DEFINIZIONE
DEL FENOMENO
Con la crisi di valori che
le società stanno vivendo, i diritti dei minori sono negati e tale condizione è
emarginata. Il bambino, fin dai primi giorni di vita, attraverso l’imposizione
dei modelli di comportamento e degli schemi educativi , può subire, all’interno
dell’ambiente familiare, forme di “micro-violenza”, ovverosia un insieme di
atteggiamenti, assunti “per il suo bene”, ma che , alla fine, si trasformano in
atti di “macro-violenza”. L’Osservatorio nazionale per l’infanzia definisce il
bullismo “una prepotenza di qualunque
genere perpetrata da uno o più ragazzi nei confronti di altri ragazzi”.
Dunque il bullismo non è che la traduzione, negli ambienti dedicati
all’infanzia e all’adolescenza, di ciò che accade nella società ma con una
variabile importantissima: le vittime non sanno difendersi e i “ carnefici”, in
quanto minori, godono di ampie garanzie di impunità.
■ Il
bullismo è un fenomeno che ormai coinvolge la scuola, la famiglia e la società
intera e che non si limita ad episodi di angheria e sopruso tra ragazzi, ma si può
estendere anche alle attenzioni sessuali verso un insegnante video ripreso in
classe o l’aggressione di un genitore ai danni del preside di una scuola. Il
bullismo è un tipo di comportamento aggressivo particolarmente insidioso e
pervasivo che si basa sull’intenzione ostile di uno o più ragazzi, sulla
ripetitività nel tempo dell’azione persecutoria e sulla debolezza della vittima
che difficilmente riesce a difendersi. La motivazione del bullismo non è quella
di reagire in modo violento ad una situazione di provocazione o di ottenere dei
vantaggi materiali mediante un attacco diretto ad un compagno; la motivazione
ultima è di tipo relazionale, ed è
quella di affermare il potere di uno sull’altro nell’ambito della propria rete
sociale di riferimento. Le
caratteristiche distintive del fenomeno possono essere così riassunte:
■ intenzionalità, cioè il fatto che il bullo mette
in atto premeditatamente dei comportamenti aggressivi con lo scopo di offendere
l’altro o di arrecargli danno; è questo un aspetto rilevante, sebbene non
sempre tutti i ragazzi abbiano piena consapevolezza di cosa stanno facendo;
■ persistenza: sebbene anche un singolo episodio possa
essere considerato una forma di bullismo, l’interazione bullo-vittima è
caratterizzata dalla ripetitività di comportamenti di prepotenza protratti nel
tempo;
■ asimmetria
di potere: si tratta di
una relazione fondata sul disequilibrio e sulla disuguaglianza di forza tra il
bullo che agisce, che spesso è più forte o sostenuto da un gruppo di compagni,
e la vittima che non è in grado di difendersi;
■ natura
sociale del fenomeno:
come testimoniato da molti studi, l’episodio avviene frequentemente alla presenza
di altri compagni, spettatori o complici, che possono assume-re un ruolo di
rinforzo del comportamento del bullo o semplicemente sostenere e legittimare il
suo operato.
Il fenomeno presenta quindi una
forte complessità, sia a livello di definizione che di dinamica reale degli
eventi, poiché non include azioni negative occasionali fatte per scherzo o per
un impeto di rabbia, ma viene usato come una specie di script, cioè come
una sequenza, tutto sommato abbastanza stereotipata, nella quale gli attori
svolgono ruoli stabiliti (bullo, vittima, osservatore, sostenitore del bullo,
difensore della vittima). Il fenomeno del bullismo, anche se con altre
modalità, è stato da sempre un tratto saliente della vita sociale dei giovani e
degli adolescenti. Ne sono una testimonianza i romanzi e i racconti in cui
questo fenomeno viene narrato e descritto. Lo scrittore di fine secolo Edmondo
De Amicis, nel lontano 1886, descrive il bullo Franti nel suo libro “Cuore”:” E’ malvagio. Quando viene un padre a scuola
a fare una partaccia al figliolo, egli ne gode; quando uno piange, egli
ride…Provoca tutti i più deboli di lui, e quando fa a pugni, s’inferocisce e
tira a far male. Ci ha qualcosa che mette ribrezzo su questa fronte bassa, in
quegli occhi torbidi che tiene quasi nascosti sotto la visiera del suo
berrettino di tela cerata. Non teme nulla, ride in faccia al maestro, ride
quando può, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcuno, si
porta a scuola degli spilloni per punzecchiare i vicini, si strappa i bottoni
della giacchetta, e ne strappa agli altri, e li gioca, e ha cartella, quaderni,
libri, tutto sgualcito, stracciato, sporco, la riga dentellata, la penna
mangiata, le unghie rosse, i vestiti pieni di frittelle e di strappi che si fa
nelle risse”. Non è tanto la pervasività del fenomeno che ci deve
preoccupare, ma la gravità e la violenza con cui a volte si manifesta in una
