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj94kGOouPwYeDRjXV5aJZ7Jd7mp_YDsBgzcSjLJkNWtQirjnCtAXYDwElaLv-JQLfuTJTVukXmq8ve9FIFwThl1tCdixeJCCfyZEEslRkfqTGxSCPRXIas4PPi-CmuzGykQNfFGXsYfCHX/s200/foto+(1).JPG" width="150" /></span></a><span style="font-family: inherit;"><span style="line-height: 115%;"> </span><span style="line-height: 115%;">Ho avuto il piacere di
conoscere il protagonista di questa incredibile storia, in occasione di un
incontro organizzato proprio per parlare di questa insolita vicenda. E’ stato
un incontro emozionante, l’uomo che ci ha parlato è un uomo semplice, diretto,
senza troppe sovrastrutture e ancora incredibilmente capace di emozionarsi e di
emozionare. Non il solito protagonista in cerca di pietà, ma in lui ho trovato
una grande dignità nel dolore e una voglia di vivere coinvolgente. Mi
piacerebbe davvero invitare a leggere questo libro semplice nella struttura,
limpido nella forma e denso nei sentimenti, che fa riflettere a qualunque età:
possono riflettere i giovani su quanto siano fortunati ad avere un tetto, delle
persone che si curano di loro e gli garantiscono un futuro, ma anche i genitori
perché ricordino il ruolo fondamentale che hanno nella vita dei propri figli e
la responsabilità di assicurare ai propri figli amore, amore, amore come mamma
Isabel. Infine possono leggerlo gli educatori, tutti coloro che aiutano i giovani
a crescere affinché ricordino l’importanza del ruolo che rivestono e il compito
di “ vedere” le persone che hanno di fronte ogni giorno. Il prossimo autunno
<a href="https://www.facebook.com/manuel.bragonzi" target="_blank">Manuel Antonio Bragonzi</a> incontrerà i miei studenti e so che ci regalerà nuove
emozioni!</span></span></div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4634277460132419133.post-25966120602593218222013-05-26T20:45:00.000+02:002013-06-07T12:43:45.842+02:00IL BANCHETTO NELL'ANTICA GRECIA<div style="background: white; line-height: 14.4pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 4.8pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background: white; line-height: 14.4pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 4.8pt; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIGI-WbfBVwPqldGHotCByrTWu4umYtpcXF42aqJwKxEAy0A_QcnHE1_NJthLyFxLxA7e5Wwmix_0921nyez-boELQvwyCuJNXqI6nHP-pSqlq8zwAhWZqIhBLpb43V1_WgcVBaY-97Zhy/s1600/cache_cache_194d8721736f745d388d69d112de08bc_efd0e9c46a04e6eed096e463e2c92bf8.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="111" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIGI-WbfBVwPqldGHotCByrTWu4umYtpcXF42aqJwKxEAy0A_QcnHE1_NJthLyFxLxA7e5Wwmix_0921nyez-boELQvwyCuJNXqI6nHP-pSqlq8zwAhWZqIhBLpb43V1_WgcVBaY-97Zhy/s320/cache_cache_194d8721736f745d388d69d112de08bc_efd0e9c46a04e6eed096e463e2c92bf8.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Già nella
società omerica, la mensa del banchetto era il centro dell'istituzione sociale;
nella<span class="apple-converted-space"> </span></span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="color: black;">Grecia</span><span class="apple-converted-space"> </span>classica, i
banchetti pubblici riunivano i cittadini attorno a interessi comuni e
favorivano la gestione democratica degli affari; nella società <span style="color: black;">spartana</span><span class="apple-converted-space"> </span>era
obbligatoria, in base alla codificazione di<span class="apple-converted-space"> </span>Licurgo, la partecipazione degli uomini a pasti comuni .Dalla<span class="apple-converted-space"> </span><i>socialità
conviviale</i><span class="apple-converted-space"> </span>(oltre che da
quella<span class="apple-converted-space"> </span><i>simposiaca</i>) erano
comunque escluse le donne e i bambini, essendovi ammesse solo le<span class="apple-converted-space"> </span>etere che
godevano di un particolare<span class="apple-converted-space"> </span><i>status.</i>I banchetti tra amici avevano per i greci grande
importanza; potevano essere offerti da uno di loro oppure indetti dai
componenti di un<span class="apple-converted-space"> </span>tiaso che ne condividevano le spese. Spesso i convitati portavano
con sé una canestro di vimini contenente dei cibi pronti, lo<span class="apple-converted-space"> </span><i>spyris</i><span class="apple-converted-space"> </span>che, in tante pitture vascolari, fa
bella mostra di sé, appeso al muro, insieme al nodoso bastone da passeggio e al
<i>sybène</i>, l'astuccio per<span class="apple-converted-space"> </span><i>aulòs</i>.
Questi banchetti erano perciò detti<span class="apple-converted-space"> </span><i>apò
spyrìdos</i>, cioè alla cesta, un'espressione che oggi possiamo tradurre con<span class="apple-converted-space"> </span><i>al sacco</i>.Una volta riuniti a
casa dell'ospite, i convitati si toglievano i sandali, si facevano lavare i piedi
dagli schiavi e, dopo essersi posti sul capo corone di fiori o di foglie, si
disponevano a due a due sui letti collocati attorno alle rispettive mense.Il
banchetto si componeva di due parti: la prima (detta<span class="apple-converted-space"> </span><i>pròtai tràpezai</i><span class="apple-converted-space"> </span>= <i>prime tavole</i>), coincideva
all'incirca col tramonto ed era il pasto vero e proprio, all'inizio del quale
si faceva passare tra i convitati, che vi bevevano a turno, una coppa di vino. Il
banchetto si teneva nell'arco di tempo in cui solitamente si consumava il pasto
principale della giornata (gr.<span class="apple-converted-space"> </span><i>deípnon</i>;
lat.<span class="apple-converted-space"> </span><i>coena</i>), tra il
pomeriggio e il tramonto del sole. <span style="color: #333333;">Col nome
di banchetto o convito, s'intende, se ci si riferisce all'antichità classica,
la forma più complessa e ricca del pasto comune; esso occupava una non piccola
parte della giornata; non era esclusivamente sede di baldoria, ma modo usuale
di convegno e di ricevimento, periodo di riposo dopo le faccende della
giornata, occasione d'informarsi, di conversare, di discutere. Nell'età omerica
il pasto principale è posto a metà della giornata; la colazione della mattina (ἄριστον)
e lo spuntino serale (δόρπον) si consumano senz'alcun apparato, fornendosi
dalla dispensiera (ταμίη) di quel poco che è necessario a una breve refezione.
