La donna nella tradizione mitologica
La discriminazione delle
donne inizia con la mitologia e con le teorie di filosofi come Pitagora che,
dopo aver distinto tra un principio buono e un principio cattivo, spiega che il
primo ha creato l’ordine, la luce e l’uomo, il secondo ha creato il caos, le
tenebre e la donna! Ma pure l’ordine dell’Olimpo chiarisce in modo
inequivocabile il ruolo delle donne: destinate a procreare e non certo ad avere
il potere. Pensiamo ad una donna consacrata dal mito come Pandora, la donna che, obbedendo ad istinto attribuito principalmente alle donne, non si oppone alla
curiosità e viola il perentorio divieto di Giove: il vaso deve restare chiuso o
il male invaderà il genere umano. E’ difficile ricostruire con precisione quale
è stato il ruolo della donna nella società antica in quanto le fonti storiche
si soffermano sui protagonisti della storia, sempre e solo uomini, e
tralasciano gli esclusi o le classi subalterne. Le donne romane, sebbene
abbiano partecipato più attivamente alla vita pubblica di quelle greche,
tuttavia furono estromesse da attività considerate prettamente maschili come la
guerra e la politica. Per ricostruire la figura e il ruolo della donna nelle
società antiche ci viene in aiuto la letteratura con tutti i suoi limiti legati
alla possibilità di travisare i fatti, distorcerli o semplicemente abbellirli.
In realtà le figure femminili che riusciamo a tratteggiare sono o appartenenti
all'alta società oppure cortigiane, ma non riusciamo a tracciare un ritratto
attendibile delle donne del ceto medio. Ricostruire la complessità
dell’accettazione del ruolo della donna sin dall'antichità ci può aiutare a
spiegare e a comprendere certe resistenze culturali a considerarla come essere
umano e basta! La donna è sempre associata a valori negativi: si pensi, per
esempio, al bellissimo racconto della storia di Amore e Psiche, ancora una volta
la donna viene presentata come un essere che non sa accontentarsi neppure se ha
tra le mani l’assoluta felicità e tutte le ricchezze desiderabili, sembra quasi
irresistibile per lei il richiamo a distruggere tutto ciò che di buono ha
intorno spesso a causa della “curiosità”. Per non parlare della citata
Pandora! Le divinità femminili dell’Olimpo sono solo cinque: Giunone, Venere,
Minerva, Diana e Vesta. Giunone rappresenta
il prototipo di moglie fedele e possessiva, incapace , però, di tenere a bada
gli istinti irrefrenabili di un marito troppo sensibile al fascino delle donne.
Venere è il paradigma della bellezza
fisica, oca quanto basta, imbarazzante in ogni intervento, invidiosa e gelosa
del proprio figlio, con una non certo lodevole propensione all'adulterio,
consuetudine non proprio degna di una donna. Minerva è forse la divinità femminile più complessa: è la dea della
sapienza, qualità assolutamente maschile, e dea della guerra, anche questa
attività riservata solo agli uomini. In effetti la particolarità di questa dea
è proprio che rappresenta la negazione di tutto ciò che è femminile: costei
resta vergine ed è nata dalla testa di Giove, che si appropria di una
prerogativa femminile, per far nascere una divinità fuori dal comune, anche se
non dimentichiamo che la capacità di “ dare la vita” anticamente apparteneva
all'uomo. Si pensi alla nascita della dea Venere nata dalla schiuma del mare
fecondata dai genitali recisi del povero Urano! Diana è anche lei una dea mascolina, è la dea protettrice della
caccia, attività riservata agli uomini, protettrice delle Amazzoni donne con
attributi maschili e non si è mai sottomessa ad un matrimonio monogamo. Infine Estia , vergine anche lei ( era questo
un attributo considerato assai rilevante dai Romani) come le sue sacerdotesse
che venivano uccise barbaramente se avessero perso la verginità sia pure in
seguito ad un abuso (si pensi a Rea Silvia!), preposta a custodire e a vegliare
sul focolare, a garantirne la pace proprio come fa una buona madre di famiglia.
Come si può ben capire non c’è un equivalente femminile di Giove che possieda
tutte le migliori, e peggiori, caratteristiche del gentil sesso, e questo si
spiega con una mentalità che nega alla donna grandi capacità e qualità da
esprimere. Proprio per compensare i limiti di una donna, Demostene sosteneva:”
Noi abbiamo amanti per il nostro godimento, concubine per servire la nostra persona
e mogli per generare la prole legittima”. In effetti nell'antica Grecia un
uomo, per essere soddisfatto, aveva tre donne: la moglie che viveva nel
gineceo, curava i figli legittimi e la casa ed era esclusa completamente dalla
vita del marito; la concubina che aveva anche mansioni umili e doveva essere
fedele all'amante proprio come la moglie legittima; infine l’etera che era
un’accompagnatrice e che aveva accesso ai luoghi comunemente interdetti alle
mogli e alle concubine. La marginalità della figura femminile è attestata
persino dal fatto che mentre le divinità maschili avevano una totale libertà
sessuale e potevano avere rapporti sia con divinità che con donne
mortali senza nessun problema, per le dee la situazione era ben diversa,
qualora un mortale se ne innamorasse o giacesse con loro poteva solo finire
tragicamente, come accadde ad Adone dopo aver amato la bella Venere. Persino
nei rapporti omosessuali c’è discriminazione: gli dei possono avere rapporti
con uomini, ma non abbiamo nessun riferimento circa la possibilità o la libertà
dell’amore saffico. Le qualità apprezzate nelle donne , ieri come oggi, erano
la bellezza ( per la bellezza di Elena è addirittura scoppiata una guerra!), la
bravura nei lavori domestici e l’ubbidienza, ma non di minore importanza la
pudicizia e la fedeltà, qualità affatto richieste agli uomini. L’atteggiamento
maschile nei confronti delle donne è di sostanziale diffidenza e dubbio, si
pensi alla povera Penelope che dopo aver fatto e disfatto la tela in attesa che
quel fedifrago di Ulisse ritrovasse la strada di casa, sarà l’ultima a sapere
del ritorno del coniuge che si dovrà accertare, lui dissoluto e infedele, della
pudicizia della moglie. Del resto lo stesso Ulisse, disceso nel regno dei morti,
consiglia all'amico Agamennone di non essere mai troppo dolce con le donne, di
dire una parola ma di serbarne sempre un’altra e di non dimenticare mai che la
donna è un essere infido. Non dimentichiamo che ci sono seri dubbi circa la
paternità di Telemaco, del resto:” Mater semper certa est, pater incertus!” e
che la bella Penelope può sia incarnare, se letta positivamente, tutte le
qualità femminili più apprezzate da un uomo, ma se letta in chiave più misogina
e maliziosa si noteranno azioni e scelte non sempre in armonia con la sua
posizione sociale( la donna non cede alle avances dei Proci perché teme che
gliene possa derivare una cattiva fama, ma più volte pensa all’opportunità di
sistemare la sua situazione vista la lunga assenza del marito).
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