fetta più ristretta della popolazione. Le prepotenze possono essere dirette e
indirette: le prime sono manifestazioni più aperte, visibili, di prevaricazione
nei confronti della vittima e possono essere sia di tipo fisico(colpi, pugni,
calci) sia di tipo verbale(minacce, offese). Le prepotenze indirette, invece,
sono più nascoste, sottili e, per questo, spesso più difficilmente rilevabili;
gli esempi più frequenti sono l’esclusione dal gruppo e la diffusione di
calunnie sui compagni. Differenziare questi due tipi di prepotenza permette di
rendere conto delle differenze legate alla variabile sesso, poiché, mentre nei
maschi sembrano prevalere le prepotenze di tipo diretto, soprattutto quelle
fisiche, sono le femmine a mettere in atto più spesso quelle di tipo indiretto. La nuova frontiera del bullismo è
certamente il cyberbullismo, una forma di prevaricazione che si basa sull’uso
di internet o del telefonino per fare prepotenze ad un compagno. Questo
fenomeno prevede l’invio di sms, e-mail o la creazione di siti internet che si
configurano come minaccia o calunnia ai danni della vittima, e la diffusione di
immagini e filmati compromettenti tramite internet. In età adolescenziale il
bullismo si lega in modo rilevante con sintomi di malessere psicologico, con
comportamenti devianti e antisociali e con uso di alcol e di sostanze
psicoattive. Diventa uno degli indicatori del disagio in adolescenza. Nella
scuola primaria la stragrande maggioranza degli studenti dichiara che le
prepotenze avvengono nelle aule e più raramente nel cortile, nei corridoi o nei
bagni della scuola. In genere i bulli appartengono alla stessa classe delle
vittime o a classi superiori, e le vittime dichiarano che a molestarli sono
soprattutto un singolo ragazzo o un gruppo di ragazzi o anche, ma meno
frequente, un gruppo misto di ragazze e ragazzi. Nel caso delle scuole
superiori il bullismo si allarga alla sfera extra scolastica ed emerge una
quota significativa di problemi che avvengono sui mezzi di trasporto(19,8%),
per strada(34,6%) e nelle compagnie del tempo libero(37,5%). Inoltre, in una
parte dei casi, si evidenziano prepotenze di ragazzi più grandi contro più
piccoli. La dominanza del bullo sembra
essere rafforzata dall’attenzione e dal supporto dei sostenitori,
dall’allineamento degli aiutanti, dalla deferenza di coloro che hanno paura e
dalla mancanza di opposizione della maggioranza silenziosa. Il bullismo, cioè,
è un fenomeno che si fonda sulla motivazione alla dominanza del bullo, sulla
fragilità della vittima, ma anche sulla deferenza degli spettatori che spesso
temono ritorsioni e non fanno nulla per fermare le prepotenze, inoltre
coinvolge frequentemente la classe o il gruppo nel suo insieme. Quali i
fattori? Tra i fattori legati al contesto di vita del soggetto, possiamo
rintracciare la classe sociale e la famiglia di provenienza. Ciò che sembra
influire sull’ampiezza del fenomeno non è tanto la classe sociale di
appartenenza, quanto l’ambiente, il quartiere e la zona della città in cui i
ragazzi vivono: ossia, la cultura di riferimento. In relazione alla famiglia
molto si è indagato, in particolar modo sul rapporto tra clima educativo creato
dai genitori, e problemi di bullismo e vittimizzazione. Nel caso del bullismo
si è trovata una relazione sia con un’educazione permissiva, sia con
un’eccessiva severità, autoritarismo e coercizione. Per la vittima una delle
problematiche più rilevanti è costituita dagli atteggiamenti iperprotettivi dei
genitori e da un nucleo familiare troppo coeso. Coloro che sono vittime o bulli
a casa hanno una maggiore probabilità di mantenere lo stesso ruolo anche nel
contesto scolastico. Anche l’insegnante ha un ruolo importante: studi recenti
dimostrano come una relazione cattiva con l’insegnante improntata a
insoddisfazione e percezione di non accettazione si correla con una maggiore
incidenza del bullismo nelle classi. Si è tentato di tracciare un identikit del
bullo che presenta alcune caratteristiche ricorrenti come aggressività
generalizzata, impulsività, irrequietezza, scarsa empatia, atteggiamento
positivo verso la violenza che sembrano essere le radici del comportamento
prepotente e per converso nell’insicurezza, nella scarsa autostima, quelle del
comportamento della vittima. La scuola è il luogo in cui gli atti di bullismo
si manifestano con maggiore frequenza, soprattutto durante i momenti di
ricreazione e nell’uscita da scuola. Proprio a causa di ciò le vittime dei
bulli spesso rifiutano di andare a scuola. Rimproverati continuamente di
“attirare” le prepotenze dei loro compagni, perdono sicurezza e autostima.