Il pasto principale, se ha un carattere più modesto (δεῖπνον), è apprestato
dalle ancelle (<em>Od</em>.,
XV, 93-4); quando invece s'intende che abbia maggior consistenza e apparato (δαΐς),
è servito da schiavi, talvolta da araldi. I commensali sono riuniti nella
stanza principale del palazzo (μέγαρον), nella quale abitualmente stanno gli
uomini, e i preparativi si fanno o nel μέγαρον stesso o nella corte (αὐλή) che
vi dà accesso e dove gli animali sono uccisi e cotti. Gli animali che servono
da cibo sono buoi, pecore, capre e porci. Il pollame non appare ancora
conosciuto. Modo usuale di cottura è l'arrosto (un'allusione al lesso si ha in
un'immagine dell'<em>Il</em>.,
362-364). Prima dell'inizio del banchetto gli intervenuti si lavano le mani con
l'acqua versata da ancelle o da araldi; un'abluzione simile avveniva alla fine
del banchetto; tale abluzione non era suggerita soltanto da evidenti ragioni di
pulizia personale, ma anche da quel carattere sacrale che ebbe il banchetto
primitivo e di cui si conservarono tracce in tutta l'antichità. L'ospite che
giunge da lontano, prima di essere introdotto nella sala del banchetto, è
condotto a fare il bagno (<em>Od</em>.,
IV, 38-40, VIII, 424 segg. e<span class="apple-converted-space"> </span><em>passim</em>).I commensali
stavano seduti davanti a una piccola tavola (v. fig. 1; e cfr.<span class="apple-converted-space"> </span><em>Od</em>.,
XXII, 19-21, 74) sulla quale venivano deposti i cibi e le coppe. Talvolta,
invece, si facevano sedere i commensali davanti a un'unica tavola, naturalmente
più grande (<em>Il</em>.,
IX, 216); ma anche in questo caso ciascuno aveva innanzi a sé porzioni
separate. Non appartiene all'età omerica l'uso di cenare sdraiati, né
d'incoronarsi durante il banchetto. Sulla piccola tavola individuale o sulla
grande tavola in comune i servi, o gli araldi, o l'ospite stesso distribuivano
a ciascuno dei commensali il pane, entro un cestino (κάνεον), e, su piatti (πίνακες),
le carni già prima preparate dallo scalco (δαιτρός). Le donne non partecipavano
al convito, ma v'intervenivano a farvi gli onori di casa, purché fosse presente
il marito, come fa Elena a Sparta nella reggia di Menelao (<em>Od.</em>, IV, 216 segg.) ed
Arete, moglie di Alcinoo, nell'isola dei Feaci (<em>Od.</em>, VII, 136-141; 231); al contrario
Penelope, nell'assenza del marito compare solo raramente, accompagnata da
ancelle e con i veli abbassati sul volto (<em>Od</em>.,
XVI, 413-416) sulla soglia del μέγαρον, dove i Proci stanno banchettando. Oltre
al convito, che risponde al desiderio di riunirsi con i familiari e alle
esigenze dell'ospitalità, troviamo menzionati in Omero:</span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #333333; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">1. il
banchetto solenne che segue il sacrificio (<em>Il</em>.,
I, 458-474); <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #333333; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">2. il
banchetto nuziale celebrato fastosamente, con larghi inviti, canti, suoni (lira
o flauto) e spettacoli di giuochi d'acrobazia;<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #333333; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">3. il banchetto funebre (<em>Il</em>., XXIII, 29; XXIV,
802), prima o dopo la cremazione del cadavere, che può esser seguito da una
gara agonistica;<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #333333; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">4. il banchetto fra ἑταῖροι, cioè fra uomini
appartenenti a uno stesso sodalizio (ἑταιρία) e uniti, in pace e in guerra, da
vincoli di solidarietà.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #333333; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Questa forma
d'organizzazione, che in Omero appare propria della nobiltà, imponeva periodici
banchetti nei quali gli intervenuti conducevano i figli maschi. L'essere
esclusi o tollerati in tali riunioni significava non essere trattati da pari a
pari dalla nobiltà del luogo (<em>Il</em>.,
XXII, 492;<span class="apple-converted-space"> </span><em>Od</em>., XI, 185-187).Nell'età
storica i costumi conviviali greci appaiono profondamente cambiati. Ci mancano
gli elementi per una compiuta ricostruzione di tali usi che permetta di tener
conto, per ciò che concerne il banchetto, della diversità di tempo, di luogo e
di stirpi. Per giunta nell'età romana il banchetto romano e il greco si
andarono uniformando, per cui le copiose informazioni che in questo periodo gli
scrittori greci, e particolarmente Plutarco, ci forniscono sull'argomento, non
possono servire a stabilire con sicurezza differenze fra il convito greco e il
romano. I Greci dell'età classica pranzano stando sdraiati; i commensali di uno
stesso letto talvolta si volgono le spalle, altre volte son posti l'uno di
seguito all'altro. Le suonatrici stanno o in piedi (fig. 4), o sui letti degli
uomini ora sdraiate, ora sedute . Si mangia, al solito, con le dita; raro il
coltello, men raro il cucchiaio (μύστρον, μυστίλη). Va notato come greco, l'uso
di pulirsi le mani, invece che con salviette, con pallottole di mollica di pane
(ἀπομαγδαλίαι), che si gettavano ai cani. Il pasto maggiore (δεῖπνον) si fa la
sera: semplici refezioni son quelle della mattina (ἀκράτισμα) e del
mezzogiorno. Biasimevole raffinatezza è considerato il far due pasti forti
nella giornata. Il tenore della vita greca nell'età classica e tra i Greci
della madre patria generalmente è modesto; frugalissimo è il vitto anche presso
i popoli tra i quali non vi è, come fra i Dori, l'obbligo del pasto in comune
