sabato 9 novembre 2024

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.(Art 21 Costituzione)

 La nostra Costituzione vede la luce dopo un momento storico drammatico e fa tesoro della negazione di tutti i diritti umani calpestati e vilipesi, di tutta la violenza che ha dominato per un ventennio il nostro paese( e non solo), di tutto il peso di un'ideologia che ha devastato le cose e le persone. I principi fondamentali della Carta Costituzionale fissano diritti inalienabili, diritti per i quali molti hanno combattuto fino a perdere la vita. Che cosa è successo da quel 1 gennaio del 1948? Quando abbiamo perso di vista il valore pregnante di quelle parole che suonavano come un monito?

Manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola” non è da leggere come l’autorizzazione ad offendere, attaccare, umiliare, sopraffare chiunque non condivida il nostro punto di vista o, peggio, ne abbia uno diametralmente opposto. I Padri Costituenti hanno voluto riaffermare, dopo l’assordante silenzio in cui il nostro paese era stato condannato, il diritto di esprimersi, il diritto di obiettare, il diritto di dissentire e disobbedire senza pagare con la vita le proprie idee. Qual è il punto? L’inconcepibile violenza verbale, mascherata da libertà di opinione, è il frutto di una totale e nefasta assenza di contenuti. La prevaricazione, anche solo verbale, rappresenta l’unico mezzo per imporre il proprio pensiero o, peggio, per ottenere il facile consenso che gli urlatori seriali, spesso ignoranti e privi di contenuti, desiderano fortemente. Quell’articolo voleva affermare un concetto semplice e fondamentale: la società civile e la politica devono nutrirsi di un confronto serio e continuo, non esiste un solo pensiero giusto, ma ciascuno deve partecipare al dialogo politico portando il suo contributo di idee e conoscenze. Ecco segnato il labile confine, ormai del tutto cancellato: libertà di parola si traduce in un attacco indiscriminato e irrefrenabile verso chiunque non condivida il nostro pensiero o la nostra ideologia o il nostro orientamento religioso o sessuale, verso chiunque percepiamo diverso da noi. E allora tutti contro il compagno troppo grasso, troppo magro, troppo alto, troppo studioso, troppo amabile, gay o trans, troppo brillante rispetto a noi. Tutti contro il collega più in difficoltà, tutti contro il capo( fa molto rivoluzionari), tutti contro uno anche fra gli adulti. E giù insulti, frasi taglienti come spade, parole usate per ferire deliberatamente, per fare del male fino ad uccidere.

E neppure il dibattito politico è scevro da questa involuzione! Non si discute di programmi, non si affrontano problemi, ma si urla, si attacca l’avversario politico, meglio se sul personale, si urla ammettendo un solo punto di vista giusto: il proprio. E allora l’ideologia diventa l’alibi più meschino per nascondere la volontà di ritornare ad un unico pensiero prevalente, come se la storia non ci avesse insegnato nulla. Non si ribatte con dei contenuti seri e con idee supportate da fatti, si ribatte e basta sventolando spettri come il fascismo mentre se ne assumono tutti i comportamenti deplorevoli.

Il confronto pacato e responsabile presuppone contenuti, valori da difendere e di cui farsi paladini, idee che affondano le radici nello studio e nella ricerca. Non la ricerca su un qualsiasi motore di ricerca, ma la lettura attenta delle fonti e l’analisi di tutto ciò che è stato scritto sull’argomento. Leggere una tendenziosa sintesi di una norma o di libro o di un saggio non basta. E invece si. Si millanta una conoscenza che si rivela insufficiente e che inesorabilmente trascina verso l’aggressione verbale. Quante volte ho avuto di fronte tuttologi dell’ultimo minuto che si riferivano a norme apprese attraverso tendenziose letture preconfezionate per gli ignoranti!

Abbiamo disimparato a ponderare il peso delle parole, mirabile strumento per dare senso ai pensieri, alle conoscenze, ai sentimenti, ai sogni, ai principi e ai valori. Siamo spinti dallo scontro a tutti i costi anche quando siamo chiamati ad educare, anche quando il nostro ruolo ci affida lo sviluppo del pensiero critico dei giovani che ci vengono affidati.

Il rispetto dell’avversario è stato annientato dal bisogno irrefrenabile di affermare un ego troppo spesso ipertrofico, di dimostrare che sappiamo tener testa a chi comanda. Dov’è finito l’esempio di Gesù Cristo, di Martin Luther King o di Ghandi che hanno portato avanti una vera rivoluzione culturale senza strillare, senza offendere, senza distruggere e senza colpire il proprio avversario?

In nome di una imbarazzante, falsa e ipocrita uguaglianza abbiamo derogato al requisito fondamentale : chi parla deve avere qualcosa da dire che poggia su solide conoscenze, deve sentire la responsabilità dell’effetto che generano le parole, soprattutto se riveste il ruolo di politico, educatore o ha un peso sociale rilevante, senza dimenticare di essere un modello, meglio se positivo.

La libertà di parola deve essere esercitata all’interno di una cornice valoriale imprescindibile che vede nell’antagonista non il nemico da distruggere, offendere o annientare, ma un interlocutore alla pari da rispettare sempre e comunque. Esprimersi senza offendere, pesare le parole deve essere un imperativo categorico, deve essere l’unica modalità di confronto. Il resto è spettacolo, è ricerca di consenso tra quella parte priva di contenuti che veste i panni del rivoluzionario per moda.

Guardo con orrore a questo abuso della libertà di opinione di chi vuole, a tutti i costi, creare un clima sociale conflittuale in cui la pluralità di vedute non è più considerata un valore. Mi preoccupa la strumentalizzazione continua dei giovani e la volontà di catechizzare piuttosto che educare allo studio e alla ricerca. E mentre con slogan ad effetto si ribadisce il diritto di ciascuno di affermare la propria persona, le proprie inclinazioni, mentre si continua  a lottare perché la diversità sia riconosciuta quale valore e ricchezza, ci si abbandona all’offesa e alla demolizione di chiunque non la pensi come noi. La diversità è sempre e soltanto una ricchezza da difendere e coltivare, non può essere una bandiera da sventolare  occasionalmente o al bisogno. Eppure non riesco a rassegnarmi a questo clima di violenza e di scontro continuo. Eppure voglio continuare a credere che tra persone perbene il confronto sia possibile nel rispetto dell’altro. Eppure voglio credere che solo l’individualismo bieco e senza scrupoli alimenti una conflittualità che trovo, francamente, inutile e distruttiva.