Questo disagio può influire sulla loro concentrazione e sul loro apprendimento.
Spesso ragazzi con sintomi di stress, mal di stomaco e mal di testa, incubi o
attacchi di ansia, o che marinano la scuola o, peggio ancora, hanno il timore
di lasciare la sicurezza della propria casa, sono le vittime prescelte dal
bullo. In genere le vittime sono più deboli fisicamente della media dei
ragazzi. Anche l’aspetto fisico può giocare un ruolo nella designazione della
vittima, anche se non è determinante. Le vittime sono, per lo più, soggetti
sensibili e calmi, anche se al contempo sono ansiosi e insicuri. Talvolta
soffrono anche di scarsa autostima ed hanno un’opinione negativa di sé e della
propria situazione. La caratteristica più evidente del comportamento da bullo è
chiaramente quella dell’aggressività rivolta verso i compagni, ma molto spesso anche verso i genitori e gli
insegnanti. I bulli hanno un forte bisogno di dominare gli altri e si
dimostrano spesso impulsivi. Vantano spesso la loro superiorità, vera o
presunta, si arrabbiano facilmente e presentano una bassa tolleranza alla
frustrazione. Manifestano grosse difficoltà nel rispettare le regole e nel
tollerare le contrarietà e i ritardi. L’atteggiamento aggressivo prevaricatore
di questi giovani sembra essere correlato con una maggiore possibilità, nelle
età successive, ad essere coinvolti in altri comportamenti problematici, quali
la criminalità o l’abuso da alcol o da sostanze. All’interno del gruppo vi
possono essere i cosiddetti bulli
passivi, ovvero i seguaci o sobillatori che non partecipano attivamente
agli episodi di bullismo. E’ frequente che questi ragazzi provengano da
condizioni familiari educativamente inadeguate, il che potrebbe provocare un
certo grado di ostilità verso l’ambiente. Le vittime presentano sin
dall’infanzia un atteggiamento prudente e una forte sensibilità. Un
atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di calore e di
coinvolgimento, da parte delle persone che si prendono cura del bambino in
tenera età, è un ulteriore fattore importante nello sviluppo di modalità
aggressive nella relazione con gli altri. Il fenomeno, tuttavia, è da inserire
in un reticolo di fattori concatenati tra loro. Gli stili educativi
rappresentano un fattore cruciale per lo sviluppo o meno delle condotte
inadeguate. E’ interessante sottolineare come il grado di istruzione dei
genitori, il livello socio-economico non sembrano essere correlate con le
condotte aggressive dei figli.
QUALI
LE STRATEGIE POSSIBILI PER LA SCUOLA
L’Istituzione scolastica ha un ruolo
fondamentale, in quanto istituzione sistematica e intenzionale, nel favorire la
crescita civile e culturale per una piena valorizzazione della persona. Il
sistema di istruzione e formazione in Italia, a partire dalla fine degli anni
Ottanta, ha subito profondi cambiamenti che ne hanno modificato
l’organizzazione, la struttura, la mission e la vision. Il trattato di
Maastricht del 1992 ha segnato l’inizio di un percorso che , mentre avviava
l’unificazione economica e monetaria dei paesi europei, assegnava proprio alla
scuola il ruolo centrale per la riqualificazione del sistema economico,
considerando i sistemi scolastici dei singoli Stati fattori determinanti del
rinnovamento. L’Italia non si sottrae al cambiamento e, gradualmente, trasforma
un’organizzazione burocratizzata e gerarchica in un sistema che promuove la
cultura del risultato e diventa serviente con un protagonista, lo studente, non
più passivo ma coattore del sistema scolastico. La scuola, da sempre sistema
rigido e particolarmente chiuso ai grandi sconvolgimenti, non si è potuta
sottrarre a questa rivoluzione e, sollecitata anche dalle neuroscienze che
hanno posto l’attenzione sul dato che non è più possibile pensare ad un apprendimento
di tipo lineare, ma che ogni individuo è dotato di una sua peculiare e
specifica intelligenza e che ciascuno ha il diritto sacrosanto di essere
valorizzato e di essere al centro dell’azione educativa, ha cominciato a
recepire la lezione che compito precipuo
degli educatori deve diventare imparare a comprendere, conoscere e
stimolare l’intelligenza di ogni singolo alunno, la cui figura è diventata il centro focale
della mission dell’Istituzione
scolastica. Non più un’organizzazione lineare degli apprendimenti, ma la
disposizione di un sistema plurimo, diversificato e convergente con nuovi
obiettivi e nuove regole, un sistema più inclusivo e capace di essere
intenzionale e sistematico, come si conviene ad un istituzione cui è affidato