(συσσίτια), garanzia severa di sobrietà. Insolito risalto ha ,quindi, il
convito che interrompe la quotidiana abitudine di un pasto modesto in famiglia
e senza apparato; ne è occasione, come sempre, o un avvenimento importante che
si suole solennizzare con il banchetto, o la consuetudine di riunioni
periodiche fra amici; in quest'ultimo caso, ognuno contribuisce per la sua
parte (ἀπὸ συμβολῶν o anche ἀπὸ σπυρίδος, dal panierino che i commensali
portavano con sé e che talvolta vediamo rappresentato appeso alla parete. Anche
in ciò che concerne il banchetto sembra a noi moderni che spiri quell'aria
provinciale e borghese, caratteristica della vita privata greca, e a cui dà
risalto, con il confronto, la signorile larghezza dei Romani. Agli ospiti gli
schiavi di casa tolgono i calzari e
lavano i piedi facendoli poi adagiare nei letti (κλῖναι) secondo l'ordine
predisposto dal padrone, di regola due per ogni letto (non tre come presso i
Romani); quindi viene offerta l'acqua per l'abluzione alle mani, si avvicinano
le tavole una per ogni letto e il banchetto comincia. Il convito greco constava
di due momenti: il δεῖπνον e le δεύτεραι cioè il dessert; solo nell'età
imperiale s'introdusse l'uso romano dell'antipasto. Terminato il δεῖπνον si
facevano abluzioni e s'invocava l'ἀγαϑὸς δαίμων, libando vino puro; dopo di che
venivano cambiate le tavole. Il dessert era formato di seccumi, cacio, sale,
cibi atti a eccitar la sete; si usava anche leccare delle gallette salate (ἐπίπαστα
λείχειν).Col dessert aveva principio il simposio(συμπόσιον).Gl'intervenuti,
coronatisi di fiori e cosparsi di abbondante unguento, eleggevano con i dadi o
per acclamazione il re del simposio (ἄρχων, βασιλεύς), secondo le cui
ingiunzioni si beveva. Normalmente la preparazione dei crateri e le libazioni
si facevano a suon di flauto e bruciando
incenso. Oltre alla conversazione, intramezzata da libazioni e da brindisi, allietavano
il simposio i canti (σκόλια; anche il peana fu in origine un canto simposiaco),
o la recitazione di antichi poeti per lunga tradizione accetti ai simposî;
qualche volta si assisteva a spettacoli di equilibrio e di acrobazia (Senof.,<span class="apple-converted-space"> </span><em>Symp</em>.,
II, 7 segg.). Vi era anche l'uso di giocare, non esclusi i giuochi d'azzardo;
di gran voga fu per secoli (VI-III a. C.) un giuoco d'abilità, detto il cottabo
(κότταβος:<span class="apple-converted-space"> </span><span class="sc">cottabo</span>).I
preparativi per la lussuosa imbandigione del banchetto affaccendano molti
servi; sono cucinate le carni del bue, del capretto, della lepre, del pollame e
della cacciagione. Il carattere rituale del banchetto appare dalla presenza del
flautista. Anche il pane è impastato a suon di flauto (cfr. Alcimo, in Ateneo,
XII, p. 518<span class="apple-converted-space"> </span><em>b</em>).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b><span style="color: #333333; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">COME SI PRESENTAVANO I PIATTI.<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5J57YJogla4JAwRdbiZSFWg2tDQPvOrx-uXrWUnQxAnAJeZoNj76nCElq06J7d5e-0BdQu23l93k_pTldPmVQIRne2UDxHS5zMeCiM4rloKpAsMxg3azhIO6nOoWz3Qc5vTI8kyVNVbHP/s1600/BacchusFestival.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="215" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5J57YJogla4JAwRdbiZSFWg2tDQPvOrx-uXrWUnQxAnAJeZoNj76nCElq06J7d5e-0BdQu23l93k_pTldPmVQIRne2UDxHS5zMeCiM4rloKpAsMxg3azhIO6nOoWz3Qc5vTI8kyVNVbHP/s320/BacchusFestival.jpg" width="320" /></a></div>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-fareast-language: IT;">A
partire dal secondo secolo a.C. si usava servire pietanze artisticamente
impiattate su preziosi vassoi di argento. Le pesanti portate arrivavano
sorrette a volte da più schiavi che le appoggiavano su elegantissimi supporti
mobili, sostegni che venivano sistemati dopo che tutti i commensali avevano
preso posto e venivano rapidamente tolti alla fine del banchetto. A volte nelle
case ricche ve ne erano diversi, ognuno disegnato e creato per uno speciale
vassoio, così che li si cambiava ad ogni portata. Si trattava generalmente di
oggetti di valore, costruiti con legni rari ed intarsiati di avorio. Alcuni
erano addirittura in argento come alcuni bellissimi sostegni di vassoi che si
vedono rappresentati negli affreschi dell'epoca. Vediamo infatti la descrizione
del vassoio che appare nel <i>Satiricon,</i>
mirabolante e con un coperchio emisferico che veniva tolto per rivelare una
complessa presentazione. E questo vassoio descritto da Petronio non è soltanto
un invenzione: oggetti del genere esistevano nel mondo romano. Uno simile è
persino affrescato sulle pareti di un piccolo triclinio della villa di <i>Oplontis.</i> Se si tiene a mente che negli
affreschi pompeiani si usava rappresentare gli oggetti più preziosi della
famiglia, si realizza che probabilmente esso faceva parte della suppellettile
della casa. Nella presentazione di questo vassoio che si trova nel <i>Satiricon,</i> il trionfo centrale,
circondato da pollastre ed altre delicatezze, era costituito da una lepre
guarnita di ali in modo da rappresentare Pegaso, il mitologico cavallo alato. Attorno
a questa parte centrale vi era poi una canaletta nella quale erano stati
impiattati pesci che sembrava nuotassero nella salsa. Altri modi di impiattare
spettacolari, consistevano nel portare a tavola animali cucinati interi: grossi
pesci, cinghiali, maiali e persino vitelli. Dato che la gente mangiava con le
dita e non aveva posate essi andavano tagliati a pezzi di dimensioni possibili.
