Essere donne nell'antichità
La società antica era
fortemente discriminante nei confronti delle donne semplicemente per la loro “
natura”. Se essere donne era già limitante, essere donne schiave era terribile,
in quanto oltre a non godere di libertà personale, le schiave erano un vero e
proprio oggetto sessuale a disposizione del padrone al quale dovevano chiedere il permesso di
unirsi ad un altro uomo e che poteva spezzare qualsiasi legame a proprio
piacimento. Anche la sessualità della donna deve essere fortemente limitata in
quanto deve avere come unico scopo la procreazione, pertanto l’adulterio
femminile non può neppure essere concepito. Nell'antica Grecia, l’intransigente
Dracone nel VII secolo a. C. ammetteva che chiunque avesse scoperto sua moglie
o sua sorella o sua madre in flagrante adulterio, avrebbe potuto vendicarsi o
uccidendo l’adultero o infliggendogli una pena terribile che poteva essere la
rasatura del pube, per rendere l’uomo simile alla donna, o la cosiddetta “ pena
del ravanello” , che si commenta da sola! Perché veniva punito l’uomo in caso
di adulterio e non la donna? La risposta è drammaticamente ovvia: la donna, non
avendo volontà personale, non è adultera, ma adulterata cioè sedotta, corrotta, insomma vittima, sia pure
consenziente. La considerazione per le donne era veramente minima:
rappresentavano un grosso problema per la famiglia in quanto improduttive e
dovevano essere mantenute fino al matrimonio che, come si è detto, in Grecia
avveniva prestissimo. Un personaggio letterario interessante per comprendere la
condizione delle donne in Grecia è Medea: la donna abbandonata dal marito, che
uccide i suoi figli per vendetta e che , in un lungo monologo si lamenta della
dura condizione delle donne. “ Noi donne
siamo l’essere più infelice tra tutti quelli che sono forniti di anima ed hanno
intelligenza, noi a cui in primo luogo è necessario con molte ricchezze
comprare un uomo e prenderlo come padrone del corpo: certamente del male questo
è ancora peggiore. Ancora il rischio maggiore è in questo: prenderlo cattivo o
buono. Infatti le separazioni non sono onorevoli per le donne, e neppure è
possibile rifiutare lo sposo. Bisogna poi che, giunta in mezzo a nuove
consuetudini e leggi, la donna sia indovina, non avendolo imparato da casa di
chi mai principalmente si servirà come sposo e se lo sposo conviva con noi, che
avremo ben conseguito ciò sopportando non a forza il giogo, la vita è
invidiabile se no è necessario morire. L’uomo, quando si sdegna di stare
assieme a quelli dentro casa, recandosi fuori fa cessare il cuore dal tedio,
volgendosi o ad un amico o ad un coetaneo. A noi invece è necessità guardare ad
una sola anima, poiché io preferirei stare presso lo scudo tre volte piuttosto
che una sola volta partorire…” . Lo sfogo di Medea è singolare non solo
perché precede la ribellione contro il marito che la donna sta meditando, ma
anche perché è la prima volta che la letteratura concede questo tipo di spazio
ad una figura femminile. Un contributo importante per una maggiore accoglienza delle
donne sarà offerto dal filosofo Socrate del quale, purtroppo, non abbiamo opere
scritte e il cui pensiero ci è noto grazie all’opera dei suoi discepoli.
Certamente Socrate tenta di infrangere un pregiudizio resistente e radicato,
ossia l’inferiorità della donna determinata dalla natura che il filosofo
contesta ritenendo che la donna è resa inferiore dalla mancanza di istruzione e
dalla minore forza fisica, quindi diventa inferiore perché le vengono negati
gli strumenti dei quali l’uomo dispone per consolidare la propria superiorità.
Socrate apre ad una concezione della donna quasi paritaria e certamente non fu
misogino, come molti suoi contemporanei. Saranno i cinici ad affermare in modo
inequivocabile la parità tra uomo e donna, parità che comprendeva anche la
libertà sessuale e il diritto di scegliersi il marito. Si allinearono a queste
posizioni anche gli epicurei e i pitagorici. Ci penserà Aristotele a far fare
un balzo indietro all'apertura verso le donne ribadendone l’inferiorità e
fornendo un puntello scientifico alla sua teoria sulla evidente superiorità
degli uomini. Una teoria, quanto meno singolare, che parte dalle componenti
organiche che collaborano alla procreazione: lo sperma, secondo Aristotele
parte pura e attiva, e il mestruo, parte impura e passiva. La donna, avendo un
ruolo subalterno e passivo nella procreazione dimostra inequivocabilmente la
sua inferiorità e la sua marginalità rispetto ad una società che è retta dagli
uomini. La differenza biologica, che Aristotele pone come spiegazione alla
inferiorità della donna, è il presupposto culturale al ruolo marginale che le
viene assegnato all'interno della società. Il mondo ellenistico, invece, metterà da parte
i sentimenti misogini e i soliti cliché che volevano la donna stupida, dedita
al vino o lussuriosa, anzi le degradazioni comiche derivano dalla
consapevolezza del mutato ruolo delle donne alla ricerca di una rivincita.
A me piace molto la filosofia, diciamo che sono un amante dei pensatori, amante delle domande e delle risposte. Solo su una cosa non sono d'accordo con loro, ovvero il pensiero sulle donne. Certo a quei tempi le donne erano considerate inferiori, ma purtroppo, secondo me, non ci siamo evoluti abbastanza. Nel senso che anche oggi c'è gente che pensa che le donne siano solo un corpo. Ma è grazie alle donne che siamo qui, dobbiamo TUTTO alle donne.
RispondiEliminaFinisco con dirle che come al solito ha fatto un ottimo lavoro ed è stato molto interessante imparare di più sul passato.
La lascio con una citazione di un autore che non ricordo il nome:" Con una donna si possono fare due cose, amarla, o trasformarla in poesia".
Deliziosa la tua citazione e ricca di quella vitalità che le donne sanno esprimere per quel dono speciale che hanno di dare la vita.....Grazie per il tuo interesse e la tua sensibilità!
RispondiElimina