un compito importantissimo: la formazione dei soggetti in età evolutiva. L’UE
ha contribuito, in maniera sostanziale, a promuovere i cambiamenti sollecitando
nel 2013 la realizzazione di un sistema di formazione in grado di contribuire
ad una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva partendo dalla considerazione che i giovani sono un
capitale umano di inestimabile valore che deve essere adeguatamente formato e
orientato durante il lungo percorso di sviluppo all’interno dei diversi sistemi
di formazione, non solo per debellare l’increscioso fenomeno dell’abbandono
scolastico, ma anche per formare cittadini consapevoli, dotati di competenze
spendibili nel mondo del lavoro, competenze che siano la giusta sintesi di
apprendimenti formali, informali e non formali perché è ormai chiaro che la
scuola non ha più l’esclusiva quando si parla di apprendimenti. La centralità
della persona su cui l’UE insiste e su cui fonda il progetto di valorizzazione
delle risorse umane, è stata recepita anche dal nostro legislatore che già nel
2003 con la legge 53 ha introdotto il concetto di personalizzazione come condizione essenziale per garantire il
successo formativo di ogni singolo studente, nella consapevolezza che non si
può più pensare di insegnare ex cathedra
investiti di un’autorità al limite dell’inviolabile, ma l’insegnante diventa un
professionista dell’istruzione che, attraverso un lavoro di aggiornamento,
studio e ricerca , conosce le necessità dei suoi studenti, le accoglie, le
elabora e ne fa il punto di partenza per un’azione didattica personalizzata e
fatta su misura per ognuno. La garanzia del successo formativo, quale mission
dell’istituzione scolastica, non può prescindere dall’ inclusività come
obiettivo categorico non solo per i disabili, già tutelati dalla legge 104/92,
ma per tutti gli alunni che presentino una qualsiasi difficoltà legata alla
condizione socio-economica, culturale o linguistica (si pensi agli studenti
stranieri di recente immigrazione o ai bambini adottati), come espressamente
normato dal DM 27/11/12(BES) in accoglimento delle conclusioni della
Convenzione ONU e grazie all’adozione del sistema ICF che estende il concetto
di disabilità, per troppo tempo limitato al deficit fisico, al contesto socio
culturale e ambientale della persona, inclusività da garantire anche a tutti
gli adulti, stranieri o italiani, che chiedano di rientrare nel sistema
scolastico per conseguire un titolo di studio, a tutti quegli studenti che
risultino eccellenti e che meritano un adeguato riconoscimento e la giusta
valorizzazione del loro potenziale. La scuola dell’autonomia, come delineata
nel DPR 275/99 e come rafforzata nella legge 107/15, dunque, può progettare
un’azione educativa che miri allo sviluppo della persona umana, adeguata ai
diversi contesti e alla famiglia, forte di una concreta possibilità di agire
secondo le reali necessità dell’utenza e del territorio, favorendo e
incentivando la ricerca come elemento cardine per garantire professionalità
aggiornate, in grado di stare al passo con gli studi che potenziano e agevolano
la professione dei docenti. Il compito ambizioso e fondante della scuola
autonoma è formare cittadini competenti e consapevoli, in grado di diventare
capitale economico, capaci di portare un contributo personale di qualità che
realizzerà un generale passo avanti nel percorso personale e collettivo.
L’autonomia didattica, tassello imperativo in questo percorso, trova il suo
naturale corollario nell’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo a
supporto di una metodologia in divenire, che si alimenta e cerca di fondarsi
sullo studio, sull’aggiornamento e sull’approfondimento di quelle scienze,
quali la sociologia, la psicologia, l’epistemologia, le scienze
dell’organizzazione che ormai sono parte integrante del bagaglio culturale di
un docente e di un Ds. La ricerca è la conditio
sine qua non per elaborare una metodologia che abbia interiorizzato
l’assunto che un apprendimento è proficuo solo se significativo, una
metodologia che rispetti, poiché li conosce, i diversi stadi dello sviluppo
psicologico dello studente e sia basata su un’attenta ricognizione dei bisogni
formativi di ciascuno, delle caratteristiche dell’ambiente e del territorio,
una metodologia che punti alla valorizzazione della persona in un’ottica di
lifelong learning. La scuola, dunque, perde la rigidità di un sistema il cui
compito si limitava a impartire nozioni e che non teneva affatto conto
dell’importanza e dell’influenza della famiglia, per diventare un