Per questo esistevano gli scalchi, servitori che seguivano speciali scuole,
come quella tenuta alla Suburra da un tal Trifero. Era da lui che essi venivano
addestrati su come tagliare in modo perfetto e rapido qualsiasi arrosto. Essi,
travestiti a volte da personaggi mitologici, venivano al seguito del vassoio, e
si scagliavano sull'animale da affettare come se fosse un pericoloso nemico,
facendo dell'operazione di dividerlo in pezzi uno spettacolo. Ormai qualsiasi
portata veniva presentata con molta ricercatezza. Anche i pasticceri
ricorrevano a presentazioni spettacolari per i loro dolci. Nel banchetto di
Trimalcione il dessert è addirittura una statua di pasta dolce rappresentante
Priapo mentre sorregge nel grembo della veste ogni genere di frutta, un tipo
questo molto frequente nella statuaria. Tutto questo naturalmente non era
limitato al banchetto di Trimalcione. Anche se in esso tutto è forzato e
caricaturato per poter far ridere il lettore, il tipo di presentazione dei cibi
doveva comunque esser simile a quello descritto da Petronio e queste portate
dovevano far parte di molti banchetti compreso quello imperiale. Ormai in tutte
le case quando si offriva una cena si seguiva il tipico schema del banchetto
romano che partiva dalle uova sode, passava attraverso gli antipasti più
complicati, gli arrosti più saporiti ed approdava infine ai dolci, alla frutta,
ai fiori ed ai profumi distribuiti durante il simposio. Dopo la cena c’era
poi il dopo cena, quel simposio che ha sempre fatto parte di tutti i banchetti
dell'antichità. A Roma era molto più morigerato di quello dell'epoca d'oro
greca. Ma questo era da prevedersi, in quanto ai banchetti romani, a differenza
di quelli greci, partecipavano spesso mogli e figlie dei convitati e quindi
bisognava comportarsi bene. Lo spettacolo più spinto che poteva aver luogo
nella riunione romana era quello che veniva offerto dalle ballerine gaditane,
graziose fanciulle spagnole che danzavano agitando i fianchi a suon di nacchere
mentre attorno a loro tutti battevano ritmicamente le mani, più o meno come si
fa ancor oggi in Andalusia. Anche se ogni tanto qualche poeta le criticava
trovandole troppo spinte non sembra che le povere figliole offrissero ragione
di scandalo e, infatti, pare che molti mariti vi assistessero con a fianco le
proprie spose. Per il resto si chiacchierava e si beveva secondo uno
speciale cerimoniale. I vini che venivano serviti erano ormai squisiti. I Romani
potevano permetterselo perché erano senza discussione i padroni del mondo. I
migliori erano sempre quelli che si importavano dalla Grecia, ma ormai anche in
Italia se ne produceva di eccellenti. Li elencano i poeti quando descrivono i
lunghi dopo cena romani. Anche a Roma come ad Atene si eleggeva uno dei
convitati che dirigesse il simposio: in latino egli veniva chiamato <i>magister bibendi</i> , ossia "direttore
del bere" e dava disposizioni sul come si dovesse preparare la mistura di vino
ed acqua decidendo poi a chi bisognasse brindare. Ciò voleva anche dire che
egli finiva con lo stabilire quanto si dovesse bere: infatti quando i Romani
brindavano alla salute di qualcuno tracannavano tante coppette quante erano le
lettere che componevano il nome del festeggiato ed i nomi romani era
particolarmente lunghi. Grazie al cielo il vino era solitamente molto diluito:
si usava mettere tre parti di acqua per una di vino. D'inverno si aggiungeva
acqua bollente e, a volte, per averla sempre pronta si usavano interessanti
bollitori che funzionavano con lo stesso sistema dei samovar russi. D'estate il
vino veniva invece allungato con la neve raccolta d'inverno sulle cime dei
monti ed immagazzinata in depositi sotterranei dove, coperta di paglia, si conservava
per tutta l’estate. I più belli tra questi depositi sono quelli principeschi di
Villa Adriana, che, scavati nel tufo, sono costituiti da una serie di gallerie
messe ortogonalmente a quinconce ai lati di un canale di servizio. Questo ha un
fondo a sezione concava ed un'inclinazione verso settentrione necessaria per il
deflusso dell'acqua di fusione. La neve, una volta immagazzinata e ben stivata
nei bracci laterali, veniva sigillata con paglia e fieno. Dato che si intaccava
un braccio per volta, gli altri lasciati chiusi ed intatti potevano durare
moltissimo, soprattutto perché l'intonaco, che rivestiva questi speciali
depositi, era leggerissimo, e formava una sorta di enorme thermos nel quale la
neve si conservava bene. Nell'antica Roma se ne usava molta: essa serviva per
preparare speciali piatti ghiacciati; per confezionare sorbetti e, quando
d'estate il sole faceva riscaldare l'acqua nelle piscine delle terme, era
sempre con la neve che la si faceva freddare. Ma l'uso più diffuso era, come
sempre, quello di far gelare le bibite durante il periodo caldo. In quella
stagione non c'era triclinio e cena elegante che ne facessero a meno e con vino
ghiacciato si chiudeva il banchetto estivo. Era quasi sempre buio quando i
convitati sazi e leggermente brilli salutavano il loro ospite. Quasi sempre la
cena prendeva fine al tramonto, ma quando ci si avviava al tetto domestico si
aveva spesso bisogno di torce o di lanterne e, quando non si era ricchi ed
accompagnati da forti ed atletici schiavi, bisognava pregare tutti gli dei di
esser salvati dai cattivi incontri: le strade erano piene di banditi e di
rissosi ubriaconi. Era fortunato colui che riusciva ad arrivare sano e salvo al
proprio letto. A volte però era proprio a casa che iniziava la battaglia. Qui
ad attendere l'amato compagno vi era spesso una moglie od un'amante: comunque
una donna amareggiata che si sentiva offesa e che pensava di esser stata
abbandonata e trascurata.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 141.6pt;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><br />
<br />
</span><b><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">LE DONNE E IL BANCHETTO</span></b><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br />
</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdj94GvPVNnB5SvoDkE-sI5uE-p72ahyKzVEfrHCYAaHXGQYa5qMbDyavOxP5ZEDJzgujeYv_J5TRdYO9Ef6co_Hdm19O6ZEHVENy5jhzz90k5lk3JOGJJq5-iETBVJFalS8KicI18kuY0/s1600/ore-delle-donne.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="250" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdj94GvPVNnB5SvoDkE-sI5uE-p72ahyKzVEfrHCYAaHXGQYa5qMbDyavOxP5ZEDJzgujeYv_J5TRdYO9Ef6co_Hdm19O6ZEHVENy5jhzz90k5lk3JOGJJq5-iETBVJFalS8KicI18kuY0/s320/ore-delle-donne.jpg" width="320" /></a></span></div>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Non tutte le donne partecipavano alle allegre cene Greche e a quelle di
famiglia era addirittura proibito porre piede nel grande salone destinato ai
festini maschili: l'andron, ossia "l'appartamento degli uomini",
posto vicino all'ingresso. Alcune etere furono famose. Erano donne belle,
intelligenti ed istruitissime. Esse infatti seguivano anche le scuole dei
filosofi celebri e, dormendo con essi, finivano con l'avere anche un ottimo
doposcuola. A volte esse si legavano con un contratto a tempo determinato a
qualche ricco gaudente: si impegnavano così ad accompagnarlo per un certo
numero di anni a tutti i banchetti e, sempre per lo stesso periodo, si
astenevano dall'avere relazioni con altri uomini. Sia per questi impegni a
lunga scadenza, sia per le prestazioni occasionali le loro tariffe erano
altissime e una volta raggiunta l'età matura e, con essa, la chiusura della
loro carriera attiva, diventavano pie donne, dedite alla religione ed
arricchivano i templi con i loro voti, statue e donazioni.<span class="apple-converted-space"> </span></span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Le etere in pose e situazioni spinte compaiono spesso nelle scene di banchetto
rappresentate sulla ceramica greca. Si trattava ovviamente di suppellettili da
simposio, sempre scollacciata e suggestiva in quanto destinata a quelle
riunioni per uomini soli nelle quali donne di quel tipo coprivano logicamente
una parte di primo piano.</span><span class="apple-converted-space" style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> </span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Dato però questo loro ruolo è chiaro che al banchetto greco non potessero intervenire
le altre donne, quelle per bene: mogli, figlie, sorelle e madri. Queste
partecipavano esclusivamente alle cene di famiglia che venivano apparecchiate
nelle parti più intime della casa. Durante questi pasti familiari gli uomini
non stavano più come nell'andron nudi con soltanto un leggero drappo posto a
velare la parte inferiore del loro corpo, ma si sdraiavano sul letto
tricliniare correttamente vestiti di tutto punto, mentre le loro donne prendevano
posto su seggiole. Cenare seduti era segno di sottomissione e lo facevano tutti
i sottoposti. Quindi sedeva la donna che era legittima proprietà del maschio
dominante ed oltre a lei sedevano anche tutti gli inferiori. A questo modo
cenavano i ragazzi anche se di famiglie di ceto elevatissimo e non soltanto
questi: in Macedonia un uomo non poteva mangiare sdraiato fino a che non avesse
infilzato con la sua lancia e senza l'aiuto di reti o di trappole un cinghiale
selvaggio e probabilmente inferocito. Perciò all'età di 35 anni Cassandro, un
cacciatore, che pur essendo bravo e coraggioso non era ai riuscito ad infilzare
con una lancia il suo cinghiale, mangiava ancora su una seggiola.</span><span class="apple-converted-space" style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b style="text-indent: 35.4pt;"><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">IL VINO E IL SIMPOSIO</span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtIMh50Bb3J0XRaUrpR9pcBSfeSgZ5L1CuvQsMzhXnPtV2Ci_IcdfH8bYd1Vjz2nxdCRNbWAaHJP6oa0kQGW52cF9msDp5zEJYIpTlGUyce9hprMovV8S1tofPXDeO9iXVP7-W5rancVXF/s1600/cache_cache_194d8721736f745d388d69d112de08bc_efd0e9c46a04e6eed096e463e2c92bf8.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="111" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtIMh50Bb3J0XRaUrpR9pcBSfeSgZ5L1CuvQsMzhXnPtV2Ci_IcdfH8bYd1Vjz2nxdCRNbWAaHJP6oa0kQGW52cF9msDp5zEJYIpTlGUyce9hprMovV8S1tofPXDeO9iXVP7-W5rancVXF/s320/cache_cache_194d8721736f745d388d69d112de08bc_efd0e9c46a04e6eed096e463e2c92bf8.jpg" width="320" /></a><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Bevanda di elezione del
banchetto antico in epoca classica era naturalmente il vino. Euripide nella sua
Bacchica scriveva "Il vino, antidoto di ogni dolore, venne donato ai
mortali: senza vino l'amore non vive ed ogni altra gioia muore". Tutti gli
altri poeti annuivano limitandosi a suggerire una certa moderazione perché,
come diceva Antifane "Se un uomo beve continuamente si istupidisce. Solo
se beve moderatamente si riempie di nuove idee”. Anticamente si pensava che il
vino andasse sempre diluito perché puro avrebbe portato alla distruzione del
corpo. Nonostante questo c'era chi lo beveva così e ne beveva anche molto.