amministrazione servente che crea sinergia con la famiglia ( si pensi al patto
di corresponsabilità) che diventa, a buon diritto, coattore del processo di
sviluppo del discente. La scuola dell’autonomia, dunque, deve progettare
un’azione educativa che miri allo sviluppo della persona umana, raccogliendo le
indicazioni che arrivano dall’Europa (si pensi al rapporto E. Cresson) e che
puntano ad un’ istruzione che favorisca l’acquisizione di nuove conoscenze,
avvicini scuola e impresa(alternanza scuola lavoro), lotti contro
l’emarginazione e consenta, attraverso la conoscenza delle lingue comunitarie,
di aprirsi ad una dimensione veramente europea. La nuova consapevolezza della
scuola circa la necessità di interagire con gli elementi che influenzano lo
sviluppo di un soggetto in età evolutiva viene dalla sociologia che indica due
diverse forze che concorrono nella formazione di un soggetto: la forza interna,
quella cioè innata, e la forza esterna che condiziona in modo prepotente lo
sviluppo cognitivo di un soggetto. Il fattore esterno, trascurato e non
adeguatamente considerato per molto tempo, è la variabile di cui la scuola deve
tenere conto, in quanto influenza, condiziona e orienta un soggetto in età
evolutiva. Entrano di diritto tra i fattori del percorso di sviluppo la
famiglia, il primo nucleo educativo e
interlocutore prezioso per programmare interventi mirati e personalizzati; la
scuola che, in quanto istituzione, deve garantire un’azione consapevole e
sistematica; il territorio, che può influenzare il soggetto offrendo o negando
alternative che completino l’offerta formativa; l’UE ,di cui l’Italia è parte,
che raccomanda di garantire attenzione al singolo per una strategia formativa
che risulterà vincente nella misura in cui saprà dotare lo studente di
competenze spendibili per l’inserimento nel mondo del lavoro; il mondo virtuale
fatto di social e di informazioni che corrono veloci e non sempre adeguatamente
selezionate, ma che influenzano le conoscenze e spesso le orientano. E’ chiaro,
dunque, che la scuola, parte della società che la sociologia definisce fattore
esterno, non può più pensare di essere l’esclusiva depositaria della formazione
e tanto meno di agire senza dare il giusto valore agli altri attori della
formazione, ma deve , pur conservando la
consapevolezza necessitata dal ruolo istituzionale, considerare queste
importanti variabili per interagire con esse e puntare ad una azione che faccia
di ogni elemento un fondamentale fattore dell’educazione. La scuola progetta
per darsi un’organizzazione funzionale ed efficiente, fondandosi su premesse
valide e solide e deve tener conto dei molteplici ed eterogenei fattori sociali
che, ad un livello macro, determinano la tipologia di alunni di un determinato
istituto, in un determinato territorio( a partire dal quartiere per finire al
territorio nazionale, europeo o persino mondiale). In questa ottica è chiaro
che, ciascun elemento del dialogo educativo, deve diventare strategico, dunque risorsa, nel processo di
sviluppo dell’alunno: l’apprendimento non passa più solo dalla lezione frontale
e tanto meno si esaurisce nei contesti formali e istituzionali, ma si
arricchisce, forse in misura addirittura maggiore, in contesti informali o non
formali che rappresentano un continuum
con l’azione istituzionale della scuola, in una logica di complementarietà e
non di sovrapposizione tanto meno di conflitto, ma di arricchimento e
completamento. La società, in quanto riconosciuta come risorsa, attraverso
convenzioni o accordi negoziali, che hanno lo scopo del servizio quale
imperativo categorico per tutti i fattori dell’educazione, coopera con la
scuola per realizzare, secondo quanto sollecitato dall’U.E, quelle forme di
raccordo tra scuola e lavoro. L’alternanza scuola lavoro, disciplinata nel
D.lgs 77/05, fortemente potenziata con la L 107/15, va esercitata come la declinazione della
spendibilità delle competenze e la messa in prova del buon risultato del
percorso formativo, essa contribuisce a rendere operative le competenze degli
studenti e consente di coniugare teoria e pratica, oltre a realizzare il
necessario collegamento della scuola con il mondo del lavoro e a correlare
l’offerta formativa allo sviluppo sociale, economico e culturale del
territorio. Le istanze europee, accolte dal Legislatore, puntano a valorizzare
adeguatamente il fattore umano come risorsa e fondamento di una società che
assicuri il benessere di tutti e che cresca in misura direttamente
proporzionale in ricchezza.