Alessandro Magno, ad esempio, lo aveva sempre fatto ed era uso ad esagerare. Si
sussurrava, anzi, che questa fosse la ragione di quella sua frigidità che
sempre tanto aveva preoccupato i suoi genitori, ma che non doveva poi essere
tanto terribile visto che nelle sue campagne si era sempre portato appresso la
famosa Thais e con quello che un'etera di lusso costava a quell'epoca doveva
pur in qualche modo sfruttarla. Sempre per il vino puro si diceva che fosse
impazzito Cleomene, lo Spartano il quale, essendo vissuto molto con gli Sciti,
aveva da loro presa l'abitudine di berlo così. Questa abitudine degli Sciti era
tanto nota nell'antichità che i Greci con "bere alla scita"
indicavano il bere vino puro ed a questo attribuivano ogni male. Perciò tutti
lo bevevano annacquato.<span class="apple-converted-space"> </span>Quando si
doveva annacquare il vino si usava prima mettere l'acqua e poi aggiungere il
vino (Xenofane, Anacreonte, ecc.). Nella sala del triclinio vi era sempre una
tavola sulla quale veniva disposta tutta la suppellettile del simposio: le
brocche per il vino dette <i>oinochoe,</i>
quelle per l'acqua, gli attingitoi, i misurini, le coppe ed il grande
recipiente nel quale si preparava la mistura. Questi corredi per il simposio
erano a volte ricchissimi e foggiati in materiale prezioso. Le proporzioni
nelle quali bisognava mescolare l'acqua con il vino venivano stabilite volta
per volta da uno dei convitati eletto dai suoi commensali alla carica di
simposiarca. Questo direttore del simposio fissava anche il numero e la
modalità dei brindisi. Le diluizioni preferite, dopo aver scartato quella metà
acqua e metà vino, che era ancora giudicata pericolosa per la salute, erano
quelle che venivano chiamate a cinque ed a tre. La proporzione di cinque era
formata da tre parti d'acqua e due di vino; quella a tre era invece formata di
due parti di acqua per una di vino. Esisteva anche quella a quattro, ma questa
mistura, molto annacquata, veniva da Plutarco definita come buona soltanto per
saggi magistrati. D'inverno il vino veniva diluito con acqua calda; d'estate
con quella fredda. Quando faceva molto caldo si usava la neve che Simonide
diceva raccolta sulle pendici dell'Olimpo.<span class="apple-converted-space"> </span>Si
consigliava pure di non bere molto. Eubulo fa dire a Dioniso che le persone
morigerate bevevano soltanto tre coppe: <i>una
per il brindisi, una per l'amore</i> <i>ed
una per il sonno</i>. A questo punto il saggio doveva terminare la serata ed
andare a casa. Se restava, infatti, e continuava a bere avrebbe fatalmente
scoperto che :<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Symbol; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt; line-height: normal;">
</span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">la quarta coppa apparteneva alla violenza,<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Symbol; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt; line-height: normal;">
</span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">la quinta al chiasso, la sesta all'allegria
dell'ubriachezza;<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Symbol; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt; line-height: normal;">
</span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">la settima alla rissa (agli occhi neri, come
si diceva in greco); <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Symbol; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt; line-height: normal;">
</span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">l'ottava al tribunale;<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Symbol; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt; line-height: normal;">
</span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">la nona all'attacco di fegato;<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span class="apple-converted-space"><span style="font-family: Symbol; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">la decima alla follia ed alla
distruzione del mobilio.<span class="apple-converted-space"> <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br />
Dati gli effetti su elencati che si avevano nonostante la forte diluizione, il
vino prodotto a quelle epoche doveva avere una forte gradazione alcoolica.
Quello che è certo è che il vino greco era considerato il migliore del mondo
antico e spesso si cercò di imitarlo. Catone, Varrone e Columella e tutti gli
scrittori antichi che si occuparono di agricoltura diedero ricette e consigli
per "fare vino greco" il quale, pare, si ottenesse mescolando al
mosto una certa quantità di acqua di mare: a quel che si diceva questo rendeva
il vino più dolce. Trattato a questo modo era il Myndio, tanto che il cinico
Menippo chiamava gli abitanti di Myndo, bevitori di acqua marina; c'era poi il
vino di Alicarnasso ed anche quello di Coos nel quale l'aggiunta era notevole
mentre meno se ne metteva in quello di Rodi. Si diceva che i vini trattati con
acqua di mare non causassero mai mal di testa, fossero lassativi, ridestassero
i succhi gastrici ed aiutassero la digestione. Insomma avrebbero dovuto essere
un vero e proprio toccasana. Uno dei migliori vini greci era il rosso di Chio.
C'era poi il Thasio che doveva essere particolarmente buono se Antidoto
scriveva "Riempi la mia coppa di vino thasio, poiché non importa quale sia
la cura che tortura il mio animo; quando lo bevo il mio cuore guarisce
istantaneamente”. Molto quotato era il Pramnio di Lesbo. Il vino di Lesbo,
secondo Archestrato, era un vino superlativo: egli poteva anche ammettere che
esistessero altri vini buoni, ma affermava che nessuno di essi reggeva il suo
confronto. Molto buono pare fosse anche il vino di Nasso ed Archiloco, che di
vino se ne intendeva, lo paragonava al nettare. Il poeta scriveva: "Dalla
mia lancia dipende il mio pane; dalla mia lancia il vino ismarico ed appoggiato
alla mia lancia io lo bevo" .<span class="apple-converted-space"> </span>Di
altri vini si registrano caratteristiche assurde e stravaganti. Così Teofrasto
nella sua storia delle piante raccontava che ad Erea in Arcadia si produceva un
vino che causava pazzia negli uomini che lo bevevano mentre metteva incinte le
donne che si azzardavano a gustarlo. E’ vero che vi era poi un altro vino, il
Trezenio, che teneva il posto della moderna pillola antifecondativa ed uno che
faceva abortire; anzi pare che bastasse mangiare un grappolo dell'uva con la
quale esso si produceva per ottenere questo effetto. A Tasos gli abitanti erano
persino riusciti a produrre un vino che teneva svegli ed un altro che faceva
dormire e può darsi che col potere della suggestione tutto questo funzionasse.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b style="text-indent: 35.4pt;"><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">IL CIBO E GLI ALIMENTI</span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgM5g92FHs03i5hv_Xs8N3CfS9255-WrdMrlBcKRP-dMfUQDQDnyj-REbkHOHRa81MnTKyMpIy9dbt5AEjw4tRVCd-8SrN0t51NB4GdG7th4qVWBnsvWO502dzY2yEJ1CCg-n0hLDvvE3YA/s1600/074.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgM5g92FHs03i5hv_Xs8N3CfS9255-WrdMrlBcKRP-dMfUQDQDnyj-REbkHOHRa81MnTKyMpIy9dbt5AEjw4tRVCd-8SrN0t51NB4GdG7th4qVWBnsvWO502dzY2yEJ1CCg-n0hLDvvE3YA/s320/074.jpg" width="318" /></a><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L'alimentazione del mondo
ellenistico fu molto più raffinata ed elaborata di quella che ebbe vigore in un
mondo ancora ristretto nei confini dei secoli precedenti. Gli ingredienti non
variarono molto da quelli già in uso anche se vi poté essere l'importazione di
qualche pianta o spezia proveniente dai lontani paesi raggiunti dall'esercito
macedone. Quella che cambiò fu invece la gastronomia grandemente influenzata
dai costumi alimentari persiani e babilonesi che da quelli della Magna Grecia
dove molte città avevano raggiunto un grado di civiltà ed opulenza molto
elevato. Nell'<i>Edifagetica </i>Archestrato,
indicava quali pesci, crostacei o molluschi convenisse comprare in una data
città o isola, quale fosse la migliore stagione per mangiarli e come andassero
cucinati. Brevemente poi Archestrato soffermava la sua attenzione anche sui
consigli in generale: sul banchetto, sul menu e soprattutto su cosa offrire con
gli aperitivi o cosa dare da sgranocchiare durante gli interminabili simposi: "Incorona
sempre il tuo capo con corone di ogni genere di fiore che la felice terra
produce - cantava in esametri Archestrato -, ed orna i tuoi capelli con
profumato unguento distillato. Durante tutto il giorno (del banchetto) spargi
senza sosta mirra e incenso, frutti della olezzante Siria, sulle soffici ceneri
del fuoco. Poi, mentre sorseggerai il tuo vino fatti portare questo: pancetta
di maiale e matrice di scrofa bollita da immergere in una salsa di cumino,
aceto e silfio. Con questo ti venga anche servita arrosto tutta la tribù degli
uccelletti di stagione. Non fare come quei Siracusani che bevono come ranocchi
senza mangiare niente. Non imitarli e mangia quello che ti ho detto. Tutte le
altre cose che si servono col vino - ceci, fave, mele e fichi secchi - sono
indice di nera miseria. Accetta soltanto quella pancetta che si fa ad Atene; o,
se non la trovi e te ne portano una fatta da qualche altra parte, chiedi almeno
che essa ti venga servita con un po’ di miele attico, poiché questo la renderà
deliziosa”. Dopo questi preliminari Archestrato entra nel vivo del suo argomento
che riguarda i prodotti del mare ed ormai nel III secolo a.C. il pesce aveva
assunto un'importanza fondamentale nell'alimentazione. I nomi dei pesci che il
poeta consiglia di assaggiare sono moltissimi. Certamente molti più di quelli
che si possano oggi trovare su un mercato moderno per quanto ben fornito esso
sia; molti saranno addirittura sconosciuti alla maggior parte dei lettori. Ad
esempio la torpedine che Archestrato consiglia di mangiare stufata.<span class="apple-converted-space"> </span>Un altro pesce che affascina
Archestrato è stranamente il pescecane del quale scrive un'appassionata difesa, inoltre vanta la bontà dei bianchetti
di Atene che egli consiglia di friggere misti con anemoni di mare. Loda i
tranci di pesce spada ed il trancio del tonno che si mangia alla fine della primavera e che
consiglia di arrostire semplicemente in graticola con olio e sale, spruzzandolo
poi con quell'aceto che noi oggi usiamo sostituire col limone. E’ interessante
notare che in tutte le sue ricette Archestrato usa come condimenti soltanto
olio, aceto, vino, odori freschi, erbette, semi di cumino e di sesamo e sale