La
società, fattore e risorsa del processo educativo, si dispone, dunque, a
diventare prodotto in quanto attraverso
la valorizzazione del fattore umano, realizza una strategia vincente che
restituisce gli investimenti nell’ambito della formazione sotto forma di cittadini attivi, competenti,
consapevoli e in grado di essere capitale economico, capaci di contribuire al benessere
proprio e della collettività. Oggi la
scuola non si pone più come un’autorità infallibile e rigida, ma grazie
all’autonomia può calibrare la sua azione organizzativa e didattica sulle
esigenze che l’utenza presenta e il territorio definisce, realizzando i
percorsi più adatti alle richieste dei suoi studenti e alle risorse del
territorio. Personalizzare significa conoscere, la personalizzazione consente
di cogliere e valorizzare le diversità, consente di essere inclusivi nella
misura in cui si può adattare il percorso scolastico sia per valorizzare le
eccellenze che per compensare gli svantaggi, la personalizzazione è la carta
vincente per realizzare il diritto soggettivo allo studio di ogni persona in
età evolutiva. L’inclusività, dunque, completa la mission della scuola solo se
supera il concetto di pietistico inserimento dei disabili nelle classi comuni
per diventare integrazione, valorizzazione delle risorse di ciascuno nella
diversità. La complessità sociale, i grandi processi migratori che investono il
nostro paese devono trovare accoglimento all’interno della scuola chiamata a
colmare il gap socio-economico fornendo anche ai giovani immigrati, siano essi
protagonisti di un forzoso cambiamento, siano essi adottati, gli strumenti
necessari per un inserimento consapevole e da protagonisti non trascurando il
dolore, il disagio, la rabbia che spesso caratterizza le loro vite e che fa
parte del loro bagaglio personale su cui lavorare, ma anche la tutela di tutti
coloro che hanno una qualsiasi difficoltà di apprendimento che non è contemplata
nella legge 104/92 ma che può essere
limitante se non adeguatamente presa in carico da tutte le agenzie che
concorrono alla formazione. Ormai la
priorità della formazione non è più dare contenuti , ma sostenere il pieno
sviluppo formativo dello studente garantendo a tutti, secondo i principi
costituzionali che ispirano il nostro sistema scolastico, le stesse opportunità
che non significa, tuttavia, operare per tutti allo stesso modo, ma, al
contrario, realizzare interventi su misura che consentano a ciascuno di
superare i propri limiti e valorizzare i propri punti di forza. Il concetto di
uguaglianza e di pari opportunità tiene conto proprio della diversità e di
un’azione didattica che non deve livellare o appiattire, ma creare diversità
complementari e integrate attraverso il raggiungimento di obiettivi standard
che tengano conto non solo di fattori meramente formali, ma che valorizzino
anche gli apprendimenti informali e non formali, come sostenuto già nel Libro
Bianco del 1997 , per garantire l’auspicata e imperativa crescita intelligente,
sostenibile e inclusiva. Il successo formativo, divenuto imperativo per la
scuola, passa attraverso la necessaria autonomia che prevede il coinvolgimento
di tutti gli attori dello sviluppo formativo del bambino, ognuno con le proprie
specifiche responsabilità e il proprio ruolo. La scuola è chiamata, dunque, a
recepire e accogliere le istanze che la società complessa presenta e farne il
punto di partenza della sua programmazione. La scuola deve imparare ad essere
accogliente ed inclusiva, vale a dire deve individuare le situazioni di
criticità dei suoi studenti e deve agire in modo intenzionale e sistematico,
come le si addice. Il contesto profondamento complesso in cui si muove
l’Istituzione scolastica richiede, come appare chiaro, un’attenta progettazione
dei percorsi formativi ed una consapevolezza non solo delle norme che tutelano
i soggetti in età evolutiva, ma anche
degli studi che ne consentono la necessaria conoscenza e che presuppongono un
aggiornamento costante che renda ciascuno responsabile dei risultati da
conseguire. La scuola ha metabolizzato l’idea che i cambiamenti sono
ineluttabili e che possono essere latori di nuove opportunità. La corretta
vision dell’istituzione passa da una lettura psico-socio-pedagogica della
realtà contingente, dalla presa in carico della richiesta di formazione del
territorio e degli utenti , dall’accoglimento dei bisogni degli studenti e
dall’analisi del territorio come risorsa e punto di partenza essenziale.
Obbedendo al principio della sussidiarietà quale strategia vincente per dare
risposte concrete ai bisogni dei cittadini, l’iniziativa della regione Lazio è senza
dubbio notevole e denota la giusta attenzione ad un fenomeno che la scuola
fatica a gestire e che, tra le conseguenze, annovera la dispersione scolastica.
I fondi, viste le infinite possibilità che normativamente la scuola autonoma
può mettere in campo, andrebbero a sostenere progetti mirati non tanto al
recupero di situazioni critiche, quanto alla prevenzione. Individuati i ragazzi
più problematici, potrebbe portare, con un’adeguata disponibilità di mezzi, a
progettare percorsi di motivazione: il bullo si nutre della noia che talvolta i
percorsi didattici ingenerano, della scarsa attenzione che un docente, in classi
pollaio, può riservargli o, semplicemente della frustrazione, figlia di una
scelta errata o poco consapevole. Gli istituti professionali, purtroppo, sono
stati privati della loro stessa forza, i laboratori, che consentono un
approccio operativo che permette una maggiore responsabilizzazione e
un’operatività che si fa meno frustrante e demotivante per chi, come il bullo,
ha un profilo particolarmente insofferente(ci auguriamo che dopo il parere
favorevole della Cassazione i quadri orario degli istituti professionali siano
rivisti e si ritorni allo status quo ante le linee guida del 2010). Lavorare
nel segno della personalizzazione in classi di 30/32 studenti , con almeno due
alunni diversamente abili e un numero cospicuo di DSA non agevola l’auspicata
didattica personalizzata e neppure la formazione di un clima di collaborazione
e di costruzione d relazioni sane e monitorate costantemente dall’insegnante.