puro. A volte usa il silfio, ma moderatamente e non impiega mai il garum.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b style="text-indent: 35.4pt;"><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“IL GALATEO” DEL BANCHETTO</span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQeMMM74yVvMj0ttQtXG4JzSR6BIGV-4cjuvm3qypI0F4APBH9QcLl6tdaFL8DfR_Djk44UB6EnbguFfKfymuxmIavWoeWSgdEg1NHtBkHrgmoCncVN7NUNb-qUc0wh6GICcNYTgYxLTqc/s1600/matrimonio_280x0.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQeMMM74yVvMj0ttQtXG4JzSR6BIGV-4cjuvm3qypI0F4APBH9QcLl6tdaFL8DfR_Djk44UB6EnbguFfKfymuxmIavWoeWSgdEg1NHtBkHrgmoCncVN7NUNb-qUc0wh6GICcNYTgYxLTqc/s320/matrimonio_280x0.jpg" width="261" /></a></div>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nel periodo immediatamente
successivo al VI secolo che la mensa subisce una vera e propria rivoluzione e
nasce quella che sarà poi la forma tradizionale della cena classica: i clinai
divengono lussuosi, i materassi e cuscini morbidi, i drappi per coprirli
eleganti. La suppellettile che si ritrova nelle tombe è spesso ricca e preziosa
e nei musei si ammirano le graziose fialette per i profumi che venivano offerti
ai convitati nel corso di tutti i banchetti compreso quello eterno della morte
e troviamo quelle corone conviviali foggiate con l'immortale oro che nella
realtà della vita quotidiana erano più spesso intrecciate con corolle
profumate. Nel banchetto erano ammesse volgarità e comportamenti mai esistiti
in epoca omerica. Ad esempio, come nota anche Ateneo, ogni qual volta durante
le antiche cene nasceva un disaccordo tra gli eroi di Omero, essi si
scagliavano l'uno contro l'altro come tigri e fra loro nascevano liti furiose,
ma la scena non degenerava mai nello scurrile: quei colossi cercavano al
massimo di ammazzarsi tra loro, astenendosi correttamente da atti volgari e di
cattivo gusto come quelli che in epoche posteriori verranno loro attribuiti
dagli scrittori del V sec. a.C., incidenti che a questi dovevano sembrare
normali dato che chi li riferiva doveva avervi frequentemente assistito.<span class="apple-converted-space"> </span>Così Eschilo in una commedia satirica,
attribuendo i costumi della sua epoca agli eroi omerici riuniti a cenare, li
immagina talmente ubriachi da cominciare a rompersi sulla testa i loro vasi da
notte. Sofocle anche lui si compiace nel descrivere una simile scena e nel
Commensale Acheo scrive " Ma in un attacco d'ira mi gettò il maleodorante
vaso e non mancò il bersaglio!". Questo nei poemi omerici non capita mai:
persino quando gli scostumatissimi Proci ubbriachi fradici si infuriano con
Ulisse, l'unica cosa che gli scagliano contro è un piede di bue. Non c'è dubbio
che, se i Proci avessero avuto il costume di portarsi a cena i vasi da notte,
li avrebbero usati e magari con entusiasmo, ma evidentemente a quei tempi
questo non si faceva ancora.<span class="apple-converted-space"> </span>Non
c'è però dubbio alcuno che nel V sec. a.C. questi utili, ma certamente poco
profumati recipienti, erano divenuti un accessorio indispensabile della mensa.
Alla domanda di Eupolis che si chiede "Chi fu per primo colui che a metà
del simposio gridò "Ragazzo! Portami il vaso da notte!" non si può
rispondere altro che fu certamente un contemporaneo di Sofocle e che, sfortunatamente,
questo tale riuscì a lanciare una moda.<span class="apple-converted-space"> </span>Nella ceramica dell'epoca troviamo persino la rappresentazione di questi
recipienti e su una coppa viene presentato un tale che ad un banchetto soddisfa
i suoi bisogni adoperando l'apposito arnese: un recipiente di forma
particolare. Una bella flautista, praticamente nuda sotto il drappo che veniva
usato quando ci si sdraiava sul letto tricliniare per coprire la parte inferiore
del corpo, si appoggia a lui suonando un gaio motivo conviviale e non sembra
affatto interessata o scandalizzata dalla scena.<span class="apple-converted-space"> </span>L'usanza del vaso da notte passò poi
nel resto del mondo classico greco e romano e continuò fin nelle epoche più
tarde interrotta soltanto dal raffinatissimo Adriano che risolse il problema
circondando i suoi triclini di eleganti latrine individuali, mantenute
scrupolosamente pulite dall'acqua che vi scorreva in continuazione. Ma anche il
geniale imperatore non poté far scomparire l'uso di questi utili ma indecenti
arnesi e dopo di lui i vasi da notte ripresero trionfalmente il loro posto
nelle cene eleganti.Naturalmente per queste riunioni gli artigiani dell'epoca
crearono recipienti molto eleganti ed in metalli preziosi. Ci fu chi se li fece
foggiare in onice ed Eliogabalo arrivò persino ad usare per essi la murrina, la
misteriosa pietra dura nella quale si intagliavano le preziosissime e
costosissime coppe murrine: tutti materiali che sembrano davvero sprecati per
tale uso anche se si capisce che, dovendo usarli in pubblico, la gente
preferisse vasi da notte speciali e, per così dire, da parata.<span class="apple-converted-space"> </span>E’ probabile che di materiale prezioso
venissero fatti soltanto quelli
destinati agli uomini e quindi quelli che venivano usati anche durante il
banchetto. Infatti non vi fu mai bisogno di particolare eleganza per gli
scaphia a forma di barchetta destinati alle donne: essi non venivano mostrati <i>coram populo</i> o almeno non lo furono nel
mondo greco dove mogli e figlie non parteciparono mai alla cena con estranei.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br />
<br />
<!--[if !supportLineBreakNewLine]--><br />
<!--[endif]--><o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
</div>
Prof Lollihttp://www.blogger.com/profile/15342236839442802116noreply@blogger.com0