Eppure, nonostante le tante difficoltà, le scuole autonome, si muovono
promuovendo la cultura della legalità e accompagnando i propri studenti nella
formazione di una personalità sana e consapevole, verso una cittadinanza attiva
e responsabile. Noi docenti degli istituti professionali lavoriamo, certamente,
in emergenza a causa della eterogeneità della nostra utenza, ma giochiamo
favoriti dalla spendibilità delle nostre discipline professionali che si
affiancano alle discipline dell’Area generale di istruzione senza rinunciare
mai alla qualità, ma rafforzati da quei percorsi di alternanza scuola lavoro
introdotti dalla legge 77/05 e rafforzati enormemente, anche grazie alle
continue sollecitazioni provenienti dall’UE, dalla legge 107/15. Il nostro
Istituto ha dovuto fronteggiare episodi
di bullismo in più di una occasione, ma al di là dell’episodio che richiede di
volta in volta una riflessione e un percorso pensato per il singolo allievo, lavoriamo
, ormai da anni, per diffondere la cultura della legalità tra i nostri
studenti. Lo scorso anno abbiamo ospitato la dottoressa Rita Borsellino che ha
preso per mano i nostri ragazzi e gli ha fatto attraversare, con delicatezza e
rispetto, la vita del compianto magistrato, un momento ampiamente preparato in
classe con letture, con la visione di contributi filmati e con riflessioni che
sono diventate domande consapevoli e mature. Ogni anno organizziamo incontri con
l’arma dei Carabinieri per affrontare i temi non solo della legalità nel senso
più ampio del termine, ma mirando alla professionalità in fieri dei nostri
studenti: gli incontri hanno affrontato temi come la frode e la sofisticazione
alimentare, ma anche la responsabilità penale e civile in caso di comportamenti
irresponsabili tenuti sotto l’effetto di alcol e droghe, non meno rilevanti gli
incontri con la Polizia postale per riflettere sui rischi e sulle conseguenze
del cyberbullismo. La nostra indefessa opera di sensibilizzazione tende proprio
a creare quella auspicata cultura della legalità che dovrebbe ridurre al minimo
episodi di bullismo all’interno e fuori dall’edificio scolastico. Un lavoro
importante viene fatto anche sulle relazioni che i docenti tendono a costruire
con i ragazzi, fatte di rispetto e di quella necessaria empatia che mira a
diventare elemento accogliente e riferimento costante nella vita del minore. Il nostro Istituto Professionale
Alberghiero può vantare una tradizione di eccellenza, che si connota da sempre
per una efficace sinergia e collaborazione con tutti i soggetti operanti nel
settore enogastronomico e turistico del territorio. Senza parlare delle
ricchissime iniziative e attività di alternanza scuola-lavoro, che portano spesso
i nostri studenti a svolgere tirocini all’estero. Proprio dal 2015/16, in
obbedienza al dettato della Legge 107, siamo in grado di affiancare ai
tradizionali strumenti di intervento (come lo “Sportello Didattico” e i corsi
di recupero da sempre attivi nel nostro Istituto), un Piano di miglioramento
molto più articolato, che si avvarrà di un corpo docente aggiuntivo: quello
dell’organico di potenziamento relativo alla Fase “C” del Piano Straordinario
di assunzioni predisposto dal Governo per il 2015/2016. L’organico “dell’autonomia”
era già una novità del DPR 275/99 che non è riuscita a decollare in quanto gli
Istituti, tranne forse che per la scuola primaria e secondaria di primo grado,
non sono riusciti a creare questi percorsi alternativi o di rinforzo.
L’organico previsto dalla L 107/15, consente, invece, concretamente con una
dotazione aggiuntiva rispetto alle esigenze strettamente curricolari della
scuola, di realizzare percorsi straordinari di supporto alla didattica e di
affiancamento dei docenti delle classi più numerose e problematiche, per noi le
classi prime, per lavorare sul successo formativo, propedeutico alla
soddisfazione personale e all’autostima, oltre che ad un lavoro di motivazione
attraverso un intervento su piccoli gruppi di lavoro per riprendere,
approfondire, analizzare o semplicemente impostare un metodo di lavoro adeguato
ed efficace. Questo team di docenti può e, secondo la nostra esperienza, deve
realizzare concretamente l’inclusività, grazie ad un supporto qualificato e
professionalmente stimolante per ridurre la disaffezione nei confronti della
scuola, per realizzare l’accoglienza e l’ascolto che se pure non potranno
risolvere tutti i problemi dei ragazzi e della scuola, contribuiranno a creare
un clima di maggiore serenità e rassicurante per i ragazzi che, troppo spesso,
non possono contare sul supporto di famiglie che hanno rinunciato alle loro
prerogative fondamentali. Il lavoro di rinforzo, dovendo gestire le
professionalità che ci sono state assegnate, si rivolgerà soprattutto ad alcune
discipline considerate più ostiche dai ragazzi ma su cui il Legislatore e l’UE
chiedono di porre maggiore attenzione quali le lingue, italiana e straniera, e
matematica. Lavorare sulle discipline per raggiungere i programmati obiettivi
trasversali, ridurre la frustrazione mirando al potenziamento della qualità
della persona, riscoprendo coi i ragazzi, anche in un percorso orientativo in
itinere, quali sono i punti di forza su cui basare la propria azione e quali i
punti di debolezza su cui lavorare. Un elemento che ritengo essenziale
all’interno della scuola è, senza dubbio, lo sportello di ascolto che, nel
nostro istituto è affidato al Dottor Jacopo Paris che, in modo gratuito, presta
la sua opera e che i fondi della regione potrebbero consentire di pagare. La
‘dispersione’ nel Lazio risulta, in effetti, sensibilmente migliorata nel corso
degli ultimi 15 anni: merito, evidentemente, dell’efficacia delle molte
strategie messe in campo dalle Istituzioni scolastiche. Anche qui a parlare
sono i numeri: quest’anno si attesta al 24,5%, ben lontana dunque da quel 40,1%
che quindici anni fa aveva rappresentato uno dei peggiori risultati tra le
regioni italiane: un vero e proprio exploit complessivo, che lascia spazio ad
ampi margini di ottimismo. Stanziare soldi è un ottima scelta di investimento,
ma serve, dopo aver dato alla scuola l’autonomia funzionale, dotare le scuole
dei fondi necessari ad attivare tutti gli interventi possibili e ad hoc per
rispondere alle richieste di aiuto dei nostri studenti.La prevenzione consiste
nell’insegnare modalità di interazione positiva con i compagni e nell’informare
sulle conseguenze disadattive dell’essere bullo, con l’obiettivo fondamentale
di ridurne il rischio di incidenza. La prevenzione secondaria si configura come
risposta ad alcuni incidenti di bullismo. Può prevedere approcci di tipo
punitivo(sospensione, sanzioni disciplinari) o di tipo riparatorio e di
mediazione tra le parti. L’approccio terziario consiste nel trattamento e nella
riabilitazione di ragazzi implicati nel problema; comporta, quindi, un
intervento di monitoraggio dei fenomeni, strutture di counselling, ed
interventi terapeutici per le vittime, eventuali denunce e interventi
sanzionatori per ragazzi prepotenti. Uno degli approcci più efficaci per ridurre
il problema è quello istituzionale che coinvolge la scuola nel suo complesso.
Questo perché il fenomeno ha una natura multidimensionale che comprende non
solo il gruppo dei pari ma anche la cultura della scuola, la qualità dei
rapporti tra scuola e famiglia e, più in
generale, il sistema sociale di riferimento degli alunni. Approccio curricolare: legato alla
volontà e all’iniziativa del singolo docente che si ritaglia uno spazio
all’interno delle discipline per affrontare il tema e favorire un percorso di
progressiva sensibilizzazione sul problema da parte degli alunni. Spesso questo
percorso parte da stimoli culturali( film, narrativa, letture..) per favorire
una progressiva presa di coscienza.
Approcci di potenziamento delle abilità emotive e sociali e della convivenza: in
questa tipologia rientrano percorsi di lavoro trasversali delle discipline che
possono favorire la capacità dei ragazzi di comunicare in modo più adeguato, di
riflettere, attraverso un approccio globale sui fenomeni di prepotenza, di
capire il punto di vista di altri problemi all’interno della classe. Il
bullismo è un problema di violazione dei diritti umani e per questo “ è
responsabilità morale degli adulti assicurare che questo diritto sia rispettato
e che per tutti i bambini e per tutti i giovani siano effettivamente promossi
un sano sviluppo e l’esercizio della cittadinanza attiva”. Nel 2007 il
Legislatore ha ritenuto necessario, alla luce dei fatti di cronaca, emanare le linee
guida per attivare una strategia in grado di arrestare il dilagare di un
processo di progressiva caduta sia di una cultura del rispetto delle regole sia
della consapevolezza che la libertà dei singoli debba trovare un limite nella
libertà degli altri, linee guida ancora attuali e punto di riferimento dei
professionisti della scuola.